Tuor - Wto: a Ginevra al capezzale del Doha Round

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Wto: a Ginevra al capezzale del Doha Round
Alfonso Tuor

Da lunedì scorso 30 ministri del commercio estero convocati a Ginevra dal direttore dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto), Pascal Lamy, cercano di evitare il fallimento del cosiddetto Doha Round.
L’esito di queste trattative è rilevante più dal punto di vista politico che da quello economico. Infatti il loro successo rilancerebbe le speranze di giungere ad accordi multilaterali su questioni di estrema importanza, come la lotta contro i cambiamenti climatici, e soprattutto creerebbe le premesse per tentare di affrontare quella che la crisi del sistema bancario ha reso l’emergenza internazionale più importante, ossia la necessità di ricostruire un nuovo ordine economico e monetario e nuove regole per il mondo finanziario. L’importanza di questi negoziati per l’economia è stata invece in gran parte oscurata dall’evoluzione degli ultimi anni (basti pensare che i benefici per l’economia mondiale di un accordo sono stimati tra i 50 e i 70 miliardi di dollari). Infatti il forte aumento dei prezzi dei prodotti agricoli ha reso questi negoziati – come ha scritto il settimanale The Economist – «anacronistici, se non addirittura obsoleti». D’altro canto, la riduzione unilaterale dei dazi sulle importazioni di prodotti industriali già operata negli ultimi anni da molti paesi emergenti ha anch’essa fatto perdere gran parte del valore di queste trattative.
L’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli, dovuto in Europa e negli Stati Uniti in gran parte alla politica dei sussidi ai biocarburanti, ha fatto sì che i rappresentanti dei due maggiori blocchi commerciali del mondo giungessero a Ginevra con offerte di tagli dei sussidi all’agricoltura nettamente migliori di quelle avanzate in passato. L’Unione Europea mette sul piatto delle trattative un taglio del 54% degli aiuti distorsivi del commercio, una riduzione dei sussidi del 75% e l’eliminazione dei sussidi all’export. Gli Stati Uniti si presentano con la proposta di tagliare i dazi e l’impegno a limitare i sussidi all’agricoltura al tetto di 16 miliardi di dollari l’anno (rispetto agli attuali 20 miliardi di dollari). Si tratta di tagli pesanti per i contadini europei, ma queste proposte sono state giudicate comunque «ridicole» dal ministro brasiliano.
Il motivo di questo giudizio è che nel grande baratto tra concessioni dei paesi avanzati sull’agricoltura in cambio di riduzioni dei dazi sull’importazione di prodotti industriali da parte dei paesi emergenti è su quest’ultimo che vi sono le maggiori difficoltà. Questi ostacoli sono soprattutto posti da India e Brasile, che non vogliono ridurre i loro dazi poiché temono di essere invasi dai prodotti industriali cinesi.
Il pomo della discordia riguarda la base di calcolo di questi dazi. Nei paesi di vecchia industrializzazione e in Cina i dazi consolidati alla Wto e quelli effettivamente applicati sono identici. Nella maggior parte dei paesi emergenti quelli effettivamente applicati sono nettamente inferiori rispetto a quelli denunciati alla Wto. È stato calcolato che questi paesi potrebbero addirittura triplicare i loro dazi dall’attuale 8% circa al 28% senza violare alcun accordo sottoscritto nell’ambito del Wto. È ovvio che se la riduzione dei dazi viene calcolata in base a quelli consolidati presso la Wto, vi è il rischio che i dazi futuri possano essere uguali o addirittura maggiori di quelli finora effettivamente applicati. È quindi inevitabile che Europa e Stati Uniti vogliano tagli effettivi e non solo virtuali, mentre India e Brasile non vogliono assolutamente che il calcolo venga effettuato sui dazi effettivamente praticati per timore di non disporre di strumenti per opporsi ad un’invasione di merci estere e soprattutto cinesi. Oltre a queste due spinose questioni si tenterà anche di porre le basi negoziali per avanzare sul delicato dossier degli scambi nel settore dei servizi (finanza, trasporti, consulenze, ecc.) sul quale finora non vi è stato alcun progresso.
Le probabilità di successo della settimana ginevrina di negoziati non sono molto alte. Lo stesso Pascal Lamy, direttore del Wto, non ritiene che superino il 50%. Un eventuale fallimento non provocherà comunque alcuna conseguenza economica di rilievo e molto probabilmente nemmeno conseguenze politiche, poiché diventa sempre più diffusa la tesi secondo cui la priorità non è l’approfondimento del processo di globalizzazione, ma la rifondazione del sistema economico, monetario e finanziario internazionale necessaria per farci uscire in modo duraturo dalla grave crisi attuale.

22/07/2008 22:03
 

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