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“E l’azionista Calamandrei chiese un commissario per le toghe”
“E l’azionista Calamandrei chiese un commissario per le toghe”
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Sunday 20 February 2011
Quel che temo sopra ogni altra cosa, è che siamo ormai nell'imminenza di uno scontro istituzionale prima che politico, di gravità, intensità e conseguenze tali, che persino gli anni 1992-1994 potrebbero apparire a confronto una passeggiata. Credo che vada presa molto sul serio la determinazione di Berlusconi a non farsi da parte sotto il peso delle indagini nuove e vecchie della Procura di Milano, sotto la sferza dei tre vecchi processi che senza scudo tra poco si riaprono per lui, in aggiunta alle accuse infamanti per le notti di Arcore. E credo proprio, dall'altra parte, che la magistratura non demorderà certo oggi, da quel che crede giusto e appropriato, secondo l'imperativo categorico "fiat iustitia, pereat mundus". Mi piacerebbe, in un'altra Italia, diversa da questa divisa, incattivita e chiusa in corrusche armature alla vigilia d'armi, che potessero, avere effetto delle sagge parole. Che in uno Stato improntato a modelli liberaldemocratici capiti che le relazioni fra giustizia e politica non filino sempre lisce e anzi stentino a funzionare, non è una novità.
«Accade che lo Stato agisce talora come se fosse il più aperto nemico dei giudici e i giudici se vogliono rendere giustizia devono farlo a volte, più che in nome dello Stato, a dispetto dello Stato. Qui in Italia tra magistrati e ministri di giustizia si respira da un pezzo un'atmosfera di reciproca ostilità e mutuo sospetto».
Non è neanche nuovo che a quel punto soprattutto il pubblico ministero, si senta investito di una missione sostitutiva e salvifica della politica stessa.
«Il pm come il difensore è per sua natura parziale, la parzialità del pm e del difensore è una caratteristica della loro funzione ed è proprio da questa parzialità che deriva l'imparzialità del giudice, le due parzialità sono essenziali per raggiungere la giustizia. Proprio per questo è improprio arrivare a ipotizzare per il pm le stesse identiche prerogative riservate al giudice. Il pm è un magistrato che va garantito e rispettato, certo, ma la sua toga non ha quel valore supremo e inviolabile che ha la toga del giudice. Per questo va istituito un "Commissario di Giustizia", nominato dal Presidente della Repubblica e tenuto a rispondere al Parlamento sul funzionamento della magistratura e in primo luogo dei pm».
Di chi sono queste parole virgolettate? Gli studiosi di diritto le avranno subito riconosciute. Sono di Piero Calamandrei. Grande del diritto italiano, antifascista ma coestensore del codice civile, azionista e socialista, difensore del pacifista Danilo Dolci e autore di un libro magistrale negli anni Trenta, l'elogio del giudice scritto da un avvocato, quando i giudici erano per gli antifascisti in odore di servizio al regime. Le sue parole sullo scontro tra giudici e politica risalgono al 1921, quando pure i ministri e i politici di allora si chiamavano Vittorio Emanuele Orlando oppure erano maestri del diritto come Lodovico Mortara.
E le parole relative al Pm da incardinare sotto un apposito Commissario di giustizia che ne rispondesse in Parlamento sono la sua arcifamosa proposta avanzata alla Costituente, per rimarcare che il giudice e il pm indipendenti e indipendentissimi dovevano essere, ma non mai superiori alla politica espressione del suffragio universale. Di quella proposta non si fece nulla. E da 17 anni è anche caduta la norma voluta dai costituenti in materia di immunità parlamentare, all'articolo 68.
I giudici sono uomini con le loro debolezze e le loro tentazioni, disse Calamandrei alla Costituente. Per questo, dovevano pensare bene agli effetti di talune loro sentenze.
Leggiamolo: «Non "abituatevi" mai a rendere giustizia. Ogni sentenza deve provocare in voi sempre quel senso quasi religioso di costernazione che vi fece tremare quando, pretori di prima nomina, doveste pronunciare la vostra prima sentenza... Non ammalatevi mai di quel terribile morbo dei burocrati che si chiama conformismo... Il giudice che si "abitua" a rendere giustizia è come il sacerdote che si "abitua" a dire Messa».
