Vaccino

DALLA PELLE AL CUORE
Tocca stavolta a un gruppo di ricercatori coreani caratterizzare ulteriormente un fenomeno già noto, ovvero la straordinaria risposta infiammatoria indotta dai vaccini covid a RNA che si manifesta quando vengono iniettati in vena. Il fenomeno era noto e in questo studio, ospitato dalla prestigiosa rivista PLOS ONE, lo indagano ulteriormente in roditori prima e dopo aver indotto condizioni sperimentali di infiammazione cronica. Scrivono gli autori: "La somministrazione endovenosa di vaccino RNA con o senza infiammazione cronica ha esacerbato la pericardite e la miocardite cardiaca; l'immunizzazione ha indotto una lieve infiammazione e la produzione di citochine infiammatorie IL-1beta e IL-6 nel cuore. Inoltre, la vaccinazione mRNA IV ha indotto danni cardiaci nell'infiammazione cronica da LPS, in particolare la troponina sierica I, che è aumentata drasticamente." Gli autori concludono quindi che "La somministrazione di vaccino IV può indurre una maggiore cardiotossicità nell'infiammazione cronica." Ricordiamo che in base ai criteri WHO AEFI, una miocardite in un soggetto con precedenti episodi di infiammazione cardiaca difficilmente sarà mai collegata a una vaccinazione. Ricordiamo anche tuttavia che esiste almeno uno studio, realizzato da un gruppo francese e più volte menzionato su questa pagina, che mostra come in soggetti con pregressa miocardite il rischio dopo vaccino è centinaia di volte superiore rispetto a chi la miocardite non la ha mai avuta. A buon intenditore. Nota a margine, questi ricercatori il vacino a RNA per il covid se lo sono dovuto fabbricare in casa, evidentemente in quanto nessuno glielo avrebbe fornito? Mah?

 
 
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VACCINI COVID E CANCRO
C'è quasi una mezza dozzina di motivi per sospettare che i vaccini covid possano essere associati a un aumento del rischio di molti tumori solidi. (i) il loro effetto genericamente proinfiammatorio, la capacità della spike di (ii) stimolare i recettori per gli estrogeni e quindi (iii) di promuovere la proliferazione di cellule tumorali in vitro, (iv) ridurre l'attività di geni oncosoppressori quali p53 e (v) BRCA, (vi) di promuovere i processi di metastatizzazione in modelli animali di melanoma grazie alle pseudouridine inserite nelle sequenze di RNA, e forse altri ne emergeranno in futuro. Tuttavia, tutti questi effetti sono documentati in vitro e in modelli animali, e manca l'evidenza clinica (astenersi "eccessi di mortalità" su base epidemiologica). Che tipo di studi potrebbero servire? La questione potrebbe essere chiarita facilmente da chi ha i dati. Si prenda ad esempio questo lavoro di alcuni anni fa, spesso citato e che quantifica il ruolo di alcune mutazioni dei geni BRCA nel cancro ovarico: BRCA1 and BRCA2 Mutation Analysis of 208 Ashkenazi Jewish Women with Ovarian Cancer
Hanno reclutato 208 donne con cancro insorto nell'arco di due anni, quindi un periodo ragionevole, tramite una rete collaborativa di 11 ospedali, e dall'altro lato hanno reclutato un gruppo di controllo di quasi 400 donne senza cancro, e han fatto a tutte la genotipizzazione di BRCA, calcolando quindi il rischio aggiuntivo di cancri di vario genere per la presenza di mutazioni specifiche di BRCA, nelle portatrici e nei famigliari. Ora, si sostituiscano le mutazioni con lo stato vaccinale e si ha un'idea del tipo di studio che basterebbe realizzare. E invece fanno gli studi sulla mortalità totale, che finisce per lasciare sempre un po' il tempo che trova poiché la mortalità totale ha diecimila spiegazioni nessuna delle quali verificabile tanto più se si lavora su archivi epidemiologici e non si vede il singolo soggetto finendo per perdere il 99% della sua storia clinica. Certo, può essere un po' più complicato nel caso del vaccino: nello studio genetico vedono tra i sessanta e i settantacinque anni dei cancri che insorgono in gente che fin dalla nascita ha una genetica favorente. Il vaccino ha fin qui avuto "solo" tre anni per manifestare i suoi effetti, dunque potrebbe volerci un campione più ampio. Ma poi ci sono coloro che parlano di "turbocancri" e se fosse vero il segnale forse potrebbe vedersi comunque già ora. Perché non si fanno studi del genere? Bella domanda, si vede che chi ha i dati ha altre priorità, e intanto chi non ha i dati lancia allarmi che però non può sostanziare. Un dilemma enorme.

