Tbond Bund (VM69) 2013: Bandits Unchained tra Krug bubbles and balls

Frenare l’euro forte, la riforma delle riforme

Nonostante le apparenze, rispetto ad altre campagne il dibattito elettorale si va svolgendo su proposte abbastanza concrete, ma occorre insistere nel chiarire i termini della questione economica che l’Italia deve affrontare.



Le due tesi che si vanno contrapponendo sono che, se si vuole riportare l’economia italiana su un sentiero di crescita,

è necessaria una maggiore spesa pubblica, quanto meno per interrompere la caduta dell’occupazione,

oppure riforme più incisive.



La prima tesi ha il pregio della concretezza, anche se, al crescere della cifra indicata, che va dai 5 miliardi di euro ai 300, essa volge vieppiù verso l’astrattezza.
 
La seconda, invece, se non si dice dove si vuole mettere le mani e come, è di per se astratta: chi ritiene che debba essere reso flessibile il mercato del lavoro, chi snellire la pubblica amministrazione, chi liberalizzare professioni e mercato, chi riformare il sistema bancario e chi ridurre i vincoli europei. La parola "riforma" la si può rigirare come si vuole tramutando la sua invocazione in un mero rito propiziatorio.



La ripresa dell'economia italiana passa attraverso provvedimenti da prendere nel e per il breve periodo, affinché non venga rovesciato il detto keynesiano che nel lungo periodo siamo tutti morti, e provvedimenti necessari per il lungo andare, affinché i pericoli di morte non si ripetano nel tempo. I primi hanno tutte le caratteristiche ipotizzate dai fautori dei maggiori impulsi, mentre i secondi quelle dei fautori delle riforme. In termini tecnici - che non si devono mai trascurare - i primi operano sulle variabili da stimolare (meno tasse sui consumi e più spesa per investimenti) e i secondi sui parametri che legano gli impulsi ai risultati. Il caso più classico, quello dei consumi, indica che, se lasci più reddito disponibile ai cittadini, essi consumeranno di più, creando occasioni di lavoro e di occupazione. Perciò detassa. Se, però, la politica, con le sue dichiarazioni e i suoi comportamenti diffonde incertezze sul futuro, decidendo o solo minacciando tasse e tagli di spesa in continuazione, la relazione che lega impulsi e risultati - nel caso specifico la propensione al consumo - si modifica e l'impulso non si trasmette allo sviluppo.

Più difficili da trattare sono invece i casi degli investimenti e delle esportazioni. Nella loro espressione più semplice, l'imprenditore deciderà di investire se trova finanziamenti a costi compatibili con il rendimento atteso dall'investimento e l'esportatore se troverà sbocco ai suoi prodotti a un prezzo competitivo e gli incassi delle vendite non siano disturbati da rivalutazioni del cambio. Se i due calcoli non tornano, ossia se non conviene investire o non è possibile esportare, occorrono le riforme che consentano di raggiungere un profitto almeno pari al costo del finanziamento e un prezzo competitivo rispetto ai concorrenti esteri. Indicare come alternativa la lotta all'evasione fiscale o alla corruzione, compiti doverosi per uno stato civile, e ancor peggio proporre l'imposta patrimoniale, distraggono dal vero problema, anzi lo aggravano. Le riforme servono a ristabilire il buon funzionamento dei tre legami essenziali per la crescita dell'economia: propensioni al consumo, agli investimenti e alle esportazioni. Le riforme devono riguardare questi parametri che, legando gli impulsi capaci di imprimere una spinta alle rispettive domande, consentono di raggiungere i risultati desiderati di crescita e di occupazione. Se invece gli impulsi si esauriscono inducendo variazioni negative nei tre parametri, la crescita non arriverà mai e nel breve periodo, non nel lungo, saremmo tutti (o quasi) morti.


Queste scelte riguardano i nostri governanti e quelli che ambiscono diventarlo. Ma esistono anche scelte che non dipendono da noi e che dobbiamo chiedere, anzi pretendere che vengano fatte. Se anche facessimo tutte le scelte necessarie per dare impulso alla domanda aggregata e per attuare le riforme, ma esse incontrassero, come vanno incontrando, una rivalutazione dell'euro che le autorità non intendono contrastare, gli effetti del nostro ipotetico buongoverno si arenerebbero in quelli del malgoverno internazionale dei cambi. Nessuno quindi può chiamarsi fuori: né il governo, né i cittadini, né le autorità europee. Non di rado si pensa che i responsabili siano sempre gli altri, mentre a ciascuno spetta di fare un suo compito a casa.


sole24ore , Paolo Savona
 

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