Tbond Bund (VM69) 2014: 2014 il ritorno di Smaug

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Una riduzione dell’1% dell’inefficienza della pubblica amministrazione potrebbe spingere una crescita del Pil dello 0,9% e dell’occupazione dello 0,2%. È il calcolo di uno studio di Confindustria sulla burocrazia, in cui si invita a sciogliere i nodi di questo male italiano per favorire la crescita del Paese.

L’ attrattività degli investitori esteri ma anche lo slancio degli imprenditori italiani a intraprendere nuove iniziative, sottolinea il Centro studi dell’associazione, «sono fortemente condizionati dal numero e dalla complessità delle pratiche amministrative, dai tempi e dai costi necessari al loro svolgimento. L’inefficienza della pubblica amministrazione influenza ogni ambito della vita sociale ed economica del Paese, ostacolandone la crescita e creando un enorme svantaggio competitivo». Per questo la parola d’ordine deve essere semplificare, che nella situazione in cui ci troviamo significa anzitutto «riprogrammare le politiche pubbliche, per rimuovere i limiti irragionevoli all’attività di impresa e rilanciare la crescita».

Le inefficienze e il peso della burocrazia italiana «costituiscono una vera e propria tassa occulta, che sottrae ricchezze a famiglie e imprese». Il giudizio è contenuto in una nota diffusa ieri del Centro studi di Confindustria dal titolo «Italia: meno burocrazia per rilanciare la crescita».


Si tratta di una indagine che mette in luce come «una riduzione dell’1% dell’inefficienza della Pa (misurata dalla difficoltà a raggiungerne gli uffici) è associata a un incremento dello 0,9% del livello del Pil procapite e a un aumento dello 0,2% della quota dei dipendenti in imprese a partecipazione estera sul totale dell’occupazione privata non-agricola».



Per questo, secondo il Centro studi di Confindustria, occorre mettere sotto la lente i nodi della burocrazia: «troppe e complesse regole, tempi di risposta lunghi e incerti, costi insostenibili della macchina pubblica, anche della politica, imbrigliano lo sviluppo, soprattutto delle aziende più dinamiche. Si può risparmiare fino a un miliardo tagliando i costi della Camera. In Italia la spesa per ciascun deputato è 9,8 volte il Pil pro-capite, contro 6,6 nel Regno Unito».





Confindustria chiede alle istituzioni di «essere in grado di esprimere un preciso indirizzo politico, individuando obiettivi strategici», a partire dalla fondamentale revisione della spesa. «Occorre ridurre sensibilmente il numero delle amministrazioni – si legge nell’indagine – in base al principio dell’unicità delle funzioni: abolire le Province, istituire le città metropolitane (senza farle proliferare come sta accadendo ora: dalle 10 originarie si è già arrivati a 18), riorganizzare l’amministrazione periferica dello Stato, aumentare la soglia dimensionale dei piccoli Comuni (elevandola almeno a 5.000 abitanti)».



Misure che non possono prescindere da un intervento «sull’assetto istituzionale e, in particolare, sul Titolo V della Costituzione, che ha creato un "federalismo della complicazione", indebolendo la capacità delle politiche centrali di incidere sulle principali questioni di rilevanza strategica nazionale (tra cui infrastrutture, comunicazioni, energia), a causa delle maggiori competenze attribuite a livello regionale».



Una moderna politica di semplificazione non può prescindere da tre direttrici: «ridurre il numero delle procedure e delle amministrazioni che se ne occupano; riordinare le competenze degli uffici, accorpando le funzioni per settori omogenei e sopprimendo gli organi superflui; standardizzare i procedimenti dello stesso tipo che si svolgono presso amministrazioni diverse».



Tuttavia – prosegue il report di Confindustria – «la semplificazione è un processo complesso, faticoso, che non può né deve finire mai e che facilmente può tradursi in un continuo stop and go, con un decreto che blocca e fa un passo indietro rispetto a una misura precedentemente stabilita da un altro decreto. È il caso – sottolinea la nota – dell’autorizzazione paesaggistica, la cui efficacia è stata limitata dal Decreto "Valore Cultura" dopo essere stata estesa dal Decreto "del Fare" appena un mese prima».






