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翠鸟科
Una riduzione dell’1% dell’inefficienza della pubblica amministrazione potrebbe spingere una crescita del Pil dello 0,9% e dell’occupazione dello 0,2%. È il calcolo di uno studio di Confindustria sulla burocrazia, in cui si invita a sciogliere i nodi di questo male italiano per favorire la crescita del Paese.
L’ attrattività degli investitori esteri ma anche lo slancio degli imprenditori italiani a intraprendere nuove iniziative, sottolinea il Centro studi dell’associazione, «sono fortemente condizionati dal numero e dalla complessità delle pratiche amministrative, dai tempi e dai costi necessari al loro svolgimento. L’inefficienza della pubblica amministrazione influenza ogni ambito della vita sociale ed economica del Paese, ostacolandone la crescita e creando un enorme svantaggio competitivo». Per questo la parola d’ordine deve essere semplificare, che nella situazione in cui ci troviamo significa anzitutto «riprogrammare le politiche pubbliche, per rimuovere i limiti irragionevoli all’attività di impresa e rilanciare la crescita».
Le inefficienze e il peso della burocrazia italiana «costituiscono una vera e propria tassa occulta, che sottrae ricchezze a famiglie e imprese». Il giudizio è contenuto in una nota diffusa ieri del Centro studi di Confindustria dal titolo «Italia: meno burocrazia per rilanciare la crescita».
Si tratta di una indagine che mette in luce come «una riduzione dell’1% dell’inefficienza della Pa (misurata dalla difficoltà a raggiungerne gli uffici) è associata a un incremento dello 0,9% del livello del Pil procapite e a un aumento dello 0,2% della quota dei dipendenti in imprese a partecipazione estera sul totale dell’occupazione privata non-agricola».
Per questo, secondo il Centro studi di Confindustria, occorre mettere sotto la lente i nodi della burocrazia: «troppe e complesse regole, tempi di risposta lunghi e incerti, costi insostenibili della macchina pubblica, anche della politica, imbrigliano lo sviluppo, soprattutto delle aziende più dinamiche. Si può risparmiare fino a un miliardo tagliando i costi della Camera. In Italia la spesa per ciascun deputato è 9,8 volte il Pil pro-capite, contro 6,6 nel Regno Unito».
Confindustria chiede alle istituzioni di «essere in grado di esprimere un preciso indirizzo politico, individuando obiettivi strategici», a partire dalla fondamentale revisione della spesa. «Occorre ridurre sensibilmente il numero delle amministrazioni – si legge nell’indagine – in base al principio dell’unicità delle funzioni: abolire le Province, istituire le città metropolitane (senza farle proliferare come sta accadendo ora: dalle 10 originarie si è già arrivati a 18), riorganizzare l’amministrazione periferica dello Stato, aumentare la soglia dimensionale dei piccoli Comuni (elevandola almeno a 5.000 abitanti)».
Misure che non possono prescindere da un intervento «sull’assetto istituzionale e, in particolare, sul Titolo V della Costituzione, che ha creato un "federalismo della complicazione", indebolendo la capacità delle politiche centrali di incidere sulle principali questioni di rilevanza strategica nazionale (tra cui infrastrutture, comunicazioni, energia), a causa delle maggiori competenze attribuite a livello regionale».
Una moderna politica di semplificazione non può prescindere da tre direttrici: «ridurre il numero delle procedure e delle amministrazioni che se ne occupano; riordinare le competenze degli uffici, accorpando le funzioni per settori omogenei e sopprimendo gli organi superflui; standardizzare i procedimenti dello stesso tipo che si svolgono presso amministrazioni diverse».
Tuttavia – prosegue il report di Confindustria – «la semplificazione è un processo complesso, faticoso, che non può né deve finire mai e che facilmente può tradursi in un continuo stop and go, con un decreto che blocca e fa un passo indietro rispetto a una misura precedentemente stabilita da un altro decreto. È il caso – sottolinea la nota – dell’autorizzazione paesaggistica, la cui efficacia è stata limitata dal Decreto "Valore Cultura" dopo essere stata estesa dal Decreto "del Fare" appena un mese prima».
