Parla Stefano Scarpetta, capo dipartimento dell'occupazione
(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Milano, 02 giu - Disoccupati,
'scoraggiati', se non addirittura totalmente inattivi: i
giovani italiani non solo hanno subito piu' pesantemente
degli adulti l'impatto della crisi sul mercato del lavoro
(tasso di disoccupazione al 28,5% contro l'8,1% medio in
base ai piu' recenti dati Istat), ma rischiano anche di
portarne a lungo le cicatrici sulla loro vita professionale;
quando finalmente iniziera'. E' il quadro tracciato da
Stefano Scarpetta, capo del dipartimento di analisi e
strategie dell'occupazione dell'Ocse, con l'invito ad
investire nella formazione e nei contratti di apprendistato
per ristabilire "la passerella" tra scuola e mondo del
lavoro. "Se si sommano i giovani disoccupati e gli
'scoraggiati', quelli che non cercano neppure piu' un lavoro
perche' hanno perso la speranza di trovarlo, in Italia si
arriva al 18,5% dell'intera generazione tra i 15 e i 24
anni. E' uno dei gruppi piu' vulnerabili e di cui bisogna
occuparsi: e' su questi giovani, molti dei quali hanno
qualifiche basse o vivono in zone con basse opportunita' di
occupazione, che bisogna concentrare gli sforzi", sottolinea
Scarpetta in un colloquio con Radiocor-Il Sole 24 Ore, sulla
scia dei dati dell'ultimo Outlook economico
dell'Organizzazione che riunisce i 34 Paesi piu'
industrializzati. "Non si parla di una generazione perduta,
come e' stato fatto un po' enfaticamente, ma per alcune
categorie di giovani la situazione e' estremamente difficile
in Italia, come in altri paesi Europei", dice l'economista
che avverte del pericolo dello 'scarring effect' - l'effetto
cicatrice -, ovvero le ricadute di lungo termine sulla vita
lavorativa dell'iniziale difficolta' di accesso al lavoro. In
base all'Economic Outlook diffuso la scorsa settimana, tra
il 2007 e il 2010, il tasso di attivita' in Italia e'
diminuito di circa 1,7 punti, una delle flessioni maggiori
nell'Ocse. Andando nel dettaglio, la contrazione e' di ben 5
punti tra i giovani di 15-24 anni, anche in questo caso uno
dei cali piu' ampi tra i Paesi industrializzati. Se la
riduzione della partecipazione dei giovani al mondo del
lavoro e' il risultato di una scelta di prolungare il periodo
di formazione nel mondo della scuola o dell'universita' -
osserva Scarpetta - cio' "e' positivo" dato che permette di
migliorare il capitale umano. Se invece il giovane e'
completamente inattivo, "il problema e' piu' serio e
potenzialmente pericoloso". Sono i 'Ne' ne'', 'ne' al lavoro ne'
scuola' e "l'Italia, gia' sopra la media dell'Ocse in questa
categoria, adesso e' salita ulteriormente".