????
sva-lu-ta-zio-ne
 
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:up::up:




la cui base poi ....


Il debito pubblico deprime la crescita? Il clamoroso errore di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff | Keynes blog




Le basi teoriche di questa argomentazione, tuttavia, sono difficili da identificare e isolare con chiarezza (tra queste non va inclusa la ripetuta predica riguardante il “peso sulle future generazioni”, la quale ignora che le nuove generazioni erediteranno la ricchezza delle vecchie e pure, quindi, credito sul debito pubblico, per cui la questione è mal posta). Certamente maggior eco ha avuto lo studio di due autorevoli economisti dell’Università di Harvard e del Maryland, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, pubblicato nel 2010 sulla prestigiosissima American Economic Review, il quale ha stabilito il problema in termini empirici. E’ possibile scaricare un Working Paper preliminare all’indirizzo http://www.nber.org/papers/w15639.pdf
Analizzando una nuova base di dati che mette a confronto le finanze pubbliche e i risultati macroeconomici di un campione molto ampio di paesi a partire dal dopoguerra e oltre, ma non sempre disponibili per ogni paese e per ogni anno, lo studio dei due economisti mostra come esista una “discontinuità” dell’effetto del debito pubblico sulla crescita. In particolare, se parrebbero non esserci differenze sostanziali per valori sufficientemente moderati del rapporto debito/PIL, un valore di tale rapporto che sia superiore al 90% è associato nei dati a tassi di crescita economica significativamente più bassi, e in media nulli o negativi.
È importante sottolineare come tale risultato non corrisponda a un rapporto causale del debito sulla crescita, ma di correlazione: il meccanismo potrebbe benissimo essere inverso, ad esempio la bassa crescita può comportare alti rapporti tra debito e PIL se i governi fossero incapaci di governare il deficit in assenza o scarsità di crescita. Lo studio non può offrire una risposta a tale questione, e ciò è tenuto ben presente dagli autori.
L’importanza di questo studio tra gli economisti accademici non è stata dovuta tanto alla risolutezza delle conclusioni raggiunte, quanto alla novità scientifica rappresentata dall’affrontare il problema su basi empiriche e con una più ricca base di dati. Tuttavia, pare che politici e responsabili di politica economica abbiano tratto da questo studio di ricerca economica, per quanto innovativo, indiscutibili verità ontologiche destinate a magnificare le loro sagge e lungimiranti scelte o proposte di politica economica. Olli Rehn, commissario UE per l’Economia, ha per esempio affermato:
«È ampiamente riconosciuto, sulla base di seria ricerca scientifica, che quando i livelli del debito pubblico salgono oltre il 90% tendono a presentare una dinamica economica negativa, la quale si trasforma in bassa crescita per molti anni.»
Affermazioni simili sono state fatte da personalità quali Paul Ryan e Tim Geithner negli Stati Uniti e Lord Lamont of Lerwick nel Regno Unito. Purtroppo per molti, tuttavia, tali risultati così ampiamente citati e influenti nel dibattito pubblico, se probabilmente non sono mai stati troppo solidi, ora appaiono del tutto dubbi e traballanti.
Martedì scorso un working paper a cura di Thomas Herndon, Michael Ash e Robert Pollin dell’Università del Massachusetts, Amherst [link] ha dimostrato come i risultati originali della ricerca di Reinhart e Rogoff siano basati su problemi metodologici, manipolazioni dei dati ed errori di calcolo che paiono in alcuni casi grossolani e, in un certo senso, “originali”. Eliminandoli dall’analisi, il tasso di crescita medio dei paesi ad alto debito balza dal –0.1% al +2.2%, una differenza molto grande. I problemi principali individuati sono tre:
