TUTTO COMINCIA iN UN ATTIMO, IN UN GIORNO QUALUNQUE DELLA VITA... QUANDO

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La sinistra non cambierà...mai.

Faccio il giornalista dal 1983 quando, a 23 anni, andai in Afghanistan per raccontare il dramma di un Paese dove piccoli gruppi di combattenti, al tempo ancora male armati e scarsamente finanziati, resistevano all'invasione sovietica.
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Da allora sono passato per una quarantina di guerre spiegando indifferentemente le ragioni di quanti nella retorica quotidiana passano per «buoni» o «cattivi». Negli anni '90 ho trascorso mesi con i musulmani «buoni» assediati a Sarajevo da Milosevic. Ma in Algeria ho vissuto per settimane con i «cattivi» del Fis, i fondamentalisti islamici impegnati, allora, in un sanguinoso scontro con il governo. Tra il 1994 e il 2000 ho frequentato anche quei ribelli ceceni nemici della Russia di Eltsin e di Putin, trasformatisi poi in spietati terroristi. In Iraq tra il 2004 e il 2005 ho incontrato più volte gli insorti alqaidisti di Falluja. Fino a quando non mi hanno puntato un kalashinkov alla testa spiegando di esser poco interessati a condividere le loro ragioni con un «infedele». Dal 2012 in poi mi sono spesso recato nella Siria di Bashar Assad per raccontare una guerra, costata la vita a 250mila persone, che ha permesso allo Stato Islamico di rafforzarsi e d'espandere la sua logica dell'odio e del terrore. Quando mi è stato chiesto di raccontare queste mie esperienze non ho mai detto di no a nessuno. E, tantomeno, mi sono mai chiesto chi fosse o come la pensasse perché ritengo che l'informazione non si debba negare a nessuno. Ecco perché quando il movimento «Alliance for Freedom and Peace» mi ha chiesto di partecipare al convegno organizzato la prossima domenica a Milano sul conflitto siriano al fianco del senatore ed ex ministro della difesa Mario Mauro, non ho avuto problemi ad accettare. Ora scorrendo le pagine milanesi di Repubblica scopro che quel convegno «non s'ha da fare» perché dietro gli organizzatori si nasconderebbero Forza Nuova e vari altri gruppi di estrema destra. Scopro anche che l'ex Ministro della Difesa senatore Mario Mauro viene accusato di «andare a braccetto con i neonazisti» solo per aver accettato di parlare a quel convegno. Accuse che per la proprietà transitiva cadono anche su di me. Accuse formulate senza essersi premurati di ascoltare quello che il senatore Mauro ed io diremo e le idee che sosterremo. In queste accuse, giustificate con le regole dell'anti fascismo, intravvedo purtroppo lo stesso fanatismo ostracizzante dello Stato Islamico. Da una parte i fedeli, dall'altra gli infedeli da mettere all'indice assieme a chiunque abbia contatti con loro. I colleghi di Repubblica me lo consentano, ma dare spazio a queste logiche mi appare osceno. E non tanto nei confronti del senatore Mario Mauro o di chi, come me, parlerà a quel convegno, ma nei confronti del loro stesso giornale. Un giornale diretto da Mario Calabresi. Un uomo che per queste stesse ragioni vide uccidere il proprio padre.
 
"Un capo di governo dovrebbe evitare di parlare con leggerezza".
"Se l'Italia riprende la posizione guida dell'Europa non ce n'è per nessuno". Oppure: "L'Italia esige di essere rispettati". "Frasi come questa, appropriate ad esempio al bar dello Sport, è difficile che non diano all'estero l'impressione di una certa presunzione e debolezza", sottolinea l'ex premier sfoderando la propria etica da Loden. Che Renzi sia sopra le righe non lo nega nessuno. Ma che ad attaccarlo sia il grigio professore della Bocconi, da sempre asservito ai poteri forti di Bruxelles, fa quantomeno sorridere. "Se si esige rispetto si sottolinea che quel rispetto non c'è - spiega alla Stampa - suggerirei toni più bassi, visione e azioni più profonde". E insiste: "Se un governo mira a ottenere un risultato concreto per il proprio Paese nel contesto europeo - aggiunge Moonti - in genere l'aggressività verbale è controproducente. Se invece il vero obiettivo è in realtà far crescere il consenso nel proprio Paese per sé o per il proprio partito, allora quella strategia verbale va benissimo. E' un atteggiamento che negli ultimi anni vedo da parte di molti leader europei, ma è pericolosissimo".
 
