Telecom, la "grande madre" di intercettopoli

Spike V

Forumer storico
Paolo Colonnello per La Stampa

Nel suo album dei ricordi c’è una vecchia foto: una squadretta di calcio dei primi anni 80, che posa sorridente su un campetto spelacchiato. Ad osservarla bene si ritrovano magistrati oggi diventati famosi, cancellieri, segretari: insomma il nucleo storico della Procura della Repubblica di Milano. Accosciato tra due pm, quasi al centro della foto, c’è un «esterno», anche lui in maglietta e pantaloncini: gli occhi limpidi, i capelli scuri. Tra tante celebrità inquirenti che si ritrovano in quello scatto, sarà lui l’uomo destinato a diventare quasi un’icona di questi anni orwelliani del Grande Fratello: è Giuliano Tavaroli, 46 anni, ligure, fino a pochi mesi fa mega boss della sicurezza Telecom e custode dei segreti delle intercettazioni in Italia. All’epoca un semplice brigadiere (nome in codice «Tavola») dell’Anticrimine di Milano, specializzato nella caccia ai brigatisti rossi, con tanta voglia di emergere. Oggi un indagato di quella stessa Procura con cui giocava a pallone.

La sua carriera è segnata da un importante incontro, quello con Marco Mancini, bolognese, classe 1960, che all’epoca di quell’immagine era un semplice sottufficiale dei carabinieri come lui. I due, insieme e separatamente, faranno molta strada. Vent’anni dopo quella foto, infatti, Mancini diventerà il controverso capo del controspionaggio del Sismi, mentre Tavaroli lo si ritrova come personaggio chiave di quel mondo delicato e oscuro che si muove tra sicurezza, intercettazioni, indagini pubbliche e private. I loro nomi s’incrociano nelle più importanti inchieste degli ultimi mesi insieme a quello di un terzo amico ed ex commilitone: il 45enne fiorentino Emanuele Cipriani, fino all’anno scorso capo della società Polis d’Istinto, un’agenzia d’investigazioni private con appalti soprattutto dalla Telecom per almeno 11 milioni di euro che sono stati versati su un conto inglese. Tavaroli, Mancini, Cipriani: un terzetto con cui non scherzare.

Ma è Tavaroli che piano piano, prima in Pirelli e poi, dal 2001 in Telecom come uomo di fiducia di Marco Tronchetti Provera, raccoglie intorno a sè il controllo del gigantesco apparato di ascolto elettronico in grado di spiare - ufficialmente solo dietro autorizzazione della magistratura, ufficiosamente (come si è scoperto) anche dietro lauti compensi - le chiacchiere di milioni di italiani al telefono.

E quando partono le prime indagini sugli ambienti dei «private eyes», il suo nome spunta come un fungo in ogni affare delicato: dallo spionaggio illegale del gruppo di Storace ai danni dei politici avversari, al rapimento di Abu Omar, dalle vicende del commissario Parmalat Bondi allo scandalo del calcio. Tutte storie che sembrano confluire in un’unica «grande madre», l’inchiesta finora più misteriosa, quella che va sotto il nome generico di «Telecom» e procede con ipotesi di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali per l’acquisizione d’informazioni coperte da privacy. Si dice che sarà questa indagine, ormai vicino alla scadenza, il prossimo capitolo bollente di questa estate da spioni.

Il titolare del fascicolo, il pm Fabio Napoleone, sta tentando da mesi di scoprire il bandolo di una matassa che sembra estendere i suoi tentacoli in ogni direzione e che finora ha rivelato soprattutto l’esistenza di un sistema di potere fatto di indagini abusive, rapporti sotterranei tra settori di Telecom e i servizi segreti e d’intercettazioni in vendita al miglior offerente. Sullo sfondo l’ipotesi di una centrale di spionaggio nata all’interno di Telecom per scopi di sicurezza industriale e sfuggita al controllo dei suoi vertici, diventata un centro di potere con potenzialità di ricatto enormi.

