Macroeconomia Usa-Europa Tuor - Eurolandia sull'orlo della crisi

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Eurolandia sull'orlo della crisi
Grecia e dintorni: un megacerotto europeo che non basta
4 mag 2010
di ALFONSO TUOR

Un costoso cerotto che permette di guadagnare tempo, ma che non risolve nulla. È questa la lettura dell’imponente piano dell’Europa e del Fondo monetario internazionale approvato domenica scorsa dall’Eurogruppo. Il vero obiettivo dei 110 miliardi di euro, che verranno dati ad Atene nell’arco di tre anni, non è infatti la soluzione dei problemi fiscali della Grecia. Gli scopi sono altri: salvare l’euro, cercando di limitare il contagio della crisi greca agli altri Paesi, e salvare i grandi gruppi bancari europei fortemente esposti nei confronti dell’economia ellenica. Cerchiamo di suffragare queste affermazioni.
Il piano, che prevede anche uno stanziamento di 10 miliardi di euro a sostegno delle banche greche, si propone di rinviare di tre anni la dichiarazione di insolvenza della Grecia e la conseguente ristrutturazione del suo debito pubblico, che può articolarsi in un forzoso allungamento delle scadenze delle obbligazioni greche già in circolazione e/o in una decurtazione del valore facciale delle stesse. Lo spettro da allontanare era appunto la ristrutturazione del debito greco, che avrebbe comportato un aumento dei tassi per i Paesi deboli dell’Europa (dato che si sarebbe diffusa l’aspettativa che anch’essi avrebbero dovuto prima o poi seguire la via indicata da Atene), pesanti perdite per le principali banche europee (che avrebbero dovuto contabilizzare la decurtazione del valore dei titoli statali greci), perdite consistenti anche della Banca centrale europea e infine molto probabilmente una crisi del sistema bancario greco. Vedendo quanto sarebbe potuto accadere, si è indotti a giungere alla conclusione: meno male che è stato varato questo piano da 110 miliardi di euro.
Ma la realtà è diversa. È altamente improbabile che questo megacerotto riesca ad evitare una crisi fiscale in Portogallo e in Spagna (anche se il debito pubblico di Madrid è nettamente inferiore), mentre è certo che rinvia soltanto la dichiarazione di insolvenza della Grecia.
I motivi sono presto detti. Il piano prevede una riduzione del disavanzo pubblico greco dal 14 al 9% del PIL quest’anno e dal 9 al 5% l’anno prossimo. Questa terapia choc si tradurrà – a detta degli stessi esperti dell’UE e dell’FMI – in una contrazione dell’economia greca del 4% quest’anno e di un altro 1% l’anno prossimo (ma probabilmente la recessione sarà più profonda). Questa cura da cavallo dovrebbe permettere alla Grecia di ridurre il deficit statale al 3% del PIL nel 2014 e di stabilizzare il livello del debito pubblico al 140/150% a partire dal 2013. Allora, dopo tre anni di lacrime e sangue e dopo aver esaurito i 110 miliardi di euro di aiuti, la Grecia si ritroverà ancora nella condizione di dover ristrutturare il proprio debito. Infatti se in questi tre anni la Grecia non riuscirà a ridurre in modo drastico prezzi e salari per essere più competitiva e ad aumentare il suo basso tasso di risparmio, continuare ad onorare un debito pubblico di tali dimensioni costringerebbe il Paese ad una lunga stagnazione economica e la popolazione a continui sacrifici.
Se la crisi greca è solo temporaneamente congelata, non è certo che lo sia anche quella di Portogallo e Spagna, i due Paesi che nelle ultime settimane hanno registrato un declassamento della valutazione del loro debito e soprattutto un aumento dei tassi richiesti dal mercato per rifinanziarsi. La prolungata stagnazione dell’economia portoghese e la recessione spagnola, che si combina con un crollo del mercato immobiliare, inducono a presumere che la tregua sia solo momentanea, anche perché questi Paesi soffrono di una pesante perdita di competitività. Del resto, i segnali di pericolo si moltiplicano. Ad esempio, le due grandi banche spagnole (Santander e BBVA) hanno aumentato i tassi sui risparmi per raccogliere capitali che costano sempre di più sul mercato interbancario e monetario. Queste decisioni di solito precedono le tempeste. Vi è un dato supplementare che complica la situazione: appare difficile che la Germania partecipi ad un’operazione di salvataggio di un altro Paese di Eurolandia, anche perché le somme necessarie sarebbero di dimensioni tali (è stato stimato che per salvare Portogallo, Spagna, Irlanda e Italia occorrerebbero più di 1’000 miliardi di euro) da rimettere in discussione la credibilità della stessa Germania. Dunque per Portogallo e Spagna il salvataggio della Grecia dà solo un sospiro di sollievo.
Altrettanto vale per i grandi gruppi bancari europei, nonostante il nuovo aiuto accordato dalla Banca centrale europea la quale ha annunciato che continuerà ad accettare come pegno i titoli statali greci sebbene questi ultimi siano valutati dalle agenzie di rating al rango di obbligazioni spazzatura. Continua pertantoad essere assicurato l’accesso degli istituti europei ai finanziamenti della banca centrale. Questa misura, che contraddice le regole della BCE, è un’altra conferma del precario stato di salute del sistema bancario europeo. Una debolezza emersa chiaramente negli scorsi giorni, quando si sono rivissuti i peggiori momenti della recente crisi finanziaria con una parziale chiusura del mercato interbancario, ossia con una sfiducia diffusa che ha indotto di nuovo le banche a non prestarsi più i soldi.
In conclusione, la crisi di Eurolandia è solo agli inizi. Il salvataggio della Grecia può essere paragonato a quello della Bear & Stearns effettuato dalla Federal Reserve insieme alla JP Morgan nella primavera del 2008. Allora si disse che il sistema finanziario aveva dimostrato di avere i mezzi per poter superare una grave crisi di una primaria banca di Wall Street. Come tutti sanno, queste professioni di ottimismo si erano rivelate totalmente infondate. Infatti nel settembre dello stesso anno, circa cinque mesi dopo, la crisi finanziaria raggiunse il suo apice con il fallimento della Lehman Brothers e con il collasso delle maggiori banche occidentali. Tutto induce a ritenere che la storia possa ripetersi.
 

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