Macroeconomia Un’economia sempre più finanziarizzata

sharnin

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Un’economia sempre più finanziarizzata
Alfonso Tuor

Da alcuni anni è in corso un processo di finanziarizzazione dell’economia. I dati confermano questo giudizio. Infatti uno studio di McKinsey Global Institute ha messo in evidenza che nel periodo tra il 1980 e il 2004 il debito degli enti pubblici e quello delle aziende, i mutui ipotecari e le azioni in circolazione sono complessivamente cresciuti ad un tasso annuo dell’11%, mentre nello stesso periodo la crescita totale del Pil mondiale è stata del 6%. Lo stesso studio rivela che il rapporto tra gli strumenti finanziari in circolazione e il Pil globale (ossia la grandezza dell’economia mondiale) è raddoppiato nel periodo tra il 1980 e il 1996 raggiungendo il 231% per raggiungere il 335% nel 2004. In parole povere, ciò vuol dire che sono in circolazione strumenti finanziari di un valore triplo rispetto alle dimensioni dell’economia mondiale.
Questo fenomeno è visibile da tutti. In questi anni è fiorito tutto ciò che era collegato con la finanza. In primis lo stesso settore finanziario che ha conosciuto una forte espansione. A questo punto c’è da domandarsi se questo fenomeno sia salutare per l’economia come pure quali siano le sue cause.
Non c’è dubbio che questo processo di finanziarizzazione dell’economia ha favorito la crescita dell’economia mondiale. Teoricamente l’ampia disponibilità di credito e il suo costo relativamente basso dovrebbero rendere più attrattivi gli investimenti e migliorare la redditività delle imprese e quindi giustificare l’aumento del valore delle azioni. In pratica, la facilità di accesso al credito potrebbe essere paragonato all’olio che fa funzionare meglio i motori dell’economia internazionale. Questa specie di panacea ha però solo parzialmente funzionato in questo modo. Infatti in questo ultimo quarto di secolo abbiamo assistito al ripetersi di gravi crisi finanziarie a cominciare dallo scoppio della bolla immobiliare e borsistica giapponese agli inizi degli anni Novanta, alle successive crisi finanziarie che hanno colpito molti paesi emergenti, alla crisi provocata dal collasso dell’hedge fund Long Term Capital Management nel 1998, fino alla crisi delle Borse dell’inizio di questo decennio. E il fenomeno non sembra finito: basti pensare al forte aumento dei valori degli immobili in molti paesi (che è probabilmente insostenibile) alla continua ascesa dei listini azionari, dei prezzi delle materie prime e via dicendo.
Ma c’è di più: il paese perno del sistema finanziario internazionale, gli Stati Uniti, è oggi il paese più indebitato del mondo. In sintesi, si può dire che l’ampia disponibilità di capitali a costo relativamente basso è servita a limitare gli effetti negativi di queste crisi creandone di nuove.
E infatti il fenomeno è strettamento connesso con la sua causa principe, che è un’eccessiva quantità di moneta in circolazione a livello internazionale.
Il nuovo presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, preferisce una definizione che non metta sul banco degli accusati la politica monetaria delle banche centrali e quindi parla di un «eccesso di risparmio». Se questo fenomeno è il frutto di un eccesso di risparmio (dovuto alla diffusione dei sistemi pensionistici a capitalizzazione, alla maggiore concentrazione della ricchezza, ecc.) oppure se esso è la conseguenza della enorme quantità di moneta stampata negli ultimi anni dalle banche centrali (e soprattutto quella giapponese e quella americana) cambia la terapia, ma non la diagnosi della realtà attuale. Infatti il risultato è che si ha un’inflazione (un aumento dei valori monetari) degli strumenti finanziari e quindi, come accade in ogni processo inflazionistico, una perdita di valore delle monete in cui sono denominati. E molto probabilmente la corsa dell’oro è da ascrivere alla crescente percezione di questo pericolo. Ma c’è di più: questa eccessiva quantità di moneta, da un canto mantiene basso il livello dei tassi di interesse, ma dall’altro non si traduce (se non parzialmente) in un aumento dei consumi e degli investimenti nei paesi di vecchia industrializzazione. Quindi, la moltiplicazione del valore degli strumenti finanziari a livello mondiale, che sono perlopiù denominati in dollari, in euro e in yen giapponesi, dà la sensazione di un persistente benessere e rappresenta molto probabilmente il tentativo di ritardare il «redde rationem» che proprio questo processo di finanziarizzazione dell’economia rischia però di rendere più severo.
02/02/2006
 
Ultimo arrivo: i partiti potranno cartolarizzare i crediti per i rimborsi elettorali.

Tutti in fila per il Calderoli-bond :eek:

Altro che crash del 1929 :D
 

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