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RISCHIO GRECO PER L'ITALIA? SIAMO SERI, E FACCIAMO PARLARE I FATTI
Roma - di Renzo Rosati
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Roma - L’Italia come la Grecia? Verrebbe da dire: siamo seri. Se non fosse che questo tipo di allarme viene più o meno esplicitamente propagato dai massimi leader europei, che a loro volta parlano spesso per motivi tutti politici. Cioè da coloro che dovrebbero esercitare il massimo della responsabilità. Qualche giorno fa Angela Merkel ha parlato di “fragilità” della Grecia e dell’Italia, stabilendo una pericolosissima equazione. Ma la sindrome greca dilaga anche da noi: dalla Confindustria (“Il Paese è in pericolo”, Emma Marcegaglia) ai politici, quelli della sinistra in prima fila, ma anche qualcuno della maggioranza. “Rischiamo la fine della Grecia” è il refrain di queste ore.
Ma stiamo impazzendo? Per una volta il mondo della finanza, spesso così cinico, ragiona con più raziocinio. In un report rilasciato martedì da Credit Suisse l’équipe di analisti paragona innanzi tutto il problema della competitività italiana a quello greco, ma anche a quello portoghese. Con questi risultati: “Con un disavanzo delle partite correnti del 3,9% del Pil, la perdita di competitività appare nettamente inferiore a Grecia e Portogallo, dove il disavanzo è di 9,6% e 8,9% del Pil”. Inferiore: siamo ad un terzo. Credit Suisse si sofferma anche sul debito sovrano: “L’Italia ha una scadenza media di 7,2 anni e circa la metà di questo è di proprietà di investitori nazionali”. Ciò significa, spiegano gli analisti, “che ogni aumento dell’1% nel rendimento dei titoli dopo un anno aggiunge solo lo 0,4% del Pil per i costi di finanziamento”. Ma soprattutto, sostengono, l’Italia è stata disponibile ad adottare alcune misure fiscali dolorose, con un nuovo pacchetto di austerità di 60 miliardi di euro (3,8% del Pil) tra il 2011 e il 2013. Quindi, concludono al CS, “riteniamo che il rischio di default del prezzato nel mercato dei Cds è troppo alto”. Traduciamo per i non addetti: i Credit default swap (Cds), questi strumenti che dovrebbero appunto assicurare gli operatori finanziari sul rischio di un paese, ed invece sono divenuti l’ennesima diavoleria speculativa, con il loro mercato e i loro guadagni, sono giunti per l’Italia ad un livello abnorme.
La conferma? Lo stesso declassamento da A+ ad A deciso da Standard & Poor’s, se misurato con i criteri contabili dell’agenzia di rating, individua un rischio default dell’Italia nello 0,68%. Mentre le quotazioni dei Cds, che ballano intorno ai 500 punti, indicherebbero un rischio addirittura del 34%. Come ha fatto notare il Sole-24 Ore, saremmo al livello dell’Ecuador, del Libano, dell’Argentina, tutti paesi con rating tra la C e la B.
Ma abbandoniamo le tecnicalità e le speculazioni dei mercati per tornare alle decisioni dei politici. Ieri il governo greco ha annunciato un ennesimo piano di austerity che comprende stavolta un taglio alle pensioni pari ad oltre 1.200 euro al mese, la messa in cassa integrazione di 30 mila dipendenti pubblici, l’abbassamento da 8mila a 5mila euro del reddito minimo che consente l’esenzione fiscale. Si tratta di misure draconiane che non trovano alcun riscontro, alcun parallelismo in quanto fatto dall’Italia, e neppure in quanto si ipotizza di fare ancora. Eppure l’obiettivo di Atene è di portare il deficit pubblico al 7,5% nel 2011, una percentuale tuttora doppia di quella italiana.
In altri termini, se noi abbiamo un problema di bassa crescita la Grecia ha un problema di sopravvivenza. Se noi abbiamo un enorme debito pubblico, la Grecia ha un debito in rapporto al Pil che si avvia ad essere una volta e mezzo il nostro. Se noi, soprattutto, abbiamo la terza ricchezza privata del mondo – 9.500 miliardi di euro lordi – la Grecia non ha ufficialmente una ricchezza privata, se non quella (cospicua) protetta dal sommerso o dall’invio di denaro a Cipro o dagli investimenti immobiliari in Bulgaria, recentemente cresciuti del 400%.
Sappiamo benissimo che esiste in Germania un forte movimento, nella classe dirigente e nell’opinione pubblica, che considera comunque ingiusto aiutare i paesi a rischio, Italia compresa. Questo movimento ha come riferimenti il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ed il consigliere dimissionario della Bce Jurgen Stark. Trova udienza nella gente perché il messaggio è semplice: non dobbiamo accollarci i debiti di chi non se lo merita. Comprensibile. Ma questi debiti ce li accolliamo anche noi: siamo i terzi contribuenti del fondo europeo salva-stati, con 150 miliardi che potrebbero raddoppiare se il fondo stesso venisse elevato dai 750 miliardi di euro attuali a 2mila. A luglio, in piena emergenza, abbiamo erogato alla Grecia 13 miliardi: per giunta a tassi di favore, il 3,5% rispetto al 5,5-6% al quale ci tocca collocare i nostri Btp.
Ecco: forse anziché affannarci a sventolare un rischio greco che non esiste, e magari per motivi di cortile politico interno, sarebbe il caso che la nostra classe dirigente, politica ed economica, spiegasse queste cose. E pretendesse dai partner europei, rispetto ai quali molto otteniamo ma anche molto diamo, una eguale dose di serietà.