l’esclusione selettiva di alcune osservazioni nei dati;
uno schema di bilanciamento dei dati non convenzionale;
un errore di codice nel foglio di calcolo originale utilizzato per selezionare i dati.
Cercherò di riassumerli brevemente.
In primo luogo, sono escluse osservazioni specifiche di paesi (peraltro tutti anglosassoni: Canada, Australia e Nuova Zelanda) in un periodo storico, quello dell’immediato dopoguerra, in cui questi paesi sono stati caratterizzati sia da alto debito pubblico, oltre la fatidica soglia del 90%, che da una buona crescita media dell’economia. Reinhart e Rogoff utilizzano solamente, e senza alcuna ragione troppo chiara, l’ultima osservazione del periodo storico in questione per la Nuova Zelanda. In quest’ultimo paese in particolare – il cui tasso di crescita dell’economia era molto volatile nel dopoguerra, ma in media buono, del 2.58% – l’esclusione ha un grande impatto sulla media del tasso di crescita, che cade così di circa dieci punti al -7.6%: un’enormità!
Questa “scelta discrezionale” non avrebbe avuto probabilmente una grande importanza se non fosse stata amplificata da un secondo problema nell’analisi, uno schema non convenzionale di bilanciamento delle osservazioni. Negli studi empirici in economia è normale utilizzare tecniche volte ad attribuire maggiore o minore importanza ad alcune osservazioni. Solitamente, queste tecniche sono mirate ad ottenere obiettivi specifici: ad esempio, se si vuole calcolare l’effetto di una determinata variabile o politica sul reddito medio nella popolazione, ma si hanno a disposizione solo dati per gruppi di individui (ad esempio, paesi) tali dati sono pesati per la popolazione.
Tuttavia, lo schema di bilanciamento scelto da Reinhart e Rogoff non pare avere motivazioni e basi chiare, ma certo ha un grande effetto sui risultati finali. Sostanzialmente, tutte le osservazioni per ogni singolo paese vengono divise in gruppi rispetto al rapporto debito/PIL (ad esempio, tutte le osservazioni per gli anni in cui il rapporto è più basso, oppure più alto, del 90%), e viene calcolata la media del tasso di crescita di ogni paese separatamente in ogni gruppo. Alla fine, si calcola la media delle medie tra tutti i paesi all’interno di ogni singola categoria di debito/PIL.
Questo significa che nel calcolo finale, le 19 osservazioni relative alla crescita media del 2.4% del Regno Unito nel periodo di alto debito pubblico hanno la stessa importanza del –7.6% della Nuova Zelanda, come detto basato su un solo anno e dovuto a un’esclusione apparentemente arbitraria di singole osservazioni. Gli autori della critica sono consapevoli che probabilmente, per una serie di ragioni tecniche, un qualche tipo di schema di bilanciamento potrebbe essere preferibile a una media pura sulle singole osservazioni, ma è quantomeno inusuale che Reinhart e Rogoff nel loro lavoro originale non discutano o giustifichino la scelta del loro schema di bilanciamento, che ha un impatto enorme sui loro risultati.
Infine, l’intero lavoro è viziato da un errore di codice sul foglio di calcolo utilizzato per selezionare i dati, il quale esclude la buona media del tasso di crescita del Belgio che è a lungo stato contraddistinto da un alto debito pubblico. La seguente immagine è abbastanza esplicativa.

