giuseppe.d'orta
Forumer storico
Investiremo un importo record per un singolo gruppo in operazioni di privatizzazione: l’acquisizione di Autostrade sarà almeno per metà autofinanziata». È il 26 ottobre 1999: Massimo D’Alema è a Palazzo Chigi, Giuliano Amato al ministero del Tesoro e Gilberto Benetton, presidente di Edizione Holding, ha appena firmato il contratto di acquisto dell’ultimo gioiello dell’Iri. Per circa 4.900 miliardi di vecchie lire (2,5 miliardi di euro) il 30% di Autostrade finisce a Schemaventotto, cordata guidata da Edizione Holding (60%) e partecipata da Fondazione Crt (13,33%), Acesa (12,83%), Ina e Unicredito (ciascuna con il 6,67%) e Brisa (0,5%); il resto della società sarà poi collocato sul mercato attraverso un’Opv condotta dallo stesso Iri. L’importo record citato da Benetton, che quattro anni prima dall’Iri aveva già rilevato Autogrill, è dunque semplice da calcolare. Edizione Holding partecipa all’operazione per 3.200 miliardi. Di tasca sua, Ponzano Veneto ci mette la metà: 1600 miliardi, ovvero 770 milioni di euro. Per rilevare Autostrade a 7,08 euro per azione. Poco? Forse. Sta di fatto che le offerte pervenute all’Iri - al tempo - sono soltanto due. Anzi, una: perché oltre ai Benetton, l’unica a farsi avanti è la banca d’investimento australiana Macquarie, che formula tuttavia una proposta soltanto sul 10% di Autostrade.
Per il gruppo, dopo l’arrivo dei Benetton, inizia comunque una nuova era. Passato un anno e mezzo dalla privatizzazione, l’amministratore delegato Vito Gamberale - è il 25 giugno 2001 - annuncia gli indirizzi strategici fino al 2005. «Occorrono almeno 3mila chilometri di autostrade per recuperare il ritardo rispetto alla media europea. Possiamo investire 10mila miliardi di lire per fare circa 2mila chilometri». Allo stesso tempo, tuttavia, «servono aumenti graduali delle tariffe ancorati all’inflazione reale anziché programmata».
Facciamo un salto in avanti di quattro anni. Il bilancio 2005 di Autostrade parla di aumenti tariffari cumulati (dal 2001) del 10,5%, che hanno portato i ricavi da pedaggio a 2,51 miliardi di euro (+21% rispetto al 2000). Ebbene, in cinque anni Autostrade ha incassato - sempre grazie ai pedaggi - 11,6 miliardi. E i nuovi investimenti? Dei 5,12 miliardi per gli interventi relativi alla Convenzione del 1997, Autostrade ne ha sborsati soltanto uno. Dei 4,33 miliardi per gli interventi legati all’atto aggiuntivo 2002 (da cui ha preso corpo poi il rinnovo delle concessioni trentennali), il gruppo ha finanziato 156 milioni. Certo, si tratta di investimenti e ristrutturazioni da completare entro il 2010 (stando al presidente Gian Maria Gros-Pietro) - e legati a iter d’approvazione governativa (e ambientale) complessi - eppure il computo finale desta perplessità. Su grandi opere per 10,4 miliardi, Autostrade ne ha finanziate per 1,6 miliardi (il 16%) per complessivi 571 chilometri. Mentre Edizione Holding, sempre in cinque anni, ha incassato dividendi per 473 milioni.
Torniamo a novembre. Non quello della privatizzazione nel ’99, bensì quello del 2002. Quando cioè i Benetton tornano all’attacco. Questa volta con un’Opa totalitaria su Autostrade attraverso la holding Schemaventotto (sempre controllata al 60% da Edizione Holding). Il titolo è cresciuto. L’offerta è a 9,5 euro per azione: più tardi, su pressioni del mercato, i Benetton sono costretti a rilanciare a 10 euro. In ogni caso, a fine febbraio 2003 l’Opa si conclude con successo: Schemaventotto sale all’83,6% di Autostrade. L’esborso complessivo? Circa 6,5 miliardi. Esborso per modo di dire: i soldi necessari per l’Opa - precisano da Ponzano Veneto - saranno «pressoché interamente» presi a prestito da un pool bancario guidato da Mediobanca e Unicredito. Un maxi-indebitamento che Edizione Holding trasferisce quasi subito nella stessa autostrade fondendo - è il 22 maggio 2003 - le due società. E un anno dopo l’ultima tessera del mosaico a posto. Si tratta del rifinanziamento (spostato su scadenze da sette fino a 20 anni) di quasi tutte le passività di Autostrade con un maxi-bond da 6,5 miliardi. Questo mentre in Borsa il titolo prosegue l’ascesa verso 24 euro, oggi argomento in discussione per la fusione alla pari con Abertis.