Non si è ancora spiegata, ad esempio, la scoperta di Radar, un sistema informatico (trovato a seguito di un’indagine interna di Telecom), nato per risalire ad eventuali frodi ma rivelatosi in realtà un sofisticato mezzo che permette di accedere alle banche dati delle telefonate senza lasciare tracce. Chi lo può avere utilizzato e per quali scopi? Il tutto converge in un retroscena rivelato da un dvd ritrovato negli uffici di Cipriani, tutt’ora all’esame degli esperti informatici della Procura, che raccoglieva centinaia di migliaia di files molti dei quali relativi a dossier su politici, magistrati, giornalisti, finanzieri, uomini di spettacolo.

Un’inchiesta talmente delicata e piena di risvolti oscuri da aver forse sconvolto, sebbene ne fosse totalmente estraneo, anche un personaggio probo e riservato come Adamo Bove, l’ex poliziotto cacciatore di latitanti diventato poi responsabile della funzione Security governance di Tim che l’altro ieri si è gettato da un ponte della tangenziale di Napoli. Sulla sua morte la Procura di Napoli adesso indaga con un’ipotesi di istigazione al suicidio: un altro dei gialli di cui è punteggiata questa vicenda in cui s’incrociano inconfessati interessi politici.

Il «caso Storace» in questo senso è emblematico: gli avversari dell’ex presidente della Regione Lazio, spiati, fatti oggetto di dossier pesanti (fino alla falsificazione di firme elettorali), da un gruppo di detective privati assoldati dai collaboratori dell’ex ministro di An. Tra le vittime Alessandra Mussolini, Piero Marrazzo e l’attuale ministro allo Sport, Giovanna Melandri. A far scoprire lo scandalo, ancora una volta, l’inchiesta milanese che indaga su Tavaroli e Cipriani.

Si ritrova il nome di Tavaroli anche nell’inchiesta sul sequestro di Abu Omar, seguita non a caso passo a passo dal pm Napoleone: tra le ipotesi d’accusa dei magistrati c’è il fatto che qualche giorno dopo il sequestro del presunto terrorista egiziano qualcuno chiese al gruppo di Tavaroli di controllare il traffico telefonico di quindici membri della comunità islamica. Una richiesta che non arrivò da un canale ufficiale.

Tavaroli è poi chiamato in causa dall’ex capocentro del Sismi di Milano, Stefano D’Ambrosio: «Quando arrivai a Milano ebbi la precisa indicazione dal generale Pignero di andare a trovare il Tavaroli che mi trattò con una certa sufficienza...». Ma per i magistrati il ruolo di Tavaroli nel Sismi sarebbe più «organico»: rimane da chiarire infatti chi riforniva lo spione di via Nazionale, Pio Pompa, uomo fidato di Pollari, di una quantità incredibile d’informazioni.

Infine lo zampino di Tavaroli, questa volta insieme a quello di Cipriani, spunta anche nell’inchiesta su calciopoli. Per un piccolo episodio, ma assai significativo: un dossier raccolto sull’arbitro De Santis dopo un’inquietante chiacchierata tra il presidente neroazzurro Giacinto Facchetti e un’altra giacchetta nera, Danilo Nucini. È quest’ultimo a rivelare a Facchetti quanto due anni dopo scoperchierà l’inchiesta napoletana. Anche in questo caso il duo Tavaroli-Cipriani si mette in moto. Il dossier su De Santis verrà ritrovato tra i files sospetti del dvd di Cipriani.

L’ultimo episodio che coinvolge i due vecchi amici riguarda una «presunta» microspia che viene ritrovata sull’auto di Enrico Bondi, all’epoca amministratore di Telecom, nel 2001: a bonificare il mezzo ci pensano i soliti Tavaroli e Cipriani. Ma la «cimice» si rivelerà un telefonino Motorola smontato. Il pm Nobili archivierà l’inchiesta sostenendo che l’apparecchio non serviva a registrare ma andava inquadrato in «una simulazione predisposta a fini intimidatori». Da quel momento Tavaroli conquisterà la piena fiducia di Tronchetti Provera assumendo il controllo del Cnag, fino ad allora alle dipendenze dell’ufficio legale di Telecom, ovvero dell’ufficio da cui dipendono tutte le intercettazioni in Italia.
 