Si può notare come questo errore, che da solo abbassa la media del tasso di crescita dei paesi ad alto debito dello 0.3%, escluderebbe anche Canada e Australia se le osservazioni per questi paesi fossero state appropriatamente incluse nell’analisi. È altresì evidente che il grosso del risultato pare guidato dalla singola osservazione sulla performance economica del tutto anomala della Nuova Zelanda – un paese relativamente piccolo e isolato – in un singolo anno, il 1949.
Il tutto appare, agli occhi di qualsiasi ricercatore di economia, terribilmente approssimativo.
Altrettanto approssimativa non è invece parsa la sicumera con cui politici più o meno eletti, come il già citato Olli Rehn, hanno esibito lo studio di Reinhart e Rogoff come indiscutibile base scientifica per le politiche di austerità. Sotto l’insegna di questo tipo di motivazioni, in Italia sono state tagliate o dilazionate pensioni di individui oramai avanti negli anni e con poche prospettive sul mercato del lavoro, ed è stata ferocemente tassata la proprietà della prima casa in maniera alquanto indiscriminata. Le conseguenze di queste scelte sono evidenti: un aggravarsi della recessione, un aumento della disoccupazione e un peggioramento ulteriore del rapporto debito/PIL – a suggerire di nuovo, non sarà che se un rapporto di causalità esiste, questo sia al contrario?
La domanda che alcuni economisti maliziosamente si fanno ora è: quanta disoccupazione è stata “causata” da errori aritmetici e di utilizzo del foglio di calcolo? Quanti posti di lavoro persi?
Probabilmente nessuno: è arduo immaginare che un singolo articolo scientifico, per quanto rilevante, abbia da solo reso possibile determinate scelte di politica economica. Ma certamente ne è stato un supporto propagandistico rilevante, in una fase critica per le democrazie occidentali in cui un maggiore pluralismo nell’informazione economica e nel dibattito di politica economica sarebbe certamente più auspicabile.
Addendum: Reinhart e Rogoff hanno prontamente risposto alle critiche, ammettendo larga parte degli errori, ma difendendo la propria analisi con argomentazioni delle quali le più rilevanti sono, primo, che se è vero che i loro risultati non sono veri rispetto alla crescita economica media, valgono sotto alcune condizioni per la crescita economica mediana e, secondo, che in ogni caso la loro analisi contenuta in ricerche successive come nel libro This time is different, che analizza episodi storici di crisi finanziaria e default del debito pubblico, non ne risulterebbe invalidata.
Ancora più rapida è stata però la duplice-triplice replica di Krugman che dal suo blog si dichiara non convinto, per usare un eufemismo, che la difesa di R-R (come li chiama), sia efficace. Un punto è certo: la soglia critica del 90% del rapporto debito/PIL, così vicina ai livelli di molti paesi occidentali coinvolti nella crisi e nelle politiche di austerità, non pare avere alcun particolare significato economico o statistico, e che la discussione accademica e pubblica dovrebbe piuttosto concentrarsi maggiormente sul rapporto di causalità inversa, cioè la scarsa crescita che gonfia il debito relativo. L’importante è che il dibattito sia aperto: per lo meno, ora lo è certamente più di prima.
Link utili:
L’articolo di R&R: http://www.nber.org/papers/w15639.pdf
Alcune citazioni dell’articolo (versione del CEPR): Growth in a Time of Debt
Il paper di Thomas Herndon, Michael Ash e Robert Pollin dell’Università del Massachusetts, Amherst
http://www.peri.umass.edu/fileadmin/pdf/working_papers/working_papers_301-350/WP322.pdf
Un articolo dettagliato dal sito Next New Deal della Fondazione Roosevelt
Researchers Finally Replicated Reinhart-Rogoff, and There Are Serious Problems. | Next New Deal
Articoli sul tema di Paul Krugman:
http://krugman.blogs.nytimes.com/2013/02/27/another-attack-of-the-90-percent-zombie/
http://krugman.blogs.nytimes.com/2013/04/09/deficit-derangement-syndrome/
http://krugman.blogs.nytimes.com/2013/04/16/holy-coding-error-batman/
http://krugman.blogs.nytimes.com/2013/04/16/reinhart-rogoff-continued/
http://krugman.blogs.nytimes.com/2013/04/17/further-further-thoughts-on-death-by-excel/
http://krugman.blogs.nytimes.com/20...its-too/?gwh=E955C4D85DC090055882D29B7A0D37C1
Dal blog Free Exchange dell’Economist:
Debt and growth: Revisiting Reinhart-Rogoff | The Economist
Una delle prime critiche al paper di R&R:
Does Excessive Sovereign Debt Really Hurt Growth? A Critique of This Time Is Different, by Reinhart and Rogoff (qui in italiano: Un debito sovrano eccessivo compromette davvero la crescita? » )