Quale morale per la storia? «Che l’imprenditore più bravo del mondo è quello che lo fa con i soldi degli altri», spiega Giacomo Vaciago, elogiando Gilberto Benetton. «E che nei Paesi seri - aggiunge l’ordinario di Politica Economica all’Università Cattolica di Milano - quando si privatizzano strade, ferrovie e aeroporti, si stabilisce un price cap per ridurre ogni anno le tariffe per compensare l’aumento di produttività e tutelare i consumatori». Esattamente l’opposto di quanto avvenuto nell’ultimo lustro con Autostrade.
da Finanza&Mercati di oggi
Per il gruppo, dopo l’arrivo dei Benetton, inizia comunque una nuova era. Passato un anno e mezzo dalla privatizzazione, l’amministratore delegato Vito Gamberale - è il 25 giugno 2001 - annuncia gli indirizzi strategici fino al 2005. «Occorrono almeno 3mila chilometri di autostrade per recuperare il ritardo rispetto alla media europea. Possiamo investire 10mila miliardi di lire per fare circa 2mila chilometri». Allo stesso tempo, tuttavia, «servono aumenti graduali delle tariffe ancorati all’inflazione reale anziché programmata».
Facciamo un salto in avanti di quattro anni. Il bilancio 2005 di Autostrade parla di aumenti tariffari cumulati (dal 2001) del 10,5%, che hanno portato i ricavi da pedaggio a 2,51 miliardi di euro (+21% rispetto al 2000). Ebbene, in cinque anni Autostrade ha incassato - sempre grazie ai pedaggi - 11,6 miliardi. E i nuovi investimenti? Dei 5,12 miliardi per gli interventi relativi alla Convenzione del 1997, Autostrade ne ha sborsati soltanto uno. Dei 4,33 miliardi per gli interventi legati all’atto aggiuntivo 2002 (da cui ha preso corpo poi il rinnovo delle concessioni trentennali), il gruppo ha finanziato 156 milioni. Certo, si tratta di investimenti e ristrutturazioni da completare entro il 2010 (stando al presidente Gian Maria Gros-Pietro) - e legati a iter d’approvazione governativa (e ambientale) complessi - eppure il computo finale desta perplessità. Su grandi opere per 10,4 miliardi, Autostrade ne ha finanziate per 1,6 miliardi (il 16%) per complessivi 571 chilometri. Mentre Edizione Holding, sempre in cinque anni, ha incassato dividendi per 473 milioni.
Torniamo a novembre. Non quello della privatizzazione nel ’99, bensì quello del 2002. Quando cioè i Benetton tornano all’attacco. Questa volta con un’Opa totalitaria su Autostrade attraverso la holding Schemaventotto (sempre controllata al 60% da Edizione Holding). Il titolo è cresciuto. L’offerta è a 9,5 euro per azione: più tardi, su pressioni del mercato, i Benetton sono costretti a rilanciare a 10 euro. In ogni caso, a fine febbraio 2003 l’Opa si conclude con successo: Schemaventotto sale all’83,6% di Autostrade. L’esborso complessivo? Circa 6,5 miliardi. Esborso per modo di dire: i soldi necessari per l’Opa - precisano da Ponzano Veneto - saranno «pressoché interamente» presi a prestito da un pool bancario guidato da Mediobanca e Unicredito. Un maxi-indebitamento che Edizione Holding trasferisce quasi subito nella stessa autostrade fondendo - è il 22 maggio 2003 - le due società. E un anno dopo l’ultima tessera del mosaico a posto. Si tratta del rifinanziamento (spostato su scadenze da sette fino a 20 anni) di quasi tutte le passività di Autostrade con un maxi-bond da 6,5 miliardi. Questo mentre in Borsa il titolo prosegue l’ascesa verso 24 euro, oggi argomento in discussione per la fusione alla pari con Abertis.
Quale morale per la storia? «Che l’imprenditore più bravo del mondo è quello che lo fa con i soldi degli altri», spiega Giacomo Vaciago, elogiando Gilberto Benetton. «E che nei Paesi seri - aggiunge l’ordinario di Politica Economica all’Università Cattolica di Milano - quando si privatizzano strade, ferrovie e aeroporti, si stabilisce un price cap per ridurre ogni anno le tariffe per compensare l’aumento di produttività e tutelare i consumatori». Esattamente l’opposto di quanto avvenuto nell’ultimo lustro con Autostrade.
da Finanza&Mercati di oggi