Le banche, l’Eba e i rapporti di forza in Europa
E anche se le autorità di vigilanza hanno oggi un compito ben più importante che suonare in sottofondo, il loro lavoro meriterebbe giudizi più articolati rispetto a quanti accusano l’Eba di aver emanato regole tecniche per l’identificazione dei crediti dubbi che aggraverebbero ulteriormente il già significativo credit crunch e dunque di affossare il sistema bancario italiano e, con esso, l’intera economia. Una tesi gradita a molti banchieri, non solo italiani, ma che non regge all’analisi dei fatti. Vediamo perché. Primo. Nella fase attuale della crisi europea, il grande malato è il sistema bancario, perché è assai menocapitalizzato di quello americano e perché c'è troppa incertezza sull'effettiva qualità dei bilanci. Tanto che le banche non prestano più non solo alle imprese, ma neppure alle consorelle di altri paesi. Oggi il mercato interbancario intraeuropeo è bloccato e la liquidità bancaria è tutta sulle spalle della Bce. Una situazione del tutto insostenibile.
Secondo. L'incertezza sui bilanci delle banche riguarda sia i residui dei cosiddetti "titoli tossici" (ancora rilevanti in Francia e Germania) sia i crediti a vario titolo problematici. Sono questi i due fattori fondamentali dal lato dell'offerta, che aggiungendosi ad un'ovvia contrazione della domanda, hanno determinato una caduta dei prestiti di dimensioni mai sperimentate. Tanto che importanti ricerche dimostrano che (in Italia come altrove) le banche più capitalizzate non hanno ridotto il credito all'economia. Così come altre hanno dimostrato che le zombie banks giapponesi degli anni Novanta sono state una delle cause fondamentali di una recessione durata vent'anni.
Terzo. In queste condizioni, l'Unione bancaria è il passo necessario per risolvere i problemi di fondo del sistema bancario europeo. La soluzione comporterà un lavoro integrato fra Eba, Bce e autorità nazionali che dovrà prima identificare i rischi chiave, poi compiere un'asset quality review, cioè una valutazione della qualità dei bilanci banca per banca e unariclassificazione in modo omogeneo. Infine, una volta definito il quadro complessivo, si potrà passare alla terza fase decisiva per rassicurare i mercati, cioè lo stress test, per valutare se le banche, oltre che essere sufficientemente capitalizzate (almeno per i parametri di Basilea) hanno margini sufficienti per superare scenari meno favorevoli di quelli generalmente previsti.
Quarto. Questi passaggi tecnici dovranno essere fatti in un arco di tempo limitato perché l'Europa, tanto per non smentirsi, si è mossa troppo tardi: l'Eba ha cominciato a funzionare a inizio 2011 e solo l'anno scorso alla Bce è stato affidato il ruolo chiave nella supervisione dell'area dell'euro. Il compito è improbo: si tratta di costruire una cultura di vigilanza e supervisione a livello europeo partendo praticamente da zero. A confronto, l'avvio dell'euro, che è durato oltre due anni e che prevedeva un periodo di sei mesi di rodaggio per la Bce prima del passaggio alla moneta unica (e altri tre anni prima dell'apparizione nelle nostre tasche) appare come una passeggiata.
Quinto. Un'ulteriore difficoltà è data dal fatto che occorre definire regole, criteri e prassi comuni fra autorità di supervisione, molte delle quali hanno dimostrato di avere comportamenti troppo indulgenti se non conniventi con i propri regolati. E, guarda caso, l'Italia è proprio il paese che ha sempre rappresentato un punto di eccellenza per prassi equalità professionali. Vorrà pur dire qualcosa se vengono dalla nostra banca centrale le persone (Andrea Enria e Ignazio Angeloni) che a Londra e Francoforte occupano due delle tre cariche principali della vigilanza europea.
Sesto. Chiarezzanei bilanci ètermine semplice, che purtroppo passa attraverso regole tecnicamente molto complesse, in cui è molto difficile trovare punti di equilibrio fra diverse esigenze. Malagravità della situazione richiede che ci si allinei alle prassi più rigorosa, cioè quella italiana. Come hanno dimostrato le lettere di Andrea Enria e di Carmelo Barbagallo (responsabile Vigilanza della Banca d'Italia) i nuovi criteri Eba, che comunque erano stati definiti in un rapporto dialettico con Bce e autorità nazionali e preceduti da un periodo di consultazione con la categoria, non modificano sostanzialmente il quadro per le banche italiane, mentre dovrebbero cambiare di molto la situazione per quelle di altri paesi. Dunque, se c'è qualcuno che si deve preoccupare, non abita da noi.
Molto rumore per nulla, allora? Ovviamente non è così semplice. Molti mugugni circolano nel sistema bancario. Parte di questi riflettono semplicemente l'allergia all'inasprimento delle regole dopo la crisi e in particolare al rafforzamento patrimoniale delle banche, cioè una difesa adoltranza dei vecchi privilegi regolamentari di cui hanno goduto le banche prima delle crisi. Parte invece derivano dal timore che - nonostante le dichiarazioni in senso contrario - l'applicazione dei criteri europei possa lasciare ancora posizioni di vantaggio per alcuni e di svantaggio per altri. Basti pensare all'insistenza ossessiva con cui i tedeschi ricordano l'importanza della valutazione del rischio sovrano nei portafogli titoli per capire come vi sono molte strade "tecniche" che possono portare a far apparire sull'orlo della crisi anche una banca robusta e proporla per una ricapitalizzazione che nel caso dei paesi dell'area periferica, potrebbe essere problematica e probabilmente l'anticamera di un radicale mutamento degli assetti azionari a vantaggio dell'estero.
Il fatto è che sarebbe ingenuo credere che siamo di fronte ad un passaggio puramente tecnico e neutrale: le decisioni dei supervisori europei non vengono prese nel vuoto, ma in organi collegiali che fatalmente risentono dei rapporti di forza fra paesi. E dunque il problema è quello dell'Europa di oggi, che non riesce a ritrovare un equilibrio fra centro e periferia, non certo in chi cerca di definire un quadro di regole omogeneo. Se c'è qualcuno da criticare, sta a Berlino, non a Francoforte e tanto meno a Londra.