Tieni conto che poi quelli del Keynes blog cadono nell'errore di considerare il debito una bazzecola e la svalutazione l'unica cura per l'Italia...
 
Tieni conto che poi quelli del Keynes blog cadono nell'errore di considerare il debito una bazzecola e la svalutazione l'unica cura per l'Italia...


goooood morning bbbanda

per parte mia non son certo keynesiano
ma nemmanco un dogmatico austriaco

come spesso accade nella vita, ci vuole equilibrio e misura:
fu forse Socrate a dire:
chi cammina troppo a sinistra finirà per cadere nel fosso:
che è lo stesso rischio di chi cammina troppo a destra




quello che mi fa girar le balle di Rogoff sono
gli errori metodologici ( gravissimi) e
gli errori di calcolo ( ridicoli, se non sono 'errori voluti' e in questo caso , imperdonabili)

 
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goooooood morning bbbbbanda !!!!

beh le nubi delle nostre afflizioni non sono ancora dissipate, direbbe Shakespeare
ma ci vuole giorno molto piovoso per annegare paperra
 
goooooood morning bbbbbanda !!!!

beh le nubi delle nostre afflizioni non sono ancora dissipate, direbbe Shakespeare
ma ci vuole giorno molto piovoso per annegare paperra

comunque, caro amico , hai scritto in questi giorni cose validissime e importantissime :up: :up: :up: , che non possono che fare accrescere la stima che ho di te , :bow: , ma mi fanno considerare anche che non e' solo la erronea gestione dei governi che ha rovinato il nostro meraviglioso paese , ma sopratutto questa e' stata la scusa perche' subdolamente si facesse sbagliare per potere arrichire solo i manovratori .....:wall:
 
comunque, caro amico , hai scritto in questi giorni cose validissime e importantissime :up: :up: :up: , che non possono che fare accrescere la stima che ho di te , :bow: , ma mi fanno considerare anche che non e' solo la erronea gestione dei governi che ha rovinato il nostro meraviglioso paese , ma sopratutto questa e' stata la scusa perche' subdolamente si facesse sbagliare per potere arrichire solo i manovratori .....:wall:


una cosa non esclude l'altra, certo
anzi sono in correlazione: i governi incapaci permettono accumulazioni di capitale 'di chi può', che a sua volta cerca di far eleggere governi incapaci e inetti eccecc
con B si è arrivati alla sintesi: 'chi può' va al governo per non fare nulla e mantenere la sua posizione di privilegio, sottratta alla collettività
si legga:
Decreto Berlusconi - Wikipedia
Anni dopo, nel 1990, in concomitanza dell'approvazione di un provvedimento legislativo, la cosiddetta legge Mammì, teso a riordinare il settore delle trasmissioni radiotelevisive, il giornalista Vittorio Feltri commenta gli ormai superati decreti con queste parole:
« Per quattordici anni, diconsi quattordici anni, la Fininvest ha scippato vari privilegi, complici i partiti: la Dc, il Pri, il Psdi, il Pli e il Pci con la loro stolida inerzia; e il Psi con il suo attivismo furfantesco, cui si deve tra l'altro la perla denominata 'decreto Berlusconi', cioè la scappatoia che consente all'intestatario di fare provvisoriamente i propri comodi in attesa che possa farseli definitivamente. Decreto elaborato in fretta e furia nel 1984 ad opera di Bettino Craxi in persona, decreto in sospetta posizione di fuorigioco costituzionale, decreto che perfino in una repubblica delle banane avrebbe suscitato scandalo e sarebbe stato cancellato dalla magistratura, in un soprassalto di dignità, e che invece in Italia è ancora spudoratamente in vigore senza che i suoi genitori siano morti suicidi per la vergogna » (Vittorio Feltri, L'Europeo del 11 agosto 1990)

