Sharnin 2
Forumer storico
È solo una boccata d'ossigeno
La Grecia chiede di attivare il piano europeo di aiuti
24 apr 2010
di ALFONSO TUOR
Ieri il Governo greco si è arreso di fronte alla crescente sfiducia dei mercati e ha chiesto ufficialmente l’attivazione immediata del piano di aiuti congiunto tra Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale. È comunque improbabile che i 45 miliardi di euro, che dovrebbero essere presto dati ad Atene, bastino per evitare che la Grecia diventi la Lehman Brothers del 2010. Infatti questo intervento di emergenza può servire unicamente a guadagnare tempo e a sperare che i dubbi sulla solvibilità della Grecia non spingano pericolosamente al rialzo i tassi di interesse di Portogallo, Spagna ed Irlanda, come stava accadendo negli ultimi giorni.
Atene si è arresa dopo l’annuncio della terza revisione del deficit pubblico greco dell’anno scorso. Eurostat, il servizio statistico dell’Unione europea, giovedì scorso lo ha rivisto al rialzo dal 12,9% del PIL al 13,6% ed ha aggiunto di non poter escludere la necessità di ulteriori correzioni. Eurostat prevede anche che il debito pubblico greco, finora valutato al 115% del PIL, debba essere alzato da 5 a 7 punti percentuali. La notizia è stata immediatamente seguita dal declassamento del rating dei titoli statali greci da parte di Moody’s e da un’impennata dei rendimenti: i tassi sulle obbligazioni decennali hanno sfiorato il 9% e la differenza con i titoli tedeschi si è ampliata a 600 punti base. Pure i costi per assicurare i titoli del debito pubblico greco dal rischio di insolvenza sono esplosi, superando persino quelli dell’Ucraina. In queste condizioni per Atene sarebbe stato impossibile rifinanziare circa 10 miliardi di euro di obbligazioni che giungono a scadenza il prossimo 19 maggio e raccogliere i capitali per onorare i bisogni di cassa quotidiani.
Gli aiuti europei e dell’FMI non risolvono il dramma della Grecia. Quest’anno l’economia del Paese mediterranneo si contrarrà, a seconda delle previsioni, tra il 3 e il 5%. L’inflazione scenderà a livelli vicini allo zero quest’anno e anche l’anno prossimo, con la conseguenza che non si contrarrà solo il PIL reale (quello calcolato al netto dell’inflazione), ma anche quello nominale. Il risultato è che le misure di austerità, che secondo il Governo di Atene dovebbero ridurre quest’anno il deficit pubblico greco al 7%, non basteranno, poiché queste previsioni si fondano su stime di crescita troppo ottimistiche: il rapporto tra debito pubblico e PIL continuerà così a salire fino a raggiungere il 150% del PIL. Inoltre nei prossimi cinque anni la Grecia deve raccogliere 250 miliardi di euro (circa il 100% del suo PIL) per rifinanziare i titoli pubblici che giungono a scadenza e per pagare gli interessi. Dunque i 45 miliardi di aiuti non sono sufficienti. Simon Johnson, ex capoeconomista dell’FMI, ritiene che la Grecia ha in realtà bisogno di 200 miliardi di euro per evitare l’insolvenza. Questa consapevolezza continuerà a mantenere elevato il costo del debito greco, poiché molti ritengono inevitabile una sua ristrutturazione (una forma elegante di insolvenza) attraverso l’allungamento delle scadenze dei titoli in circolazione o attraverso una decurtazione del loro valore facciale. Taluni, citando le esperienze di Paesi dell’America Latina, ritengono che il pacchetto d’aiuti UE/FMI sia sufficiente. Essi non tengono però in considerazione il fatto che l’appartenza all’euro sottrae alla Grecia la possibilità di svalutare, di stampare moneta e anche di favorire un’impennata dell’inflazione.
Il dramma della Grecia è quindi lungi dall’essere finito, tanto più che l’elargizione degli aiuti tedeschi non è ancora certa. Il contributo germanico deve non solo essere approvato dal Parlamento, ma dovrà superare anche il vaglio della Corte costituzionale di Karlsruhe, chiamata ad esprimersi su un ricorso d’urgenza di alcuni professori tedeschi. Essi sostengono che vi è violazione del Trattato di Maastricht il quale esclude qualsiasi possibilità di salvataggio di un Paese europeo. Non sono nemmeno destinati a diminuire i timori crescenti sulla sostenibilità della situazione finanziaria di Portogallo, Spagna, Irlanda ed Italia, come dimostra il rialzo dei rendimenti sui loro titoli pubblici.
Tutto ciò fa planare una grande ombra sul futuro della moneta unica europea: sicuramente l’euro non potrà più contare sulla disponibilità a partecipare a nuovi salvataggi da parte della Germania. E questo dopo il temporaneo sospiro di sollievo dei prossimi giorni sarà un pesantissimo fattore di incertezza per l’intera costruzione europea.
