Il no a Basilea 3 vale 50 miliardi
Lo slittamento delle regole evita alle banche Usa onerosi aumenti di capitale
Nei bilanci dei gruppi americani derivati per 222mila miliardi
La riforma di Basilea 3 slitta negli Usa. La motivazione ufficiale della Fed è che serve più tempo «per comprendere» le regole. La motivazione reale, probabilmente, è un’altra: i primi 19 istituti Usa avrebbero bisogno di 50 miliardi di capitale aggiuntivo per adeguarsi a Basilea 3. Questo penalizzerebbe soprattutto l’attività sui derivati, che le banche Usa non hanno mai ridimensionato: attualmente hanno in bilancio 222mila miliardi di dollari di derivati, il 44,8% in più rispetto al 2007.
Del resto non è solo Basilea 3 a creare l’urticaria. Non è un caso che le banche Usa abbiano speso 52 milioni di dollari per finanziare la campagna elettorale di Mitt Romney, che prometteva di annacquare la già blanda normativa anti-speculazione. Con Romney le banche hanno perso la battaglia. Ma sanno bene che anche con Obama hanno buone speranze di vincere ugualmente la guerra: cioè di rinviare e depotenziare le riforme che dovrebbero metterle in riga. La legge Dodd-Frank, varata nel luglio del 2010 proprio con questo obiettivo, è già in pesante ritardo nell’applicazione: calcola lo studio legale Davis Polk che fino ad oggi avrebbero dovuto essere emanati i regolamenti attuativi per 237 parti della legge (su un totale di 398), ma in 144 casi l’attuazione non è ancora arrivata. L’attività di lobby, e le cause in Tribunale, mirano a depotenziare molti aspetti spinosi. A partire da quelli che riguardano i derivati. Stesso discorso per la cosiddetta Volcker Rule, destinata a limitare proprio le scommesse sui derivati e sul trading rischioso. Anche questa, che doveva essere pronta a luglio, è slittata. Intanto le banche Usa continuano a macinare utili su utili con il trading: dal 2007 questa attività ha generato ben 93 miliardi di ricavi. Ecco perché le regole creano l’urticaria: ridurrebbero la torta.