Sui mercati la correzione più forte degli ultimi tre anni
GLI EFFETTI A farne le spese potrebbero essere però le borse europee perché il dollaro più forte incentiva a muovere la liquidità sulla piazza Usa
difficile dire se l’economia globale continuerà a indebolirsi il prossimo anno, causando serie ripercussioni anche negli Stati Uniti, come parrebbero suggerire le ultime Minute della Fed. Del resto, affidarsi alle previsioni degli economisti, compresi quelli del Fondo monetario o della stessa banca centrale americana, non è di grande aiuto, visto che le loro precedenti stime sono state regolarmente disattese a distanza di pochi trimestri. Stupisce pertanto il dichiarato timore dei mercati sulle sorti dell’economia mondiale e il sospetto è che si tratti di un espediente per correggere gli eccessi nelle valutazioni dei titoli azionari e dei bond societari.
Sorprende anche l’enfasi posta dai membri della Fed sulle conseguenze che la quasi stagnazione europea avrebbe sull’economia americana, così come il preoccupato allarme sugli effetti deflattivi di un dollaro troppo forte. La sensazione è che Janet Yellen e gran parte del board della Fed (oltre naturalmente all’Amministrazione americana) non gradiscano ulteriori rafforzamenti della valuta che ridurrebbero la competitività del Paese. Nonostante gli sforzi fatti ieri da alcuni di questi membri (Lacker, Williams, Dudley, Fisher, Bullard e Plosser) per tentare d’ammonire i mercati a non sottostimare i tempi di una svolta monetaria, il messaggio che hanno (giustamente) tratto gli investitori è che i tassi resteranno bassi per un tempo più lungo di quanto facciano capire i "pallini" (ossia le previsioni) del Fomc. Infatti il rendimento del Treasury decennale è sceso al 2,3% e quello del titolo a 2 anni è rimasto allo 0,44%: a significare che il primo piccolo rialzo dei tassi arriverà (forse) a inizio 2016.
Se questo ha consolato Wall Street nella seduta di mercoledì, non è stato tuttavia in grado di tenerla a galla in seguito, poiché s’è rafforzata la consapevolezza che la non esaltante crescita degli utili aziendali possa giustificare multipli di 17 volte, come esprime l’S&P500. Solo un mese fa, gli operatori avrebbero ribattuto che quel rapporto si sarebbe ridotto a 14 in previsione di una crescita degli utili stimata oltre il 12 per cento. Ma una serie di considerazioni fanno pensare che il consenso degli analisti pecchi di notevole ottimismo: come sostiene Goldman Sachs, notando che il dollaro forte avrà un sensibile impatto sui ricavi delle società americane, visto che quelle dell’S&P500 esportano il 33% nel resto del mondo: percentuale che sale al 60% per le aziende del settore tecnologico.
Per questo si può supporre che l’attuale correzione di Wall Street possa eccedere quel 5-6% massimo visto negli ultimi tre anni: forse più comparabile al -18% subìto dall’S&P tra luglio e ottobre 2011. Il guaio è che a farne le spese sono e sarebbero soprattutto i mercati europei, che già segnano sensibili perdite da inizio anno (-4,7% lo Stoxx euro). Senza contare che un dollaro previsto in ulteriore crescita incentiva a disinvestire dai mercati europei e a parcheggiare la liquidità negli Usa. Dove, infatti, il rendimento dei titoli di Stato a breve è sceso bruscamente dopo la metà di settembre ed è prossimo allo zero.