Le sanzioni alla Russia sono un fallimento. Ora se ne sono accorti persino gli americani che quelle sanzioni hanno voluto e imposto all'Europa; lo scrive Foreign Affairs, una delle più importanti riviste di politica internazionale, a firma di Emma Ashford, esperta dell'area eurasiatica.La posizione americana nei confronti della Russia è sempre la stessa e si basa sulla convinzione che Putin sia una minaccia per l'ordine internazionale e che la crisi Ucraina (alla base delle sanzioni) sia il tentativo della Russia di espandersi verso Occidente.
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Ai nostalgici della Guerra Fredda non sorge il sospetto che sia l'Occidente ad accerchiare la Russia allargando la propria influenza a est e posizionando l'apparato militare della Nato (di gran lunga superiore) fino ai confini di Mosca imponendo a Putin una reazione difensiva.Ma al di là delle analisi strategiche, quello che emerge è la consapevolezza degli errori politici compiuti dagli Usa. Lo studio ricorda come, in questi due anni, si sono aggiunti due fattori non previsti che hanno danneggiato ulteriormente l'economia russa: il crollo del prezzo del petrolio (fonte primaria di entrate per Mosca) e la perdita di oltre il 76% di valore del rublo. Questo, sommato al divieto di accesso a capitali esteri per le banche russe avrebbe dovuto generare un effetto a catena sul sistema del credito e quindi sulle imprese, mettendo in ginocchio il paese. Invece nulla di tutto ciò è avvenuto. La Banca Centrale di Mosca ha operato con grande abilità lasciando fluttuare liberamente la propria moneta, limitando l'esplosione dell'inflazione (oggi al 16% ma prevista all'8% nel 2016) e facendo intervenire lo Stato per aiutare le aziende in difficoltà. Il risultato è una recessione che però, secondo la studiosa, la Russia starebbe superando tanto che il Pil, crollato a -3,6% nel 2015, si prevede in segno positivo nel 2016.Da un punto di vista politico, nessuno degli obiettivi immaginati dagli Usa si è realizzato: la Russia non si è ritirata dalla Crimea, né ha ridotto il suo aiuto ai ribelli filo-russi in Ucraina; e secondo diversi sondaggi, Putin è tornato al massimo del suo consenso interno. Non solo, ma gli americani si sono accorti che nel mondo multipolare e globalizzato, le sanzioni possono essere aggirate. E così Putin ha chiuso un accordo con la Cina per la fornitura di gas russo per 30 anni del valore di 400 miliardi di dollari, dimostrando di poter avere nuovi mercati oltre quello europeo.L'analista americana conferma che per l'Europa, l'impatto delle sanzioni alla Russia è devastante, con una perdita dello 0,3% del Pil, oltre 90 miliardi in meno di esportazioni e due milioni di posti di lavoro perduti nella zona Ue.Compagnie energetiche americane hanno dovuto interrompere molte joint venture con aziende russe perdendo miliardi di dollari d'investimenti. Il sistema finanziario europeo si è esposto ad un ulteriore rischio perché molte banche sono creditrici di società russe che ora potrebbero non riuscire a pagare i loro debiti.Inoltre, ricorda la Ashford, «le sanzioni hanno incoraggiato la Russia a creare le proprie istituzioni finanziarie che, a lungo andare, puntano a sgretolare l'influenza economica degli Stati Uniti». Mosca sta provando a creare con i paesi Brics l'alternativa alla Swift, la Società internazionale che gestisce il sistema di pagamenti globali, una propria carta di credito indipendente dai circuiti Visa o Mastercard ed una nuova Banca per lo Sviluppo che replichi le funzioni della Banca Mondiale e del FMI.La conclusione è chiara: «È difficile ammettere quando una scelta politica si rivela sbagliata, ma questa lo è; i costi elevati per l'Occidente non giustificano i limitati impatti positivi». Ergo, l'America la smetta con queste inutili sanzioni. E, aggiungiamo noi, l'Europa capisca che la Russia di Putin, non è un nemico ma un nostro fondamentale partner economico e il principale alleato nella lotta al terrorismo islamista
 

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