E' da ieri che circola questa notizia. Nessuno l'ha ancora smentita.
C'è una montagna di soldi per prevenire disastri ambientali, quando piove più del solito (può capitare, a novembre) e gli argini cedono, i ponti crollano, le montagne si squagliano.
Li versiamo noi, allo Stato, ogni volta che facciamo benzina, paghiamo il bollo, saldiamo la bolletta elettrica, immatricoliamo l'auto o lo scooter, e poi li assicuriamo.
Miliardi di euro in «tasse ambientali», che l'ambiente non lo vedranno mai, perché si fermano prima, inghiottite dallo stomaco onnivoro dello Stato per finanziare altre spese.
Tasse sulle emissioni di combustibili, sulla produzione di energia elettrica, sull'utilizzo di veicoli a motore, altre eco-tasse (sui sacchetti di plastica, pile, oli lubrificanti, imballaggi, materiale per costruzioni), imposte sui rifiuti, sulle fognature, sui biglietti aerei.
Che fanno tutte insieme 44 miliardi di euro, riscossi ogni anno dallo Stato, enti locali inclusi, con lo scopo (ma solo sulla carta) di proteggere l'ambiente e chi ci vive dentro.
Che fine fanno?
Soltanto l'1% delle imposte ecologiche, pari a 448 milioni euro, serve davvero all'ambiente, calcola la Cgia di Mestre su dati dell'Istat.
Significa che 43,4 miliardi circa, prelevati attraverso le imposte cosiddette «green», vengono presi e usati per fare altro (coperture finanziarie varie).
Con l'aggravante che quando c'è il disastro, la soluzione classica è aumentare le accise, com'è stato fatto nel 2011 dopo l'alluvione in Liguria e Toscana (più 0,89 centesimi di euro al litro di carburante).