Ecco, mi piacerebbe molto che i magistrati e i giudici di Milano come altrove rileggessero bene queste parole. Ma so anche che è una pia illusione. I prossimi mesi saranno asperrimi. Diciassette anni di via giudiziaria alla politica hanno trasformato anche il patto associativo che regge le diverse correnti della magistratura: la politica e le ascendenze di sinistra della vecchia Magistratura democratica non c'entrano più. Negli anni il patto è diventato assoluto, prescinde dai rispettivi orientamenti politico-culturali. La colpa di non aver proceduto a una riforma ordinamentale della giustizia, da parte del centrodestra, è gravissima. E l'enfasi accumulata ormai nella molla giudiziaria da una parte, e nella durezza a difesa di Berlusconi dall'altra, solo a patto di un miracolo eviterà un trauma profondo dagli effetti devastanti.
“E l’azionista Calamandrei chiese un commissario per le toghe”




«Accade che lo Stato agisce talora come se fosse il più aperto nemico dei giudici e i giudici se vogliono rendere giustizia devono farlo a volte, più che in nome dello Stato, a dispetto dello Stato. Qui in Italia tra magistrati e ministri di giustizia si respira da un pezzo un'atmosfera di reciproca ostilità e mutuo sospetto».
Non è neanche nuovo che a quel punto soprattutto il pubblico ministero, si senta investito di una missione sostitutiva e salvifica della politica stessa.
«Il pm come il difensore è per sua natura parziale, la parzialità del pm e del difensore è una caratteristica della loro funzione ed è proprio da questa parzialità che deriva l'imparzialità del giudice, le due parzialità sono essenziali per raggiungere la giustizia. Proprio per questo è improprio arrivare a ipotizzare per il pm le stesse identiche prerogative riservate al giudice. Il pm è un magistrato che va garantito e rispettato, certo, ma la sua toga non ha quel valore supremo e inviolabile che ha la toga del giudice. Per questo va istituito un "Commissario di Giustizia", nominato dal Presidente della Repubblica e tenuto a rispondere al Parlamento sul funzionamento della magistratura e in primo luogo dei pm».
Di chi sono queste parole virgolettate? Gli studiosi di diritto le avranno subito riconosciute. Sono di Piero Calamandrei. Grande del diritto italiano, antifascista ma coestensore del codice civile, azionista e socialista, difensore del pacifista Danilo Dolci e autore di un libro magistrale negli anni Trenta, l'elogio del giudice scritto da un avvocato, quando i giudici erano per gli antifascisti in odore di servizio al regime. Le sue parole sullo scontro tra giudici e politica risalgono al 1921, quando pure i ministri e i politici di allora si chiamavano Vittorio Emanuele Orlando oppure erano maestri del diritto come Lodovico Mortara.
E le parole relative al Pm da incardinare sotto un apposito Commissario di giustizia che ne rispondesse in Parlamento sono la sua arcifamosa proposta avanzata alla Costituente, per rimarcare che il giudice e il pm indipendenti e indipendentissimi dovevano essere, ma non mai superiori alla politica espressione del suffragio universale. Di quella proposta non si fece nulla. E da 17 anni è anche caduta la norma voluta dai costituenti in materia di immunità parlamentare, all'articolo 68.
I giudici sono uomini con le loro debolezze e le loro tentazioni, disse Calamandrei alla Costituente. Per questo, dovevano pensare bene agli effetti di talune loro sentenze.
Leggiamolo: «Non "abituatevi" mai a rendere giustizia. Ogni sentenza deve provocare in voi sempre quel senso quasi religioso di costernazione che vi fece tremare quando, pretori di prima nomina, doveste pronunciare la vostra prima sentenza... Non ammalatevi mai di quel terribile morbo dei burocrati che si chiama conformismo... Il giudice che si "abitua" a rendere giustizia è come il sacerdote che si "abitua" a dire Messa».
Ecco, mi piacerebbe molto che i magistrati e i giudici di Milano come altrove rileggessero bene queste parole. Ma so anche che è una pia illusione. I prossimi mesi saranno asperrimi. Diciassette anni di via giudiziaria alla politica hanno trasformato anche il patto associativo che regge le diverse correnti della magistratura: la politica e le ascendenze di sinistra della vecchia Magistratura democratica non c'entrano più. Negli anni il patto è diventato assoluto, prescinde dai rispettivi orientamenti politico-culturali. La colpa di non aver proceduto a una riforma ordinamentale della giustizia, da parte del centrodestra, è gravissima. E l'enfasi accumulata ormai nella molla giudiziaria da una parte, e nella durezza a difesa di Berlusconi dall'altra, solo a patto di un miracolo eviterà un trauma profondo dagli effetti devastanti.