Sharnin 2
Forumer storico
Credibilità degli Stati a rischio
Dopo essersi accollati i debiti del settore finanziario
8 feb 2010
di ALFONSO TUOR
La crisi finanziaria iniziata con i mutui ipotecari subprime americani sta subendo un’ulteriore metamorfosi e si sta trasformando in una crisi fiscale. Un assaggio di quanto ci attende è emerso la scorsa settimana in Europa con l’ondata di sfiducia che ha colpito pesantemente i titoli con cui Grecia, Spagna e Portogallo finanziano i loro disavanzi pubblici. In buona sostanza i mercati ritengono che la situazione finanziaria di questi Paesi sia insostenibile, anche perché finora l’Europa ha balbettato e non ha ancora definito quale politica adotterà per aiutare i cosiddetti PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) alle prese con una grave crisi di sfiducia. Anche dalla riunione dei ministri delle Finanze e dell’Economia del G7 tenutasi questo fine settimana in Canada non è giunta alcuna chiarificazione. Il presidente della BCE, Jean-Claude Trichet, ha semplicemente spiegato che «Eurolandia intende risolvere questa crisi da sola senza coinvolgere il Fondo Monetario Internazionale».
Gli avvenimenti degli ultimi giorni hanno fornito un assaggio di quanto ci aspetta, anche se paradossalmente l’assalto speculativo si è concentrato sugli anelli deboli di Eurolandia, trascurando i veri grandi bubboni costituiti dai disavanzi e dai debiti pubblici di Stati Uniti e Gran Bretagna.
Jean-Claude Trichet si è giustamente lamentato del fatto che la crisi fiscale della Grecia attira maggiore attenzione di quella della California, sebbene le condizioni dei conti dello Stato americano siano peggiori e il peso dell’economia californiana rispetto all’economia americana sia nettamente maggiore rispetto a quello della Grecia nei confronti di Eurolandia. Trichet ha ragione, ma dimentica un aspetto essenziale. Nel processo di costruzione dell’euro non si sono stabiliti meccanismi di intervento a sostegno di un Paese in difficoltà. Si è solamente sottoscritto un Patto di stabilità, che avrebbe dovuto esorcizzare questa eventualità imponendo la regola di un disavanzo pubblico non superiore al 3% del PIL di ogni Paese dell’aerea euro e un debito pubblico limitato al massimo al 60% del PIL.
Già al momento della nascita della moneta unica europea questi limiti non erano rispettati da molti Paesi. La crisi finanziaria ha fatto sì che oggi non siano rispettati da nessun Paese europeo. Ora, dato che la difesa dell’euro resta un imperativo, l’Europa ha già deciso di correre in aiuto agli anelli deboli di Eurolandia, come dimostra il no all’intervento del Fondo Monetario e il no agli aiuti cinesi alla Grecia, ma non ha ancora deciso attraverso quale via intervenire e soprattutto in quale modo comunicare all’opinione pubblica tedesca, olandese e degli altri Paesi forti che vi sarà un trasferimento di risorse a favore di greci, portoghesi e spagnoli.
Per questo motivo l’Europa attende che questi Governi presentino programmi di austerità credibili che possano indorare la pillola. In ogni caso, già ora la Banca Centrale Europea sta di fatto intervenendo: le banche greche, portoghesi e spagnole possono finanziarsi presso la BCE al tasso dell’1% e con questi capitali possono acquistare i titoli emessi dai loro Paesi.
Si può quindi azzardare una previsione. La crisi fiscale di Grecia, Spagna e Portogallo verrà tamponata, ma non risolta. Infatti la ricetta che sta prevalendo è chiara e consiste in forti tagli della spesa pubblica (che vanno dalle decurtazioni degli stipendi dei dipendenti pubblici all’innalzamento dell’età di pensionamento e così via). In una situazione di crisi economica, queste misure, almeno nel breve periodo, non faranno altro che aggravare la recessione e molto probabilmente metteranno a dura prova anche la pace sociale di questi Paesi.