Adamo Bove suicidato

"Prima singolare coincidenza: Adamo Bove, il responsabile della sicurezza delle intercettazioni di Tim e Telecom che è morto l’altro ieri in circostanze misteriose (la Procura di Napoli indaga per «istigazione al suicidio »), è l’uomo che ha incastrato il Sismi per il sequestro di Abu Omar. I suoi ex colleghi della Digos di Milano ieri erano sconvolti. «Era un grandissimo poliziotto, eravamo amici da una vita, avevamo fatto la scuola insieme... ­ ricorda, con la voce spezzata dalla commozione - uno dei funzionari dell’antiterrorismo che hanno fatto le indagini contro la Cia e il Sismi ­. Mi chiedete se è vero che Bove ci aveva aiutato? Eccome se è vero. E a questo punto possiamo, anzi dobbiamo dirlo. Senza di lui non saremmo mai riusciti a intercettare i cellulari dei dirigenti del Sismi accusati del sequestro ».

L’«eccezionale contributo» di Adamo Bove all’inchiesta milanese sulle «operazioni congiunte Cia-Sismi» (anni di attività segrete e illegali, di cui il rapimento dell’imam è solo la prima ad essere scoperta) è recentissimo. Tre mesi fa il carabiniere Luciano Pironi, che al Ros tutti chiamano «Ludwig», è il primo italiano a confessare di aver aiutato la Cia a rapire Abu Omar. Ludwig dice che era la sua «prova d’ammissione al Sismi». E nel verbale parla anche di rapporti riservati tra uomini dei servizi e dirigenti di Telecom, facendo i nomi di Marco Mancini, il capodivisione poi arrestato per il sequestro, e di Giuliano Tavaroli, dal 2001 capo della sicurezza del colosso telefonico, carica lasciata nel maggio 2005 dopo essersi visto indagare e perquisire dai pm milanesi con l’accusa di «associazione per delinquere» finalizzata a spiare perfino le Procure.
Dopo le rivelazioni di Ludwig i pm milanesi devono cominciare a intercettare i vertici del Sismi, per cui hanno due grossi problemi. Gli 007 indagati usano (ovviamente) cellulari protetti, intestati a inesistenti immigrati albanesi, ditte di copertura o società-fantasma. La polizia ha bisogno di sapere in fretta quali telefonini siano in quel momento in uso agli indagati. Ma non basta. I pm sanno che in Telecom continuano a lavorare uomini di Tavaroli, i quali non devono sapere che Mancini è intercettato.
Entrambi i problemi sono stati risolti da Adamo Bove. «È stato bravissimo come sempre ­ ricorda l’alto funzionario della polizia di Milano ­. Ci ha indicato a tempo di record i telefonini buoni, quelli da intercettare subito. A quel punto gli abbiamo chiesto di preparare un sistema d’intercettazione in grado di escludere qualsiasi spiata. Gli abbiamo detto: devi essere l’unico all’interno di Telecom a sapere di queste intercettazioni. Devi fare in modo che nessun altro possa scoprirlo».
I risultati delle intercettazioni si commentano da soli: due capidivisione arrestati, almeno nove indagati, il direttore del Sismi sotto accusa come mandante italiano del sequestro. E una certezza della Digos: «Senza Adamo Bove non saremmo andati da nessuna parte».

Seconda strana coincidenza. Appena si è scoperto il presunto suicidio, qualcuno ha cominciato a far girare la falsa notizia che Bove fosse indagato a Milano per l’affare Tavaroli-Telecom. Quando i pm lo hanno smentito ufficialmente, rompendo per una volta la linea di non dire ai giornalisti neppure quali errori fanno, è subito circolata una seconda notizia, anche questa falsa, che Bove fosse stato protagonista di testimonianza esplosiva, ai limiti dell’incriminazione, davanti agli stessi pm milanesi che in realtà non lo hanno mai sentito. È vero invece che è partita dall’ufficio di Bove la prima relazione (firmata dal capo del controllo interno) che ha spinto i vertici di Telecom a denunciare alla Procura che qualcuno, ai tempi di Tavaroli, poteva spiare i tabulati telefonici senza lasciare traccia.

Terza misteriosa coincidenza. Adamo Bove era diventato uno dei tecnici che stavano aiutando la polizia postale nel troncone più delicato del cosiddetto «Laziogate », l’inchiesta nata dalla scoperta di un clamoroso caso di spionaggio politico finalizzato a condizionare le elezioni regionali del 2005 a Roma. Dopo l’arresto degli investigatori privati accusati di aver filmato, pedinato e acquisito illecitamente (tangenti a due marescialli della Guardia di Finanza) dati personali per screditare Piero Marrazzo e Alessandra Mussolini, nel tentativo di favorire l’ex ministro di An Francesco Storace, il pm romano Piero Saviotti ha aperto un’indagine, collegata alla precedente, su casi di spionaggio privato (il reato-base è la violazione della privacy) attraverso i dati dei telefonini.
La procura ipotizza un traffico di tabulati: dati sulle chiamate girati a pagamento a investigatori senza scrupoli. Secondo l’agenzia Ansa, proprio Adamo Bove «collaborava da mesi con i suoi ex colleghi in divisa e stava ricostruendo con loro il flusso dei tabulati di Tim e Telecom finiti nel mirino». «Adamo era rimasto un bravo poliziotto», ha confidato un inquirente romano che in questi mesi ha lavorato con lui. Nelle inchieste contro gli spioni telefonici, Adamo Bove aveva in realtà la posizione giuridica di «denunciante ».
Dopo le prime indiscrezioni sui controlli interni a Telecom, il manager aveva presentato «un esposto a propria tutela », rivelando ai pm che il sistema per rubare i tabulati telefonici senza lasciare tracce era attivabile solo da alcuni computer, anche lontani dalla sede centrale. Accessi anonimi, con password riservate, che interessano molto anche ai pm di Milano.
L’inchiesta per il sequestro di Abu Omar (che il 5 luglio ha portato a perquisire un altro dipendente Telecom che passava notizie riservate a due giornalisti, risultati al servizio del Sismi) ha fatto scoprire tra l’altro una prima lista di telefonini spiati: tabulati che, secondo testimonianze che la procura sta cercando di verificare, sarebbero stati passati al Sismi, con la giustificazione che bisognava controllare pericolosi terroristi islamici.
In realtà alcuni numeri corrispondono a musulmani notoriamente moderati: tra gli spiati insomma non c’era nemmeno uno degli integralisti indagati come fiancheggiatori del terrorismo, anzi c’erano i loro nemici interni. E gli altri cellulari spiati, sempre stando alle indiscrezioni, non c’entrano niente con l’Islam: le vittime sono ex giocatori dell’Inter, come Vieri e Ronaldo, e banchieri come Cesare Geronzi. Tutte coincidenze? "
 
tontolina ha scritto:
certo che il giornalista Farina del diavolo del giornale "Libero" solo di nome ma sarebbe più appriopriato "dpistaggio Libero"
Farina nome in codice BETULLA


http://www.investireoggi.it/forum/viewtopic.php?p=416320#416320

WWW.CENTOMOVIMENTI.COM - 19 FEBBRAIO 2007
Farina ha patteggiato: per lui sei mesi di galera
redazione

Il vicedirettore di Libero Renato Farina ha patteggiato davanti al Giudice di Milano Caterina Interlandi una condanna a sei mesi di reclusione (convertita in pena pecuniaria).
Il giornalista era accusato di favoreggiamento in sequestro di persona, l'inchiesta era quella relativa al caso della cattura - da parte di agenti della Cia e del Sismi - del cittadino egiziano Abu Omar. Allo stesso modo ha agito l'ex carabiniere dei Ros Luciano Pironi , che ha incassato una condanna a nove mesi e dieci giorni di carcere.

http://www.centomovimenti.com/2007/febbraio/19_farina.htm
 

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