La Grecia chiede di attivare il piano europeo di aiuti
24 apr 2010
di ALFONSO TUOR
Ieri il Governo greco si è arreso di fronte alla crescente sfiducia dei mercati e ha chiesto ufficialmente l’attivazione immediata del piano di aiuti congiunto tra Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale. È comunque improbabile che i 45 miliardi di euro, che dovrebbero essere presto dati ad Atene, bastino per evitare che la Grecia diventi la Lehman Brothers del 2010. Infatti questo intervento di emergenza può servire unicamente a guadagnare tempo e a sperare che i dubbi sulla solvibilità della Grecia non spingano pericolosamente al rialzo i tassi di interesse di Portogallo, Spagna ed Irlanda, come stava accadendo negli ultimi giorni.
Atene si è arresa dopo l’annuncio della terza revisione del deficit pubblico greco dell’anno scorso. Eurostat, il servizio statistico dell’Unione europea, giovedì scorso lo ha rivisto al rialzo dal 12,9% del PIL al 13,6% ed ha aggiunto di non poter escludere la necessità di ulteriori correzioni. Eurostat prevede anche che il debito pubblico greco, finora valutato al 115% del PIL, debba essere alzato da 5 a 7 punti percentuali. La notizia è stata immediatamente seguita dal declassamento del rating dei titoli statali greci da parte di Moody’s e da un’impennata dei rendimenti: i tassi sulle obbligazioni decennali hanno sfiorato il 9% e la differenza con i titoli tedeschi si è ampliata a 600 punti base. Pure i costi per assicurare i titoli del debito pubblico greco dal rischio di insolvenza sono esplosi, superando persino quelli dell’Ucraina. In queste condizioni per Atene sarebbe stato impossibile rifinanziare circa 10 miliardi di euro di obbligazioni che giungono a scadenza il prossimo 19 maggio e raccogliere i capitali per onorare i bisogni di cassa quotidiani.
Gli aiuti europei e dell’FMI non risolvono il dramma della Grecia. Quest’anno l’economia del Paese mediterranneo si contrarrà, a seconda delle previsioni, tra il 3 e il 5%. L’inflazione scenderà a livelli vicini allo zero quest’anno e anche l’anno prossimo, con la conseguenza che non si contrarrà solo il PIL reale (quello calcolato al netto dell’inflazione), ma anche quello nominale. Il risultato è che le misure di austerità, che secondo il Governo di Atene dovebbero ridurre quest’anno il deficit pubblico greco al 7%, non basteranno, poiché queste previsioni si fondano su stime di crescita troppo ottimistiche: il rapporto tra debito pubblico e PIL continuerà così a salire fino a raggiungere il 150% del PIL. Inoltre nei prossimi cinque anni la Grecia deve raccogliere 250 miliardi di euro (circa il 100% del suo PIL) per rifinanziare i titoli pubblici che giungono a scadenza e per pagare gli interessi. Dunque i 45 miliardi di aiuti non sono sufficienti. Simon Johnson, ex capoeconomista dell’FMI, ritiene che la Grecia ha in realtà bisogno di 200 miliardi di euro per evitare l’insolvenza. Questa consapevolezza continuerà a mantenere elevato il costo del debito greco, poiché molti ritengono inevitabile una sua ristrutturazione (una forma elegante di insolvenza) attraverso l’allungamento delle scadenze dei titoli in circolazione o attraverso una decurtazione del loro valore facciale. Taluni, citando le esperienze di Paesi dell’America Latina, ritengono che il pacchetto d’aiuti UE/FMI sia sufficiente. Essi non tengono però in considerazione il fatto che l’appartenza all’euro sottrae alla Grecia la possibilità di svalutare, di stampare moneta e anche di favorire un’impennata dell’inflazione.
Il dramma della Grecia è quindi lungi dall’essere finito, tanto più che l’elargizione degli aiuti tedeschi non è ancora certa. Il contributo germanico deve non solo essere approvato dal Parlamento, ma dovrà superare anche il vaglio della Corte costituzionale di Karlsruhe, chiamata ad esprimersi su un ricorso d’urgenza di alcuni professori tedeschi. Essi sostengono che vi è violazione del Trattato di Maastricht il quale esclude qualsiasi possibilità di salvataggio di un Paese europeo. Non sono nemmeno destinati a diminuire i timori crescenti sulla sostenibilità della situazione finanziaria di Portogallo, Spagna, Irlanda ed Italia, come dimostra il rialzo dei rendimenti sui loro titoli pubblici.
Tutto ciò fa planare una grande ombra sul futuro della moneta unica europea: sicuramente l’euro non potrà più contare sulla disponibilità a partecipare a nuovi salvataggi da parte della Germania. E questo dopo il temporaneo sospiro di sollievo dei prossimi giorni sarà un pesantissimo fattore di incertezza per l’intera costruzione europea.