Addendum: e una volta realizzato uno studio del genere, sulla base dei risultati si avrebbe anche il razionale per cercare marcatori specifici, nel paziente e/o nel tessuto tumorali che differenziassero i tumori post-vaccino dagli altri, se mai fosse possibile. Con il dosaggio di certe citochine qualcuno sta cercando di fare cose simili nelle miocarditi.

Un modo raffinato per guardare i numeri non proprio elementare come il zanza o come il modo di pestare la tastiera di strazia, da parte di chi ha qualche studio adeguato alle spalle
 
PUNTI DI VISTA
Una revisione della letteratura su una rivista scientifica internazionale del gruppo Wiley fa il punto sulla distribuzione dei vaccini covid a RNA nel latte materno, nella placenta e nel feto (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/aji.13934). Dell'RNA nel latte materno anche noi ci occupammo ai tempi (COVID-19 vaccines mRNA detected into breast milk - now what?), come pure della sua presenza insieme alla proteina Spike nella placenta (Marco Cosentino). Considerando i profili farmacotossicologici dell'RNA e della proteina Spike, la quale ricordiamoci che è la maggiore tossina di SARS-CoV-2 con tutti gli effetti che è in grado di esercitare, ci si aspetterebbe pure un minimo di richiamo alla prudenza. Al contrario gli autori, un gruppo di ricercatori statunitensi, nel riassunto si lasciano andare ad affermazioni del genere: "Sebbene possano sussistere rischi potenziali legati all'esposizione della placenta e del feto al vaccino mRNA contro il COVID-19, l'applicazione delle terapie mRNA per le patologie materne e fetali offre una prospettiva rivoluzionaria." E niente, forse è proprio di prospettive rivoluzionarie che a questo punto avremmo necessità.
 
POVERI DEMENTI

I direttori di ospedali,​

come previsto dall’ultima circolare Covid,​

possono scegliere di reintrodurre l’obbligo della mascherina​

per l’ingresso o per alcuni reparti sensibili​


E’ la scelta fatta da dall’ospedale di Brescia che – visto il rialzo dei casi Covid nella zona –
ha deciso di ripristinare l’obbligo di indossare i dispositivi di protezione Ffp2
per utenti, visitatori, accompagnatori e caregiver in tutti i reparti.

Ma non è l’unico.

“In queste settimane in molte regioni del Paese, come ad esempio in Campania,
sono state diramate indicazioni per gli ospedali per l’utilizzo dei dispositivi di protezione

soprattutto per i reparti a rischio.

L’aspetto epidemiologico è importante
ma di più lo è la consapevolezza dei cittadini nello scegliere comportamenti adeguati”,
afferma all’Adnkronos Salute Federsanità Anci.


Il primo luglio scorso era caduto proprio l’ultimo obbligo delle ‘vecchie’ misure anti-Covid,
quello delle mascherine nei reparti con fragili.

La circolare del ministero della Salute apriva però alla discrezionalità dei direttori sanitari
che possono “valutare l’opportunità di disporre l’uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie
nei diversi contesti della propria struttura, tenendo conto della diffusione dei virus a trasmissione aerea,
delle caratteristiche degli ambienti nonché della tipologia di pazienti, lavoratori o visitatori che li frequentano,
in funzione del livello di rischio di infezione e/o trasmissione”.


E così sta accadendo in alcune realtà che preferiscono ‘prevenire’ eventuali problemi. Adnkronos
 
Fiumi di parole...sui post dei "fake social" come twitter, anche di studi, interviste di medici e scienziati non allineati.
Basta un post di un pinco pallino qualsiasi che va bene anche su twitter, basta che sia utile alla narrativa
Ma un poco di coerenza, dovreste averla, non dico di intelligenza che per alcuni e' veramente pretendere troppo.
Pensate di salvarmi l'anima, sempre che ne abbiate una.
 

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