(R. Rosati) 22 Settembre 2011 12:00
Roma - di Renzo Rosati
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Roma - L’Italia come la Grecia? Verrebbe da dire: siamo seri. Se non fosse che questo tipo di allarme viene più o meno esplicitamente propagato dai massimi leader europei, che a loro volta parlano spesso per motivi tutti politici. Cioè da coloro che dovrebbero esercitare il massimo della responsabilità. Qualche giorno fa Angela Merkel ha parlato di “fragilità” della Grecia e dell’Italia, stabilendo una pericolosissima equazione. Ma la sindrome greca dilaga anche da noi: dalla Confindustria (“Il Paese è in pericolo”, Emma Marcegaglia) ai politici, quelli della sinistra in prima fila, ma anche qualcuno della maggioranza. “Rischiamo la fine della Grecia” è il refrain di queste ore.
Ma stiamo impazzendo? Per una volta il mondo della finanza, spesso così cinico, ragiona con più raziocinio. In un report rilasciato martedì da Credit Suisse l’équipe di analisti paragona innanzi tutto il problema della competitività italiana a quello greco, ma anche a quello portoghese. Con questi risultati: “Con un disavanzo delle partite correnti del 3,9% del Pil, la perdita di competitività appare nettamente inferiore a Grecia e Portogallo, dove il disavanzo è di 9,6% e 8,9% del Pil”. Inferiore: siamo ad un terzo. Credit Suisse si sofferma anche sul debito sovrano: “L’Italia ha una scadenza media di 7,2 anni e circa la metà di questo è di proprietà di investitori nazionali”. Ciò significa, spiegano gli analisti, “che ogni aumento dell’1% nel rendimento dei titoli dopo un anno aggiunge solo lo 0,4% del Pil per i costi di finanziamento”. Ma soprattutto, sostengono, l’Italia è stata disponibile ad adottare alcune misure fiscali dolorose, con un nuovo pacchetto di austerità di 60 miliardi di euro (3,8% del Pil) tra il 2011 e il 2013. Quindi, concludono al CS, “riteniamo che il rischio di default del prezzato nel mercato dei Cds è troppo alto”. Traduciamo per i non addetti: i Credit default swap (Cds), questi strumenti che dovrebbero appunto assicurare gli operatori finanziari sul rischio di un paese, ed invece sono divenuti l’ennesima diavoleria speculativa, con il loro mercato e i loro guadagni, sono giunti per l’Italia ad un livello abnorme.
La conferma? Lo stesso declassamento da A+ ad A deciso da Standard & Poor’s, se misurato con i criteri contabili dell’agenzia di rating, individua un rischio default dell’Italia nello 0,68%. Mentre le quotazioni dei Cds, che ballano intorno ai 500 punti, indicherebbero un rischio addirittura del 34%. Come ha fatto notare il Sole-24 Ore, saremmo al livello dell’Ecuador, del Libano, dell’Argentina, tutti paesi con rating tra la C e la B.
Ma abbandoniamo le tecnicalità e le speculazioni dei mercati per tornare alle decisioni dei politici. Ieri il governo greco ha annunciato un ennesimo piano di austerity che comprende stavolta un taglio alle pensioni pari ad oltre 1.200 euro al mese, la messa in cassa integrazione di 30 mila dipendenti pubblici, l’abbassamento da 8mila a 5mila euro del reddito minimo che consente l’esenzione fiscale. Si tratta di misure draconiane che non trovano alcun riscontro, alcun parallelismo in quanto fatto dall’Italia, e neppure in quanto si ipotizza di fare ancora. Eppure l’obiettivo di Atene è di portare il deficit pubblico al 7,5% nel 2011, una percentuale tuttora doppia di quella italiana.
In altri termini, se noi abbiamo un problema di bassa crescita la Grecia ha un problema di sopravvivenza. Se noi abbiamo un enorme debito pubblico, la Grecia ha un debito in rapporto al Pil che si avvia ad essere una volta e mezzo il nostro. Se noi, soprattutto, abbiamo la terza ricchezza privata del mondo – 9.500 miliardi di euro lordi – la Grecia non ha ufficialmente una ricchezza privata, se non quella (cospicua) protetta dal sommerso o dall’invio di denaro a Cipro o dagli investimenti immobiliari in Bulgaria, recentemente cresciuti del 400%.
Sappiamo benissimo che esiste in Germania un forte movimento, nella classe dirigente e nell’opinione pubblica, che considera comunque ingiusto aiutare i paesi a rischio, Italia compresa. Questo movimento ha come riferimenti il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ed il consigliere dimissionario della Bce Jurgen Stark. Trova udienza nella gente perché il messaggio è semplice: non dobbiamo accollarci i debiti di chi non se lo merita. Comprensibile. Ma questi debiti ce li accolliamo anche noi: siamo i terzi contribuenti del fondo europeo salva-stati, con 150 miliardi che potrebbero raddoppiare se il fondo stesso venisse elevato dai 750 miliardi di euro attuali a 2mila. A luglio, in piena emergenza, abbiamo erogato alla Grecia 13 miliardi: per giunta a tassi di favore, il 3,5% rispetto al 5,5-6% al quale ci tocca collocare i nostri Btp.
Ecco: forse anziché affannarci a sventolare un rischio greco che non esiste, e magari per motivi di cortile politico interno, sarebbe il caso che la nostra classe dirigente, politica ed economica, spiegasse queste cose. E pretendesse dai partner europei, rispetto ai quali molto otteniamo ma anche molto diamo, una eguale dose di serietà.
(R. Rosati) 22 Settembre 2011 12:00
