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questi sono Ladri e basta
L’ULTIMA IMPRESA DEL LEADER LEGHISTA
Insulti e sberleffi, l’autunno del Senatur
Offende il ministro Brunetta per la statura
Non argomenta più, insulta. Non formula più giudizi, offende. Bossi è il capo di un importante partito di governo, un ministro della Repubblica. Ma deride senza vergognarsene un altro ministro (ovviamente Brunetta) bollandolo come un «nano», per la statura fisica.
Un modo di fare incivile. Come se qualcuno oltraggiasse lui, Umberto Bossi, per la difficoltà di parlare a causa della sua malattia. L’esuberanza espressiva di Bossi sta diventando un problema. Segno del declino triste di un leader centrale nella storia della Seconda Repubblica e che ha saputo interpretare genialmente in anticipo gli umori e i problemi della «questione settentrionale». Il suo modo di rapportarsi al mondo con pernacchie, gestacci e vivaci rumoreggiamenti sta tracimando, incontrollato, quasi alimentato dall’indulgenza carismatica dei suoi seguaci che vedono in questa festa del gorgoglio gestuale il segno di uno schietto spirito popolaresco. Dare del «nano» a Brunetta, poi, è il massimo dell’ovvietà conformista, fatta propria anche dai sacerdoti del politicamente corretto i quali inorridirebbero se un loro amico e sodale venisse sbeffeggiato per un difetto fisico, ma che per odio politico si accaniscono senza ritegno sulla statura di un loro nemico. Da ieri, potenza del paradosso, i politicamente corretti ma scorretti con gli uomini molto bassi hanno un nuovo alleato: Umberto Bossi.
Il quale Bossi non sa più trattenersi. La sua è, tecnicamente, una grave forma di incontinenza lessicale e mimica. Un giudizio sul discorso di Tremonti? «Una rottura di c…oni». Un giudizio sulla proposta di Brunetta di toccare le pensioni? Ancora una volta, con turpiloquio compulsivo da scuola media inferiore: «Non rompesse i c…oni». Formigoni ha da dire qualcosa sul federalismo fiscale? Risposta di Bossi: una pernacchia. Anzi, un abbozzo di pernacchia, niente a che fare con la rotonda sonorità, l’artistico risuonar di Totò o Eduardo. E poi i movimenti, patetici, lontana e pallida eco di una stagione oramai perduta. Quasi sempre le dichiarazioni di Bossi, già di impervia decifrazione da parte dei cronisti che fanno fatica a star dietro alla coerenza logica delle cose dette dal leader della Lega, terminano con un roteare tremebondo e malfermo dell’avambraccio destro appoggiato sulla mano, ricordo spento di una stagione, quella del celodurismo, in cui quel gesto voleva esprimere vigore, machismo, potenza. Ora quella potenza, politicamente, si è appannata. E il linguaggio sfrenato di Bossi aumenta tanto quanto tende a diminuire un consenso elettorale che al Nord sembrava plebiscitario e che ultimamente invece si è inaridito. La leadership carismatica del capo sembra sfibrata. La fronda interna si è imbaldanzita. La crisi economica costringe un partito nato sugli umori della rivolta fiscale ad assecondare la mortificazione del ceto medio, del popolo delle partite Iva, delle piccole imprese tramortite dalla tempesta dell’economia. E Bossi tenta di far risplendere il suo carisma con il linguaggio preverbale delle pernacchie e dei «tie’» esibiti contro un mondo che non capisce più cosa voglia la Lega, cosa si nasconda dietro i gorgoglii indecifrabili di un capo che persino nel Carroccio stentano a riconoscer come vero capo.
È un dramma umano e politico. Che sta diventando però oramai motivo di serio imbarazzo politico e istituzionale. C’è un codice non scritto, ma che dovrebbe essere accolto come decalogo ovvio, che impedisce a un ministro di abbandonarsi a rumori molesti, di apostrofare i suoi colleghi con epiteti gratuitamente oltraggiosi e di rivolgersi al mondo esclusivamente con il gesto dell’ombrello, che potrebbe essere considerato improprio, nella sua maniacale ripetitività, persino in una curva da stadio. Ma ciò che per noi italiani, assuefatti a ogni eccesso, può essere motivo di rassegnato sorriso, nei circuiti della reputazione internazionale può essere un ulteriore, micidiale colpo alla nostra credibilità. A quell’impalpabile virtù, difficilmente quantificabile ma determinante nei rapporti internazionali, che è l’autorevolezza o il prestigio. Quindi Bossi la smetta. Tenga a bada i suoi istinti primordiali, leghi la lingua e l’avambraccio. Lo chiede l’Italia. E forse anche, se esistesse, la Padania.
Pierluigi Battista
17 agosto 2011 09:09