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sva-lu-ta-zio-ne
L’ attrattività degli investitori esteri ma anche lo slancio degli imprenditori italiani a intraprendere nuove iniziative, sottolinea il Centro studi dell’associazione, «sono fortemente condizionati dal numero e dalla complessità delle pratiche amministrative, dai tempi e dai costi necessari al loro svolgimento. L’inefficienza della pubblica amministrazione influenza ogni ambito della vita sociale ed economica del Paese, ostacolandone la crescita e creando un enorme svantaggio competitivo». Per questo la parola d’ordine deve essere semplificare, che nella situazione in cui ci troviamo significa anzitutto «riprogrammare le politiche pubbliche, per rimuovere i limiti irragionevoli all’attività di impresa e rilanciare la crescita».
Le inefficienze e il peso della burocrazia italiana «costituiscono una vera e propria tassa occulta, che sottrae ricchezze a famiglie e imprese». Il giudizio è contenuto in una nota diffusa ieri del Centro studi di Confindustria dal titolo «Italia: meno burocrazia per rilanciare la crescita».
Si tratta di una indagine che mette in luce come «una riduzione dell’1% dell’inefficienza della Pa (misurata dalla difficoltà a raggiungerne gli uffici) è associata a un incremento dello 0,9% del livello del Pil procapite e a un aumento dello 0,2% della quota dei dipendenti in imprese a partecipazione estera sul totale dell’occupazione privata non-agricola».
Per questo, secondo il Centro studi di Confindustria, occorre mettere sotto la lente i nodi della burocrazia: «troppe e complesse regole, tempi di risposta lunghi e incerti, costi insostenibili della macchina pubblica, anche della politica, imbrigliano lo sviluppo, soprattutto delle aziende più dinamiche. Si può risparmiare fino a un miliardo tagliando i costi della Camera. In Italia la spesa per ciascun deputato è 9,8 volte il Pil pro-capite, contro 6,6 nel Regno Unito».
Confindustria chiede alle istituzioni di «essere in grado di esprimere un preciso indirizzo politico, individuando obiettivi strategici», a partire dalla fondamentale revisione della spesa. «Occorre ridurre sensibilmente il numero delle amministrazioni – si legge nell’indagine – in base al principio dell’unicità delle funzioni: abolire le Province, istituire le città metropolitane (senza farle proliferare come sta accadendo ora: dalle 10 originarie si è già arrivati a 18), riorganizzare l’amministrazione periferica dello Stato, aumentare la soglia dimensionale dei piccoli Comuni (elevandola almeno a 5.000 abitanti)».
Misure che non possono prescindere da un intervento «sull’assetto istituzionale e, in particolare, sul Titolo V della Costituzione, che ha creato un "federalismo della complicazione", indebolendo la capacità delle politiche centrali di incidere sulle principali questioni di rilevanza strategica nazionale (tra cui infrastrutture, comunicazioni, energia), a causa delle maggiori competenze attribuite a livello regionale».
Una moderna politica di semplificazione non può prescindere da tre direttrici: «ridurre il numero delle procedure e delle amministrazioni che se ne occupano; riordinare le competenze degli uffici, accorpando le funzioni per settori omogenei e sopprimendo gli organi superflui; standardizzare i procedimenti dello stesso tipo che si svolgono presso amministrazioni diverse».
Tuttavia – prosegue il report di Confindustria – «la semplificazione è un processo complesso, faticoso, che non può né deve finire mai e che facilmente può tradursi in un continuo stop and go, con un decreto che blocca e fa un passo indietro rispetto a una misura precedentemente stabilita da un altro decreto. È il caso – sottolinea la nota – dell’autorizzazione paesaggistica, la cui efficacia è stata limitata dal Decreto "Valore Cultura" dopo essere stata estesa dal Decreto "del Fare" appena un mese prima».
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