Ma quanto sta accadendo in Europa è solo un assaggio di quanto è destinato a capitare in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. La situazione finanziaria di questi due Paesi è insostenibile: non solo hanno un disavanzo pubblico superiore al 10% del PIL e un debito pubblico che sta rapidamente raggiungendo il 100%, ma non dispongono di un risparmio interno sufficiente.
Per coprire i debiti devono quindi ricorrere alla benevolenza degli Stati stranieri (Cina, Giappone, Paesi asiatici, Paesi arabi ecc.). Nell’ultimo anno Stati Uniti e Gran Bretagna hanno risolto il problema della loro perdita di credibilità attraverso le loro Banche Centrali. La Banca d’Inghilterra ha infatti comprato l’intero debito pubblico emesso l’anno scorso da Londra, mentre la Federal Reserve ha ufficialmente acquistato 300 miliardi di dollari di titoli dello Stato americano, cui però si devono aggiungere altri 1.200 miliardi di dollari stampati per comprare titoli di diversa natura emessi dal settore privato. Finora i mercati finanziari non hanno prestato grande attenzione all’insostenibilità di questa situazione, anche se negli Stati Uniti alcuni grandi fondi di investimento hanno comunicato che non acquisteranno più titoli del debito pubblico americano. I mercati non hanno nemmeno prestato grande attenzione alle memorie dell’ex segretario al Tesoro Henry Paulson, il quale ha sottolineato che nell’autunno del 2008, ossia al culmine della crisi bancaria, la preoccupazione maggiore dell’amministrazione Bush era costituita da una possibile fuga dal dollaro che avrebbe reso la crisi ingovernabile.
In conclusione, questo tsunami crisi è stato causato da un’enorme bolla del credito. Finora si è tentato di tamponare i danni, trasferendo agli Stati gran parte dei debiti del settore finanziario. Il risultato è che ora è in discussione la stessa credibilità degli Stati. Dunque, quello che sta capitando oggi alla Grecia, al Portogallo e alla Spagna è solo un assaggio di quanto è destinato a capitare a Gran Bretagna e a Stati Uniti. E tutto ciò segnerà un ulteriore avvitamento su sé stessa di una crisi che è ancora molto lontana dalla fine.
Dopo essersi accollati i debiti del settore finanziario
8 feb 2010
di ALFONSO TUOR
La crisi finanziaria iniziata con i mutui ipotecari subprime americani sta subendo un’ulteriore metamorfosi e si sta trasformando in una crisi fiscale. Un assaggio di quanto ci attende è emerso la scorsa settimana in Europa con l’ondata di sfiducia che ha colpito pesantemente i titoli con cui Grecia, Spagna e Portogallo finanziano i loro disavanzi pubblici. In buona sostanza i mercati ritengono che la situazione finanziaria di questi Paesi sia insostenibile, anche perché finora l’Europa ha balbettato e non ha ancora definito quale politica adotterà per aiutare i cosiddetti PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) alle prese con una grave crisi di sfiducia. Anche dalla riunione dei ministri delle Finanze e dell’Economia del G7 tenutasi questo fine settimana in Canada non è giunta alcuna chiarificazione. Il presidente della BCE, Jean-Claude Trichet, ha semplicemente spiegato che «Eurolandia intende risolvere questa crisi da sola senza coinvolgere il Fondo Monetario Internazionale».
Gli avvenimenti degli ultimi giorni hanno fornito un assaggio di quanto ci aspetta, anche se paradossalmente l’assalto speculativo si è concentrato sugli anelli deboli di Eurolandia, trascurando i veri grandi bubboni costituiti dai disavanzi e dai debiti pubblici di Stati Uniti e Gran Bretagna.
Jean-Claude Trichet si è giustamente lamentato del fatto che la crisi fiscale della Grecia attira maggiore attenzione di quella della California, sebbene le condizioni dei conti dello Stato americano siano peggiori e il peso dell’economia californiana rispetto all’economia americana sia nettamente maggiore rispetto a quello della Grecia nei confronti di Eurolandia. Trichet ha ragione, ma dimentica un aspetto essenziale. Nel processo di costruzione dell’euro non si sono stabiliti meccanismi di intervento a sostegno di un Paese in difficoltà. Si è solamente sottoscritto un Patto di stabilità, che avrebbe dovuto esorcizzare questa eventualità imponendo la regola di un disavanzo pubblico non superiore al 3% del PIL di ogni Paese dell’aerea euro e un debito pubblico limitato al massimo al 60% del PIL.
