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Se la politica monetaria induce al rischio - Il Sole 24 ORE
Se la politica monetaria induce al rischio
Tra gli hedge fund e persino tra i banchieri Usa crescono i timori per una possibile bolla speculativa sui corporate bond e i titoli di Stato
Mai come in questa settimana si sono alzate tante critiche verso il comportamento della Fed
Qualcosa di strano s’è visto giovedì a Wall Street, quando l’indice S&P è sceso, pur con il dollaro volato ai massimi da aprile 2009 sullo yen. Era già capitato. Ma quel che è successo due giorni fa, e s’è ripetuto ieri, è piuttosto inconsueto. Perché se è normale che la valuta americana si apprezzi sullo yen (e fa un bel +29% in 6 mesi), vista l’inusitata politica monetaria ultraespansiva del Giappone, c’è tuttavia qualcosa di nuovo nell’accentuato nervosismo dei mercati finanziari: come se il cambio yen-dollaro fosse schizzato a 101,8 più per la forza del secondo che per la "naturale" debolezza del primo. Cosa può rendere forte la valuta americana, dal momento che non si coglie alcuna esitazione nell’annunciata politica monetaria del Giappone? La possibile fine dei
della Fed, sembrerebbe la risposta più ovvia.
Più che una risposta è una tesi che va tutta dimostrata: anzi, che non si è ancora posta, perché l’eventualità di una exit strategy della banca centrale, ossia di un graduale ritorno a politiche monetarie convenzionali e più restrittive, è al momento una pura ipotesi. Ma il fatto nuovo è la montante disaffezione dei maggiori hedge fund americani verso la politica di Ben Bernanke, giudicata la «più inappropriata della storia», da Stanley Druckenmiller (Duquesne CM), o semplicemente «folle», secondo Bill Gross di Pimco, o persino «criminale», per gli ambienti più conservatori della finanza americana. Tra i quali il comportamento di Bernanke ricorderebbe quello di un Robin Hood alla rovescia: di colui che, avendo imposto tassi a zero, ruba al 95% della popolazione più povera (non remunerando i depositi e l’investimento in Treasury) per regalare il denaro al 5% più ricco del Paese. Ossia alle banche e ai grandi investitori che, con quei soldi facili, speculano sulle diverse attività finanziarie.
I rischi del facile denaro
Fatto è che, proprio giovedì, quelle critiche alla Fed si sono intensificate e hanno goduto di enorme pubblicità perché uscite dalla conferenza dei maggiori gestori di hedge fund riuniti a New York per l’annuale Sohn Investment Conference. Agenzie stampa, televisioni e giornali hanno riportato come i prezzi dei titoli di Stato sarebbero eccessivamente elevati a causa dei tassi a zero in mezzo mondo e per i troppi quantitative easing,: ragion per cui i rendimenti non coprono nemmeno l’inflazione. E gli stessi mercati valutari sarebbero manipolati: perché se una banca centrale intraprende misure monetarie non convenzionali costringe le altre a fare altrettanto.
Così, un po’ tutte le attività finanziarie sarebbero sopravalutate: comprese le azioni, sebbene non si possa dire che queste ultimesiano a rischio di bolla speculativa come la carta che gira sui mercati del credito. Ma poco importa: perché quando scoppia una bolla del credito, come 5-6 anni fa, finisce per crollare tutto. Eoggi c’è ancor più liquidità di allora, visto che gli attivi delle banche centrali si sono moltiplicati di almeno 4 volte. Infine, a quelle critiche, si sono aggiunte voci, strumentalmente diffuse su Twitter, secondo le quali la Fed s’appresterebbe a por fine alla stagione dei Qe.
. Continuerannoa farla perché, anche se l’economia dovesse suggerire condizioni monetarie più restrittive, c’è la consapevolezza che un rapido cambio di direzione farebbe precipitare le cose. E si sa che la salute dei mercati va di pari passo a quella dell’economia reale. Chi la pensa in questo modo è ancora la grande maggioranza e per questo è difficile credere che la felice tendenza iniziata a luglio dello scorso anno possa interrompersi a breve.
Ma sul mercato del credito sono già evidenti i segni di una incipiente bolla speculativa: