L'articolo che copio e che parla di un libro (che io ho letto) è interessante:
Se un avvocato d’ufficio si rifiutasse, per motivi di coscienza, di difendere uno stupratore andrebbe incontro a sanzioni disciplinari. E se un aspirante poliziotto mostrasse di non avere intenzione di portarsi dietro la pistola di certo non passerebbe nemmeno la selezione. In altre parole scegliere un mestiere comporta obblighi professionali cui non ci si può sottrarre, se non pagandone le conseguenze in prima persona. Ma le cose funzionano diversamente in ambito sanitario, dove l’obiezione di coscienza è una possibilità prevista dalla legge. A cui si appellano però sempre più medici e operatori, e per un numero crescente di situazioni, generando un conflitto difficile da gestire tra il diritto del paziente di accedere a determinati servizi e quello del medico di rivendicare una libertà morale e religiosa che lo esoneri da certi compiti. Ma perché si usa ancora questa espressione, “obiezione di coscienza”, in origine riferita a chi rifiutava il servizio militare obbligatorio?
È ancora sensato chiamarla così per un medico che prima ha scelto liberamente quella professione e poi ha scelto di praticarla nel settore pubblico, dove la legge prevede l’erogazione di determinati servizi? Se lo chiede Chiara Lalli, bioeticista, docente universitaria e giornalista, nel suo ultimo saggio dal titolo “C’è chi dice no. Dalla leva all’aborto, come cambia l’obiezione di coscienza”, edito da Il Saggiatore. Un’indagine che spazia dall’analisi di argomenti e posizioni contrastanti al racconto di storie di vita, che danno un nome e un volto alle persone, di solito donne, che hanno vissuto sulla propria pelle l’esperienza del rifiuto: per esempio di un contraccettivo d’emergenza o dell’anestesia. Per l’autrice nel corso degli anni l’obiezione di coscienza ha subìto un cambiamento profondo, trasformandosi da atto libertario che non comprometteva la libertà di altri, «ad ariete per contrapporsi a diritti individuali sanciti dalla legge», osserva Lalli. In particolare «l’impressione è che l’obiezione di coscienza sia la via usata per demolire la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, visto che attaccarla direttamente risulta troppo impopolare».
In anni ormai lontani, quando il servizio militare era obbligatorio, chi si rifiutava di imbracciare il fucile finiva in carcere, fino a quando l’obiezione alle armi è stata introdotta come possibile scelta, che doveva però essere compensata da un incarico alternativo, il servizio civile. In ambito sanitario i rifiuti sono parecchi, sempre di più: nei reparti di ginecologia l’obiezione risulta in aumento da anni, tanto che il 75% dei medici si dichiara obiettore, e spesso dicono di no anche gli anestesisti (quasi il 52%), e il personale non medico (44%). «Una pratica ormai fuori controllo, al punto da mettere a rischio la garanzia del servizio», sottolinea Lalli. Ma se l’obiezione del singolo medico è legale, non lo è altrettanto per un ospedale intero, che invece è tenuto a garantire il servizio. Tuttavia in assenza di un tetto massimo di obiettori in reparto, la pratica ormai dilaga, si estende anche a nuove tecniche mediche, come l’inseminazione artificiale.
«Se dopo avere attribuito un diritto non si stabiliscono le condizioni del suo esercizio (condizioni che spesso implicano doveri) quel diritto è carta straccia», si legge nel saggio. Ma oltre ai casi in cui l’obiezione è espressamente prevista dalla legge, le cronache ci consegnano storie di rifiuti per la prescrizione di contraccettivi o della pillola del giorno dopo, o addirittura di esami specialistici se destinati a valutare un ciclo di inseminazione artificiale, fino ai casi più bizzarri, come il sindaco di Sedriano, nel milanese, che si è rifiutato di sposare coppie con rito civile, «perché il matrimonio, quello vero, è solo quello davanti a Dio». E presto anche i farmacisti – al momento obbligati a consegnare qualsiasi sostanza di fronte a una prescrizione medica - potrebbero avere il loro diritto di rifiutare la vendita di specialità a cui sono contrari, come prevede il disegno di legge depositato in parlamento. «Sono andata in giro per ospedali, ho parlato con molti medici obiettori per capirne le motivazioni», spiega l’autrice, «E spesso mi sono trovata di fronte argomentazioni fantasiose, come quelli che vorrebbero poter scegliere caso per caso se dire di no: uno scenario che fa un po’ paura, se si pensa alla discrezionalità che ne deriverebbe».
«Siamo ormai di fronte a una situazione che non si può più ignorare», commenta Lalli, «È urgente una riflessione pubblica sui possibili scenari, anche solo per stabilire qual è il limite. Perché se il medico ha il diritto di rifiutarsi, perché non dovrebbe averlo anche un altro lavoratore?», chiede Lalli, che nel libro cita il caso di un poliziotto che si rammaricava di non avere il diritto di rifiutarsi di prestare servizio per garantire l’ordine pubblico ai concerti di Simone Cristicchi, di cui non condivideva le idee espresse nella canzone ‘Genova brucia’. «Bisogna tornare a riflettere seriamente sull’argomento», osserva Lalli, «anche perché la situazione attuale di solito penalizza le persone più deboli: chi non conosce i propri diritti, oppure chi si trova nell’ansia di dover fare presto, come nel caso della contraccezione d’emergenza, o chi non ha i mezzi per andare all’estero» per aggirare i problemi di casa nostra.
Dunque un’espressione usata a sproposito, quella di obiezione di coscienza, che finisce spesso per creare una contrapposizione diretta tra i diritti di singole persone: medici e pazienti. Anche se non è sempre così: l’obiezione è prevista anche per la sperimentazione sugli animali, «dove però non si crea un conflitto diretto tra diritti individuali, come in ambito sanitario». D’altronde «sarebbe sgradevole obbligare il medico, o altro personale sanitario, a fare qualcosa che non vuole fare», sottolinea Lalli, «Bisogna però trovare il modo di garantire un servizio previsto dalla legge, come fanno all’estero, dove le percentuali di obiezione sono diversissime, per esempio in Francia i medici obiettori sono circa il 10%». Anche perché nel nostro Paese il fenomeno dell’obiezione nel settore privato scompare.