Deutschland über alles, anche nella Ue
Il predominio capillare dei tedeschi nelle istituzioni comunitarie tiene banco a Bruxelles
I CASI Tante volte (ad esempio, nel settore delle emissioni o delle ferrovie), la Germania ha anteposto i propri interessi a quelli di tutti gli altri Paesi
C’è chi minimizza: «Da sempre l’occupazione delle istituzioni Ue ha un andamento ciclico: in principio i francesi a tappeto, poi gli inglesi fino a una decina di anni fa e ora i tedeschi a modo loro, con metodo e precisione teutonica». C’è chi denuncia una presenza sempre più soffocante e tentacolare. Chi riconosce che «è inevitabile, sono i più bravi». Sylvie Goulard, eurodeputata liberale francese, invece avverte: «Troppo nazionalismo nelle istituzioni comuni è pericoloso».
Che il nuovo quinquennio europeo si annunci più germano-centrico che mai lo dice la meteorologia politica e ancora di più la mappa del potere Ue: quello emerso, che aggiunge lustro a chi lo possiede, ma soprattutto quello sommerso, che si vede poco ma decide silenzioso nei corridoi e controlla le vere leve che fanno e disfano le politiche comuni.
Non a caso oggi di incarichi di prestigio, e non tra gli eccellenti, la Germania ne ha tre: presidenza dell’Europarlamento con Martin Schulz, della Banca europea degli investimenti (Bei) con Werner Hoyer e del Fondo salva-Stati (Esm) con Klaus Regling.
E perché, sia pure senza troppo entusiasmo, la Merkel è il grande elettore di JeanClaude Juncker, rigorista convinto ma non un estremista, meno che mai un falco. Falchi rinomati sono però il finlandese Jyrky Katainen e il lettone Valdis Dombrovski, due dei suoi sette vice-presidenti che controlleranno le politiche macro-economiche, di bilancio, sviluppo, occupazione, industria, ricerca, mercati finanziari, mercato unico, trasporti, energia, politica regionale. In breve tutti i tasti in grado di stimolare la crescita o di lasciarla, come oggi, in balia di una congiuntura negativa.
Alla testa del Consiglio Ue Donald Tusk è un’altra fedele creatura del cancelliere: credo liberale, autore del miracolo economico polacco. Idem per Dijsselbloem, socialista olandese ma di strette convinzioni tedesche.
Ammesso e non concesso che i suoi proconsoli a Bruxelles non si rivelino leali come dovrebbero - accadde a Margaret Thatcher: inviò a Bruxelles l’euroscettico Lord Cockfield per romperne i giochi ma se lo ritrovò contro, folgorato dal progetto europeo - il cancelliere ha comunque approntato un’efficiente e ben organizzata seconda linea. A diversi livelli e in tutte le istituzioni.
Tedeschi sono i potenti segretari generali del Consiglio e del Parlamento europeo, Uwe Corsepius e Klaus Welle. In cima alla piramide del servizio diplomatico europeo, al posto del francese Pierre Vimont, un’altra tedesca, Helga Schmid, l’interfaccia di Federica Mogherini, la nuova Mrs Pesc.
Nella Commissione, su un totale di 28, saranno tedeschi almeno sei capi di Gabinetto (compreso quello del presidente, Martin Selmayr) e dieci vice. Spesso un capo di gabinetto ha un ruolo più incisivo del proprio commissario e quasi sempre, a fine mandato, si riconverte agli apici della struttura dell’Esecutivo Ue. Ma la penetrazione programmata della Germania nelle istituzioni europee non si ferma certo qui.
Oggi in Commissione detiene quattro direzioni generali, Eurostat, Ambiente, Fondi Regionali e Interni, e sei vice-direzioni (Industria, Ricerca, Bilancio, Sviluppo e Agricoltura), oltre a quasi una trentina di direttori.
«La Germania oggi è prigioniera di autismo politico, considera la Francia la sua sorella minore e l’Italia quella minorata», riassume brutale un diplomatico europeo. La controprova viene dalla cronaca che non fa le prime pagine dei giornali, come le polemiche su deficit, debiti, crescita e flessibilità dei patti, ma disegna nella distrazione dei più i connotati dell’integrazione o della disintegrazione del mercato unico, di quello finanziario, di una possibile politica industriale, climatica e energetica europea.
Su questi fronti strategici Berlino, che pure pretende anzi impone ai partner l’europeizzazione delle sue virtù economiche, quando in gioco ci sono i suoi interessi settoriali non conosce Europa né neutralità, neppure quando non le costerebbe niente farlo. Gli esempi sono tanti. Troppi.
Famosa la battaglia per la riduzione delle emissioni delle auto. Campioni della lotta contro la Co2 che ora vorrebbero tagliare del 40% (invece del 20 attuale) aumentando anche l’efficienza energetica al 30% e il ruolo delle rinnovabili al 27% tra le proteste dei Paesi dell’Est e dell’Italia, penalizzati così nella competitività a breve,
e se escono, li lasceremo fare ancora ?? loro lo sanno... e noi ??