Tbond Bund (VM69) 2014: 2014 il ritorno di Smaug (3 lettori)

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翠鸟科
Parte la corsa al parcheggio alternativo in vista della Bce


il mercato sa che presto la Bce avvierà un mix di politiche monetarie per stimolare l’aumento dell’inflazione e per far ripartire il credito alle imprese. Tra le possibili misure, ce n’è una che crea qualche apprensione: la Bce potrebbe portare in negativo i tassi d’interesse dei depositi che le banche europee hanno presso l’Eurotower. Insomma: dal 5 giugno, parcheggiare i soldi in Bce potrebbe diventare costoso per gli istituti di credito. Così è già partita la caccia ai "parcheggi" alternativi: per esempio i titoli di Stato tedeschi a breve termine. È per questo che il loro rendimento è sceso dallo 0,18% di fine aprile allo 0,05% di ieri. Si arriva quindi al paradosso: gli investitori comprano a piene mani titoli tedeschi a breve scadenza, negli stessi giorni in cui mandano semi-deserte le aste dei Bund trentennali. Perché i primi sono "parcheggi" alternativi, mentre i secondi semplicemente titoli lunghissimi che rendono poco.
 

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翠鸟科
Gooooooood morning bbbbanda !
Neurodollaro e equty EU piazzati in stretto range in attea della mossa del dragone
 

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翠鸟科
Dall’export di greggio un maxi-stimolo per l’economia Usa


Senza interventi produzione a rischio

FRONTIERE APERTE La ricerca di Ihs, finanziata dalle major, stima che abolire i divieti farebbe decollare il Pil mentre le entrate statali salirebbero di 1.300 miliardi
Gli Stati Uniti rischiano di strangolare il boom petrolifero se non apriranno al più presto le frontiere all’export di greggio. La decisione di cancellare il divieto al contrario potrebbe essere un formidabile catalizzatore per l’economia del Paese: tra il 2016 e il 2030, grazie a una produzione di greggio superiore a quella dell’Arabia Saudita, nelle casse dello Stato arriverebbero almeno 1.300 miliardi di dollari in più e il Pil si metterebbe a correre, con maggiori investimenti, migliaia di posti di lavoro e più ricchezza per le famiglie, anche nelle aree in cui non c’è traccia di shale oil.
A presentare questo scenario (che è solo quello di base, il più prudente) è uno studio appena diffuso da Ihs. Non si tratta, bisogna dirlo subito, di uno studio indipendente: anche se la società assicura di aver lavorato in piena autonomia, a commissionarlo – e finanziarlo – sono stati i big del petrolio Usa, tra cui ExxonMobil, Chevron, ConocoPhillips, Chesapeake Energy e Halliburton. Non c’è dubbio, tuttavia, che verrà preso sul serio e che farà discutere, anche perché a firmarlo è Daniel Yergin, vicepresidente di Ihs, ma anche premio Pulitzer nel 1992 per The Prize, uno dei più celebri libri sulla storia dell’industria petrolifera. Un peso massimo, insomma, che getta tutto il peso della sua fama a favore della lobby che chiede di abolire il vecchio divieto di esportazione e che sta trovando nelle istituzioni un orecchio sempre più attento. La Casa Bianca sta infatti considerando l’ipotesi di modificare la legge, retaggio dello choc petrolifero degli anni ’70, e il dipartimento per l’Energia ha avviato una serie di indagini di approfondimento, i cui risultati saranno resi noti tra sei mesi (si veda Il Sole 24 Ore del 10 maggio).
Il successo delle estrazioni di shale oil è stato eccezionale, riconosce Ihs: la produzione petrolifera degli Usa dai 5 milioni di barili al giorno del 2008 è salita a 8,2 mbg lo scorso marzo, incrementando dell’1% il Pil americano negli ultimi due anni. Adesso però ci si starebbe rapidamente avvicinando a un «ingorgo», legato all’inadeguatezza del sistema di raffinazione, che non riesce a lavorare le crescenti quantità di petrolio leggero estratte dagli scisti. «Le restrizioni all’export fanno sì che questo petrolio debba essere venduto a forte sconto per compensare l’extra costo di raffinarlo in impianti non progettati per questa qualità. Si è creato un ingorgo che impedisce ulteriori investimenti e aumenti di produzione».

Senza divieti di esportazione gli Usa potrebbero estrarre fino a 11,2 mbg nel 2022 secondo Ihs, ossia più dell’attuale output saudita, e addirittura salire a 14,3 mbg nel 2026 nello scenario più ottimista (l’Energy Information Administration vede invece un picco di 9,6 mbg nel 2019). Ma se non si fa nulla gli investimenti inizierannopresto a rallentare , facendo invece calare il potenziale produttivo di 1,2 mbg, con un impatto visibile già dal 2016.
Liberare l’export genererebbe, nello scenario base, 746 miliardi di dollari di investimenti extra nel periodo 2016-2030, si creerebbero 394mila posti di lavoro all’anno e gli Usa risparmierebbero, sempre ogni anno, 67 miliardi in importazioni di greggio. Al contrario, potranno esportare – a prezzi di mercato – 665mila bg già nel 2016 e oltre 1,5 mbg dal 2020.
Tutto questo senza rincari dei carburanti (la ricaduta più temuta dall’opinione pubblica negli Usa). Anzi: fare il pieno costerà di menoe le famiglie americane si ritroveranno in tasca 238 dollari in più all’anno. «Si tratterebbe – osserva Yergin – di uno stimolo economico siggnificativo, che sarebbe pagato dal settore privato e nondal Governo. Il Governo in realtà farebbe un mucchio di soldi».
 

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