e:
Agostino Saccà - Wikipedia

Nella telefonata si ascolta Saccà esprimere una posizione di appassionato appoggio politico a Berlusconi e criticare il comportamento degli alleati. Berlusconi sollecita Saccà a mandare in onda una trasmissione voluta da Umberto Bossi e Saccà si lamenta del fatto che ci sono persone che hanno diffuso voci su questo accordo provocandogli problemi. Berlusconi poi chiede a Saccà di dare una sistemazione in una fiction a due ragazze, spiegando in modo molto esplicito che questo servirebbe per uno scambio di favori con un senatore della maggioranza che lo aiuterebbe a far cadere il Governo Prodi. Saccà saluta esortando Berlusconi a impadronirsi della maggioranza quanto prima possibile.[8]



roba nostra, soldi nostri e vantaggi di uno solo





vabbè, cmq nella frase di stamattina mi riferivo a problemi di salute in famiglia che (per ora) sembrano risolti :):)
 
una cosa non esclude l'altra, certo
anzi sono in correlazione: i governi incapaci permettono accumulazioni di capitale 'di chi può', che a sua volta cerca di far eleggere governi incapaci e inetti eccecc
con B si è arrivati alla sintesi: 'chi può' va al governo per non fare nulla e mantenere la sua posizione di privilegio, sottratta alla collettività
si legga:
Decreto Berlusconi - Wikipedia
Anni dopo, nel 1990, in concomitanza dell'approvazione di un provvedimento legislativo, la cosiddetta legge Mammì, teso a riordinare il settore delle trasmissioni radiotelevisive, il giornalista Vittorio Feltri commenta gli ormai superati decreti con queste parole:
« Per quattordici anni, diconsi quattordici anni, la Fininvest ha scippato vari privilegi, complici i partiti: la Dc, il Pri, il Psdi, il Pli e il Pci con la loro stolida inerzia; e il Psi con il suo attivismo furfantesco, cui si deve tra l'altro la perla denominata 'decreto Berlusconi', cioè la scappatoia che consente all'intestatario di fare provvisoriamente i propri comodi in attesa che possa farseli definitivamente. Decreto elaborato in fretta e furia nel 1984 ad opera di Bettino Craxi in persona, decreto in sospetta posizione di fuorigioco costituzionale, decreto che perfino in una repubblica delle banane avrebbe suscitato scandalo e sarebbe stato cancellato dalla magistratura, in un soprassalto di dignità, e che invece in Italia è ancora spudoratamente in vigore senza che i suoi genitori siano morti suicidi per la vergogna » (Vittorio Feltri, L'Europeo del 11 agosto 1990)

e:
Agostino Saccà - Wikipedia

Nella telefonata si ascolta Saccà esprimere una posizione di appassionato appoggio politico a Berlusconi e criticare il comportamento degli alleati. Berlusconi sollecita Saccà a mandare in onda una trasmissione voluta da Umberto Bossi e Saccà si lamenta del fatto che ci sono persone che hanno diffuso voci su questo accordo provocandogli problemi. Berlusconi poi chiede a Saccà di dare una sistemazione in una fiction a due ragazze, spiegando in modo molto esplicito che questo servirebbe per uno scambio di favori con un senatore della maggioranza che lo aiuterebbe a far cadere il Governo Prodi. Saccà saluta esortando Berlusconi a impadronirsi della maggioranza quanto prima possibile.[8]


roba nostra, soldi nostri e vantaggi di uno solo





vabbè, cmq nella frase di stamattina mi riferivo a problemi di salute in famiglia che (per ora) sembrano risolti :):)

vabbè, cmq nella frase di stamattina mi riferivo a problemi di salute in famiglia che (per ora) sembrano risolti :):)[/QUOTE]

su questo ti faccio i miei piu' affettuosi auguri di cuore :up:
 

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