Bce, la manovra anti-Lagarde dei falchi della Banca centrale europea
Solo qualche giorno prima dell’appuntamento di giovedì scorso, la Banca centrale europea ha deciso che i venticinque del Consiglio direttivo non si sarebbero incontrati di persona. Neanche questa volta. Dall’esplosione della pandemia in marzo le riunioni dell’organismo che decide i tassi d’interesse, l’offerta di liquidità alle banche e gli acquisti di debito pubblico o privato si sono tenuti sempre e solo tenendo ciascuno collegato in videoconferenza. Sembrava inconcepibile per motivi di sicurezza, fino a pochi mesi fa. Ora la Bce ha già preso decisioni storiche in questo modo. Ma che il comitato esecutivo da Francoforte abbia prima convocato una riunione fisica, per poi trasferirla online, dà la misura di come i banchieri centrali condividano la situazione di tutti gli altri europei: vivono in un’incertezza radicale. Nel caso della Bce una differenza è che l’incertezza è resa maggiore dai segni di un conflitto sulle scelte della banca e sul ruolo di Christine Lagarde.
Proprio giovedì si sono intravisti indizi evidenti che qualcuno opera per ridimensionare il potere della nuova presidente — non a visto aperto — sullo sfondo del nuovo problema di Francoforte: un aumento del valore dell’euro che, dalla vigilia di questa crisi il 20 febbraio a oggi, è stato del 9,7% sul dollaro e del 9,2% sull’insieme delle valute dei principali partner commerciali dell’area. Per un sistema in recessione, un apprezzamento della moneta è l’opposto di ciò che serve: frena l’attività produttiva rendendo più cari i prodotti all’esportazione, mentre sospinge l’economia verso la deflazione per il calo dei costi dei beni importati. La stessa revisione recente degli obiettivi della Federal Reserve non fa che aumentare il rischio che l’euro si rivaluti troppo per lo stato dell’economia, perché lascia intravedere molti anni senza aumenti dei tassi della banca centrale americana e quindi deflussi di capitali dal dollaro. In un mondo sempre più mercantilista, l’Europa rischia di finire nella morsa delle svalutazioni competitive delle altre grandi aree commerciali.
Non è la prima volta. Il 25 gennaio del 2018, con l’euro salito in poco più di un anno del 18% a 1,23 dollari, l’allora presidente della Bce Mario Draghi dichiarò che la volatilità del tasso di cambio era «fonte d’incertezza». Gli investitori capirono: la Bce non avrebbe tollerato oltre. Da allora fino alla vigilia della pandemia, la moneta unica planò in una lunga discesa del 14% sul dollaro. Ora Lagarde e il Consiglio direttivo cercano di fare qualcosa di simile a ciò che fece Draghi, anche se calcando meno la mano. Giovedì per la prima volta la dichiarazione della Bce letta dalla presidente cita gli «sviluppi sul tasso di cambio» fra i fattori da seguire perché possono avere «implicazioni» sull’inflazione. E Lagarde stessa, in conferenza stampa, ha fatto capire che la sua guardia è alta: «Nella misura in cui l’euro mette una pressione negativa sui prezzi — ha detto — dobbiamo monitorare attentamente la questione. E questo è stato discusso a lungo (nel Consiglio direttivo, ndr)». La novità è che in quel momento, poco dopo le due e mezzo di giovedì, Lagarde non era la sola a esprimersi per conto del vertice della Bce.
Nel pieno della sua conferenza stampa, qualcun altro stava parlando in senso contrario. Alle 14:34, subito dopo che Lagarde aveva iniziato a parlare e mentre gli operatori sui mercati attendevano i suoi commenti sull’euro, un lancio di agenzia della Bloomberg ha anticipato la presidente: «Il Consiglio direttivo ha discusso il recente apprezzamento della moneta — si legge — ma l’opinione generale è stata che non c’è ragione di reagire eccessivamente». In altri termini, un messaggio opposto è uscito da Francoforte quando Lagarde cercava di fermare la rivalutazione della moneta con le sue dichiarazioni. E giovedì pomeriggio l’euro è salito da 1,18 a 1,19 dollari. È impossibile che Bloomberg sia uscita senza che qualcuno del Consiglio direttivo, dietro garanzia di anonimato, abbia parlato all’agenzia. E non era mai accaduto prima che la conferenza stampa del presidente fosse contrastata in simultanea da banchieri centrali su posizioni diverse. Il segnale è chiaro: l’ala più intransigente in seno alla Bce non permetterà alla francese di agire da leader, anzi è pronta a minare la sua credibilità se l’ala dei governatori più contrari alle scelte espansive verrà messa in minoranza come faceva Draghi. Le carte sono sul tavolo, proprio ora che l’ombra della deflazione in Europa fa sì che i tassi d’interesse reali per imprese e Stati indebitati siano sempre più pesanti nel pieno della crisi.
Corriere della Sera