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翠鸟科
fugnoli
La Germania, che nell’agosto scorso ha abbandonato la difesa a oltranza
dell’austerità monetaria nell’Eurozona, dalla fine del 2012 ha di fa
tto
ripiegato parecchio anche sul piano dell’austerità fiscale. Non per sé stessa
naturalmente (ha chiuso il 2012, a sorpresa, con un surplus di bilancio
dell’uno per cento) ma per Francia, Spagna, Portogallo e Italia ha condonato
sforamenti anche consistenti per l’anno scorso e si prepara ad accettare
obiettivi molto blandi per il 2013. Obiettivi, si noti, che verranno
sicuramente mancati a consuntivo.
Si intravede sempre più chiaro un congelamento dell’austerità per il 2013
e il 2014, poi si vedrà. I principi sono salvi e si va ancora tutti, a parole, verso il disavanzo zero. La Germania, come sempre, è però molto più pragmatica di
come la si dipinge e si rende perfettamente conto che non si può continuare
così. La cancelliera Merkel, d’altra parte, pur rimanendo costantemente in
testa nei sondaggi sulle politiche del 22 settembre, sa che nulla è scontato.
Alcune consultazioni regionali sono andate molto peggio del previsto,
l’economia tedesca ha una crescita molto debole e una ricaduta in uno stato
di crisi acuta dell’Eurozona prima del voto va assolutamente evitata.
Le borse e i bond europei stanno fiutando nell’aria questo nuovo clima e
cercano giustamente di festeggiare. La fine dell’austerità riduce il rischio di
implosione politica, sociale ed economica di Eurolandia ed è corretto valutare in modo meno severo gli asset finanziari.
Ci sono però tre problemi.
Il primo è che quella tedesca è una ritirata tattica, non una conversione.
Il secondo
problema è che
sarebbe molto
stupido (e sarebbe
davvero
l’anticamera
dell’uscita
dall’euro) se
Francia, Spagna,
Porto
gallo e Italia
usassero questi due
anni di tregua per
rimanere rigidi e
non competitivi.
Il terzo problema è che l’austerità, messa in un angolo in Europa, ha
trovato una nuova patria in America. La differenza è che la stre
tta fiscale
americana, iniziata in realtà l’anno scorso a livello locale e ora spostatasi a
livello federale, viene calata su un’economia alla quale è stato lasciato il
tempo di riprendersi e irrobustirsi.
La Germania, che nell’agosto scorso ha abbandonato la difesa a oltranza
dell’austerità monetaria nell’Eurozona, dalla fine del 2012 ha di fa
tto
ripiegato parecchio anche sul piano dell’austerità fiscale. Non per sé stessa
naturalmente (ha chiuso il 2012, a sorpresa, con un surplus di bilancio
dell’uno per cento) ma per Francia, Spagna, Portogallo e Italia ha condonato
sforamenti anche consistenti per l’anno scorso e si prepara ad accettare
obiettivi molto blandi per il 2013. Obiettivi, si noti, che verranno
sicuramente mancati a consuntivo.
Si intravede sempre più chiaro un congelamento dell’austerità per il 2013
e il 2014, poi si vedrà. I principi sono salvi e si va ancora tutti, a parole, verso il disavanzo zero. La Germania, come sempre, è però molto più pragmatica di
come la si dipinge e si rende perfettamente conto che non si può continuare
così. La cancelliera Merkel, d’altra parte, pur rimanendo costantemente in
testa nei sondaggi sulle politiche del 22 settembre, sa che nulla è scontato.
Alcune consultazioni regionali sono andate molto peggio del previsto,
l’economia tedesca ha una crescita molto debole e una ricaduta in uno stato
di crisi acuta dell’Eurozona prima del voto va assolutamente evitata.
Le borse e i bond europei stanno fiutando nell’aria questo nuovo clima e
cercano giustamente di festeggiare. La fine dell’austerità riduce il rischio di
implosione politica, sociale ed economica di Eurolandia ed è corretto valutare in modo meno severo gli asset finanziari.
Ci sono però tre problemi.
Il primo è che quella tedesca è una ritirata tattica, non una conversione.
Il secondo
problema è che
sarebbe molto
stupido (e sarebbe
davvero
l’anticamera
dell’uscita
dall’euro) se
Francia, Spagna,
Porto
gallo e Italia
usassero questi due
anni di tregua per
rimanere rigidi e
non competitivi.
Il terzo problema è che l’austerità, messa in un angolo in Europa, ha
trovato una nuova patria in America. La differenza è che la stre
tta fiscale
americana, iniziata in realtà l’anno scorso a livello locale e ora spostatasi a
livello federale, viene calata su un’economia alla quale è stato lasciato il
tempo di riprendersi e irrobustirsi.