Rallenta lo shale oil, ma non il petrolio Usa
produzione di petrolio degli Stati Uniti continuerà a crescere sia quest’anno che il prossimo, restando ai massimi dai primi anni ’70. Ma a trainarla potrebbe non essere più lo shale oil, che - come sperava l’Opec - sta finalmente iniziando a frenare. È questo lo scenario che si profila sul mercato, secondo le ultime previsioni del governo Usa: un quadro che non sembra preludere a una rapida risalita dei prezzi e che somiglia a una vittoria di Pirro per l’Organizzazione degli esportatori di greggio. L’Energy Information Administration (Eia) - dopo aver annunciato che in aprile le otto maggiori shale plays degli Usa registreranno una produzione quasi piatta per la prima volta da 4 anni - ha ritoccato lievemente al rialzo la stima sull’output di petrolio americano nel 2015, che ora vede salire a 9,35 milioni di barili al giorno (invece che 9,30) dagli 8,65 mbg del 2014. Nel 2016 si arriverà a 9,49 mbg (-0,03 mbg rispetto alle attese di un mese fa). A trainare, spiega l’Eia, sarà la produzione del Golfo del Messico: greggio convenzionale quindi, che impiega più tempo a frenare.
Ma che prima o poi, col taglio degli investimenti, finirà per farlo: a rilanciare l’allarme ieri è stata Chevron, che ha annunciato vendite di asset per 50 miliardi di $ e un calo degli investimenti dai 40,3 miliardi di $ del 2014 a circa 30 miliardi nel 2017, avvertendo che dopo quella data la sua produzione crescerà solo dell’1% annuo.