Sharnin 2
Forumer storico
Banche americane
Un balletto di perdite miliardarie
Alfonso Tuor
Di questi tempi ogni perdita miliardaria delle banche è da considerarsi l’ultima unicamente fino a quando una nuova serie di perdite oscura le precedenti. Questa affermazione è confermata da quanto sta avvenendo in questi giorni. Ieri l’americana Merrill Lynch ha annunciato 14,1 miliardi di perdite nel quarto trimestre dell’anno scorso che si aggiungono ai 2,3 miliardi di rettifiche di valore già iscritte a bilancio nel terzo trimestre. Martedì scorso Citigroup, il maggiore gruppo bancario degli Stati Uniti, aveva annunciato 18 miliardi di dollari di perdite che si aggiungono agli svariati miliardi del trimestre precendente. Lo scorso 10 dicembre UBS aveva annunciato 10 miliardi di dollari di rettifiche di valore che si sono aggiunte ai 4 miliardi iscritti nei conti del terzo trimestre. Questo balletto di cifre stratosferiche non è destinato a concludersi presto, come sanno i dirigenti di queste banche che stanno raccogliendo una quantità di capitali nettamente superiore a quella che sarebbe necessaria se la crisi dei mutui ipotecari più a rischio fosse agli sgoccioli. E infatti, come abbiamo sempre sostenuto, il problema dei mutui subprime è solo la punta dell’iceberg di un’enorme bolla del credito. E puntualmente stanno arrivando le conferme di questa tesi. Queste conferme sono anche quelle che hanno maggiormente spaventato i mercati. Infatti negli Stati Uniti le insolvenze stanno rapidamente crescendo nelle carte di credito, nei prestiti per l’acquisto di automobili, nei leasing e nei finanziamenti alle operazioni di fusione ed acquisizione. Ad esempio, dei 14,1 miliardi di dollari di perdite annunciate ieri da Merrill Lynch, 3,1 miliardi non riguardano i mutui subpriome ma contratti di riassicurazione delle obbligazioni (i cosiddetti Credit Default Swap), altri 126 milioni le attività di prestito per acquisizioni e 230 milioni di dollari gli spazi commerciali. Lo stesso vale per Citigroup che ha dovuto aumentare di 3,31 miliardi di dollari le riserve per perdite relative al credito al consumo, che includono prestiti personali, carte di credito e prestiti per l’acquisto di automobili, e un altro miliardo di dollari per perdite in altri prestiti. Il forte aumento delle insolvenze e/o nei ritardi nell’onorare il servizio del debito da parte delle famiglie americane sta emergendo dai bilanci di tutti gli istituti a stelle e strisce e anche da società come American Express e Capital One Financial attive nel credito al consumo. Questo fenomeno conferma che la crisi non è più limitata ad un settore del mercato immobiliare, ma che sta investendo in pieno anche l’enorme mercato americano del credito al consumo. Essa preannuncia anche l’inizio dell’esplosione dell’enorme mercato americano ed europeo delle riassicurazioni delle obbligazioni (Credit Default Swap o CDS). Sancisce che i problemi finanziari delle famiglie americane stanno provocando una brusca frenata dell’economia e infine induce a prevedere che il balletto delle perdite stratosferiche delle banche è solo agli inizi. Questi dati fanno pure capire le ragioni dell’affannosa ricerca di capitali da parte delle stesse banche, che accettano di remunerarli a tassi elevatissimi, come il 9% che dovrà pagare UBS al fondo statale di Singapore e all’investitore arabo. Insomma stiamo assistendo all’inizio dell’esplosione di un’enorme bolla del credito che sta già facendo cadere in recessione gli Stati Uniti e che sta già causando un rallentamento dell’economia europea, che è destinato a diventare sempre più pronunciato nei prossimi mesi.
Di fronte a questa realtà gli interrogativi si concentrano attorno all’effetto della riduzione dei tassi guida americani, che alcuni prevedono scenderanno fino al 2,5%, e attorno alla durata e al tipo di recessione, in cui sembra sia condannata a cadere l’economia statunitense. La risposta è chiara: la riduzione del costo del denaro è destinata ad attutire la crisi del mercato immobiliare e la frenata dell’economia americana, ma non basterà, poiché la nuova ingegneria finanziaria ha ridotto e di molto l’efficacia della politica monetaria. Infatti, l’attuale crisi del credito non è stata solo determinata dal basso livello dei tassi di interesse dei primi anni di questo decennio, ma soprattutto dalla creazione di nuova liquidità da parte del sistema finanziario attraverso i processi di cartolarizzazione dei prestiti, attraverso gli altri strumenti della nuova ingegneria finanziaria, attraverso l’uso spregiudicato della leva, che hanno anche provocato una fortissima accelerazione della velocità di circolazione della moneta. Oggi questo processo si muove in direzione opposta e la Federal Reserve non è in grado di compensare l’attuale contrazione di liquidità. Quindi, le banche centrali si ritrovano con armi in parte spuntate di fronte ad una frenata della crescita che si accompagna con una crisi del sistema bancario e con una crisi del mercato immobiliare, che non sta manifestandosi solo negli Stati Uniti, ma anche in Spagna ed in Gran Bretagna. In queste circostanze, come ci insegna l’esperienza svizzera dell’inizio degli anni Novanta, la stagnazione dell’economia non è destinata a durare solo due o tre trimestri, come tutti oggi prevedono, ma ben più a lungo.