Già al momento della nascita della moneta unica europea questi limiti non erano rispettati da molti Paesi. La crisi finanziaria ha fatto sì che oggi non siano rispettati da nessun Paese europeo. Ora, dato che la difesa dell’euro resta un imperativo, l’Europa ha già deciso di correre in aiuto agli anelli deboli di Eurolandia, come dimostra il no all’intervento del Fondo Monetario e il no agli aiuti cinesi alla Grecia, ma non ha ancora deciso attraverso quale via intervenire e soprattutto in quale modo comunicare all’opinione pubblica tedesca, olandese e degli altri Paesi forti che vi sarà un trasferimento di risorse a favore di greci, portoghesi e spagnoli.
Per questo motivo l’Europa attende che questi Governi presentino programmi di austerità credibili che possano indorare la pillola. In ogni caso, già ora la Banca Centrale Europea sta di fatto intervenendo: le banche greche, portoghesi e spagnole possono finanziarsi presso la BCE al tasso dell’1% e con questi capitali possono acquistare i titoli emessi dai loro Paesi.
Si può quindi azzardare una previsione. La crisi fiscale di Grecia, Spagna e Portogallo verrà tamponata, ma non risolta. Infatti la ricetta che sta prevalendo è chiara e consiste in forti tagli della spesa pubblica (che vanno dalle decurtazioni degli stipendi dei dipendenti pubblici all’innalzamento dell’età di pensionamento e così via). In una situazione di crisi economica, queste misure, almeno nel breve periodo, non faranno altro che aggravare la recessione e molto probabilmente metteranno a dura prova anche la pace sociale di questi Paesi.
Ma quanto sta accadendo in Europa è solo un assaggio di quanto è destinato a capitare in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. La situazione finanziaria di questi due Paesi è insostenibile: non solo hanno un disavanzo pubblico superiore al 10% del PIL e un debito pubblico che sta rapidamente raggiungendo il 100%, ma non dispongono di un risparmio interno sufficiente.
Per coprire i debiti devono quindi ricorrere alla benevolenza degli Stati stranieri (Cina, Giappone, Paesi asiatici, Paesi arabi ecc.). Nell’ultimo anno Stati Uniti e Gran Bretagna hanno risolto il problema della loro perdita di credibilità attraverso le loro Banche Centrali. La Banca d’Inghilterra ha infatti comprato l’intero debito pubblico emesso l’anno scorso da Londra, mentre la Federal Reserve ha ufficialmente acquistato 300 miliardi di dollari di titoli dello Stato americano, cui però si devono aggiungere altri 1.200 miliardi di dollari stampati per comprare titoli di diversa natura emessi dal settore privato. Finora i mercati finanziari non hanno prestato grande attenzione all’insostenibilità di questa situazione, anche se negli Stati Uniti alcuni grandi fondi di investimento hanno comunicato che non acquisteranno più titoli del debito pubblico americano. I mercati non hanno nemmeno prestato grande attenzione alle memorie dell’ex segretario al Tesoro Henry Paulson, il quale ha sottolineato che nell’autunno del 2008, ossia al culmine della crisi bancaria, la preoccupazione maggiore dell’amministrazione Bush era costituita da una possibile fuga dal dollaro che avrebbe reso la crisi ingovernabile.
In conclusione, questo tsunami crisi è stato causato da un’enorme bolla del credito. Finora si è tentato di tamponare i danni, trasferendo agli Stati gran parte dei debiti del settore finanziario. Il risultato è che ora è in discussione la stessa credibilità degli Stati. Dunque, quello che sta capitando oggi alla Grecia, al Portogallo e alla Spagna è solo un assaggio di quanto è destinato a capitare a Gran Bretagna e a Stati Uniti. E tutto ciò segnerà un ulteriore avvitamento su sé stessa di una crisi che è ancora molto lontana dalla fine.