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Tratto dall'articolo "Venezuela , la Matria a congresso : intervista alla dirigente bolivariana Maria Rosa Jimenez"
La guerra economica ha cercato di riportare indietro le donne, obbligandole a occuparsi della sopravvivenza e non dell'attività politica. Come hanno reagito le comunità?
Da quando Chavez è partito fisicamente, non abbiamo ancora finito di elaborare il lutto per tutto quello che lui ha significato. Però sappiamo di avere una responsabilità che non possiamo tradire. Nel 2012, durante la sua ultima campagna elettorale, stavo partecipando a una manifestazione nello stato Aragua. Fu allora che lo sentii dire: Chavez non sono io, ma un popolo: un soggetto collettivo organizzato e cosciente a cui – oggi ci è chiaro – ci stava preparando da tempo. Per esempio mi ricordo quando è venuto a chiederci, a noi studenti, di dedicare un anno alla rivoluzione, sospendendo i nostri progetti individuali. Era il settembre 2003, dopo il golpe dell'anno precedente. Stavano nascendo le Missioni, nasceva il Frente Francisco de Miranda di cui faccio parte. Con un primo gruppo siamo partiti per Cuba, poi è stata la volta di un secondo gruppo. Fin dall'inizio cominciavamo a essere in maggioranza donne in questa forza sociale della rivoluzione. Chavez già iniziava a parlare del progetto di integrazione dell'America Latina, l'Alba. Chavez non si dedicò solo a gestire uno Stato, ma a convertire il popolo in forza di potere organizzata. Chi siamo noi? Siamo le figlie e i figli della impanadera che si sveglia alle quattro per fare le impanadas, le figlie e i figli degli operai, dei contadini, non siamo la borghesia, ma un popolo che Chavez ha preparato. Per questo, nella fase finale della sua vita, quando chiede ai medici di tornare da Cuba per consegnare un messaggio finale al suo popolo, dice: che nessuno, si illuda, oggi abbiamo una patria. Allora ero incinta di sette mesi. Ho chiamato mia figlia Alba Lucia. L'offensiva delle destre ha cercato di distruggere questa nostra forza, questa identità di popolo e di patria. Ma noi, dopo la vittoria delle destre in Parlamento nel 2015 abbiamo capito che dobbiamo continuare come popolo, con più coscienza. Abbiamo seguito e appoggiato le proposte di Nicolas Maduro e questo ha configurato una nuova realtà. Come viviamo la guerra? In resistenza. Abbiamo capito che dovevamo stare uniti con il progetto di Nicolas, un compagno conseguente che agisce in sintonia con un popolo coerente e con dirigenti conseguenti, ostinati nella convinzione di poter costruire un proprio modello alternativo al capitalismo.
Quali sono gli obiettivi e le sfide di questo congresso?
Prima di tutto guardare al modello di società che vogliamo costruire a fronte degli attacchi imperialisti ma anche dei limiti del sistema economico basato sulla rendita petrolifera. Un modello in cui la questione di genere declinata in tutti i suoi aspetti, la lotta al maschilismo e al sistema patriarcale, siano una forza centrale della rivoluzione. Le nostre lotte si vincono con il lavoro nelle comunità.
Notizia del: 28/10/2018
fonte: L'Antidiplomatico
La guerra economica ha cercato di riportare indietro le donne, obbligandole a occuparsi della sopravvivenza e non dell'attività politica. Come hanno reagito le comunità?
Da quando Chavez è partito fisicamente, non abbiamo ancora finito di elaborare il lutto per tutto quello che lui ha significato. Però sappiamo di avere una responsabilità che non possiamo tradire. Nel 2012, durante la sua ultima campagna elettorale, stavo partecipando a una manifestazione nello stato Aragua. Fu allora che lo sentii dire: Chavez non sono io, ma un popolo: un soggetto collettivo organizzato e cosciente a cui – oggi ci è chiaro – ci stava preparando da tempo. Per esempio mi ricordo quando è venuto a chiederci, a noi studenti, di dedicare un anno alla rivoluzione, sospendendo i nostri progetti individuali. Era il settembre 2003, dopo il golpe dell'anno precedente. Stavano nascendo le Missioni, nasceva il Frente Francisco de Miranda di cui faccio parte. Con un primo gruppo siamo partiti per Cuba, poi è stata la volta di un secondo gruppo. Fin dall'inizio cominciavamo a essere in maggioranza donne in questa forza sociale della rivoluzione. Chavez già iniziava a parlare del progetto di integrazione dell'America Latina, l'Alba. Chavez non si dedicò solo a gestire uno Stato, ma a convertire il popolo in forza di potere organizzata. Chi siamo noi? Siamo le figlie e i figli della impanadera che si sveglia alle quattro per fare le impanadas, le figlie e i figli degli operai, dei contadini, non siamo la borghesia, ma un popolo che Chavez ha preparato. Per questo, nella fase finale della sua vita, quando chiede ai medici di tornare da Cuba per consegnare un messaggio finale al suo popolo, dice: che nessuno, si illuda, oggi abbiamo una patria. Allora ero incinta di sette mesi. Ho chiamato mia figlia Alba Lucia. L'offensiva delle destre ha cercato di distruggere questa nostra forza, questa identità di popolo e di patria. Ma noi, dopo la vittoria delle destre in Parlamento nel 2015 abbiamo capito che dobbiamo continuare come popolo, con più coscienza. Abbiamo seguito e appoggiato le proposte di Nicolas Maduro e questo ha configurato una nuova realtà. Come viviamo la guerra? In resistenza. Abbiamo capito che dovevamo stare uniti con il progetto di Nicolas, un compagno conseguente che agisce in sintonia con un popolo coerente e con dirigenti conseguenti, ostinati nella convinzione di poter costruire un proprio modello alternativo al capitalismo.
Quali sono gli obiettivi e le sfide di questo congresso?
Prima di tutto guardare al modello di società che vogliamo costruire a fronte degli attacchi imperialisti ma anche dei limiti del sistema economico basato sulla rendita petrolifera. Un modello in cui la questione di genere declinata in tutti i suoi aspetti, la lotta al maschilismo e al sistema patriarcale, siano una forza centrale della rivoluzione. Le nostre lotte si vincono con il lavoro nelle comunità.
Notizia del: 28/10/2018
fonte: L'Antidiplomatico