17/01/2008
Un balletto di perdite miliardarie
Alfonso Tuor
Di questi tempi ogni perdita miliardaria delle banche è da considerarsi l’ultima unicamente fino a quando una nuova serie di perdite oscura le precedenti. Questa affermazione è confermata da quanto sta avvenendo in questi giorni. Ieri l’americana Merrill Lynch ha annunciato 14,1 miliardi di perdite nel quarto trimestre dell’anno scorso che si aggiungono ai 2,3 miliardi di rettifiche di valore già iscritte a bilancio nel terzo trimestre. Martedì scorso Citigroup, il maggiore gruppo bancario degli Stati Uniti, aveva annunciato 18 miliardi di dollari di perdite che si aggiungono agli svariati miliardi del trimestre precendente. Lo scorso 10 dicembre UBS aveva annunciato 10 miliardi di dollari di rettifiche di valore che si sono aggiunte ai 4 miliardi iscritti nei conti del terzo trimestre. Questo balletto di cifre stratosferiche non è destinato a concludersi presto, come sanno i dirigenti di queste banche che stanno raccogliendo una quantità di capitali nettamente superiore a quella che sarebbe necessaria se la crisi dei mutui ipotecari più a rischio fosse agli sgoccioli. E infatti, come abbiamo sempre sostenuto, il problema dei mutui subprime è solo la punta dell’iceberg di un’enorme bolla del credito. E puntualmente stanno arrivando le conferme di questa tesi. Queste conferme sono anche quelle che hanno maggiormente spaventato i mercati. Infatti negli Stati Uniti le insolvenze stanno rapidamente crescendo nelle carte di credito, nei prestiti per l’acquisto di automobili, nei leasing e nei finanziamenti alle operazioni di fusione ed acquisizione. Ad esempio, dei 14,1 miliardi di dollari di perdite annunciate ieri da Merrill Lynch, 3,1 miliardi non riguardano i mutui subpriome ma contratti di riassicurazione delle obbligazioni (i cosiddetti Credit Default Swap), altri 126 milioni le attività di prestito per acquisizioni e 230 milioni di dollari gli spazi commerciali. Lo stesso vale per Citigroup che ha dovuto aumentare di 3,31 miliardi di dollari le riserve per perdite relative al credito al consumo, che includono prestiti personali, carte di credito e prestiti per l’acquisto di automobili, e un altro miliardo di dollari per perdite in altri prestiti. Il forte aumento delle insolvenze e/o nei ritardi nell’onorare il servizio del debito da parte delle famiglie americane sta emergendo dai bilanci di tutti gli istituti a stelle e strisce e anche da società come American Express e Capital One Financial attive nel credito al consumo. Questo fenomeno conferma che la crisi non è più limitata ad un settore del mercato immobiliare, ma che sta investendo in pieno anche l’enorme mercato americano del credito al consumo. Essa preannuncia anche l’inizio dell’esplosione dell’enorme mercato americano ed europeo delle riassicurazioni delle obbligazioni (Credit Default Swap o CDS). Sancisce che i problemi finanziari delle famiglie americane stanno provocando una brusca frenata dell’economia e infine induce a prevedere che il balletto delle perdite stratosferiche delle banche è solo agli inizi. Questi dati fanno pure capire le ragioni dell’affannosa ricerca di capitali da parte delle stesse banche, che accettano di remunerarli a tassi elevatissimi, come il 9% che dovrà pagare UBS al fondo statale di Singapore e all’investitore arabo. Insomma stiamo assistendo all’inizio dell’esplosione di un’enorme bolla del credito che sta già facendo cadere in recessione gli Stati Uniti e che sta già causando un rallentamento dell’economia europea, che è destinato a diventare sempre più pronunciato nei prossimi mesi.
Di fronte a questa realtà gli interrogativi si concentrano attorno all’effetto della riduzione dei tassi guida americani, che alcuni prevedono scenderanno fino al 2,5%, e attorno alla durata e al tipo di recessione, in cui sembra sia condannata a cadere l’economia statunitense. La risposta è chiara: la riduzione del costo del denaro è destinata ad attutire la crisi del mercato immobiliare e la frenata dell’economia americana, ma non basterà, poiché la nuova ingegneria finanziaria ha ridotto e di molto l’efficacia della politica monetaria. Infatti, l’attuale crisi del credito non è stata solo determinata dal basso livello dei tassi di interesse dei primi anni di questo decennio, ma soprattutto dalla creazione di nuova liquidità da parte del sistema finanziario attraverso i processi di cartolarizzazione dei prestiti, attraverso gli altri strumenti della nuova ingegneria finanziaria, attraverso l’uso spregiudicato della leva, che hanno anche provocato una fortissima accelerazione della velocità di circolazione della moneta. Oggi questo processo si muove in direzione opposta e la Federal Reserve non è in grado di compensare l’attuale contrazione di liquidità. Quindi, le banche centrali si ritrovano con armi in parte spuntate di fronte ad una frenata della crescita che si accompagna con una crisi del sistema bancario e con una crisi del mercato immobiliare, che non sta manifestandosi solo negli Stati Uniti, ma anche in Spagna ed in Gran Bretagna. In queste circostanze, come ci insegna l’esperienza svizzera dell’inizio degli anni Novanta, la stagnazione dell’economia non è destinata a durare solo due o tre trimestri, come tutti oggi prevedono, ma ben più a lungo.
17/01/2008