VIAGGIO AL CENTRO DEL SALOTTO

Se al governo, ci sono i “professionisti del Caos”: burocrati, perditempo, narcisisti,
incapaci di affrontare la situazione e privi di buonsenso: per nostra fortuna ben diversi
appaiono alcuni governatori delle Regioni.
Soprattutto quelli chiamati a gestire direttamente e concretamente l’emergenza.

Se l’atteggiamento inizialmente contrario – per non dire ostruzionista – da parte del governo era evidentemente dovuto
“all’antipatia” politica nei confronti dei leghisti Fontana e Zaia, con il passare delle settimane il fronte si è aperto e ora,
contro l’egocentrico Conte, l’inutile Speranza e la corte dei miracoli romana si stanno schierando anche molti governatori del Pd.

Il pugliese Emiliano ha lanciato l’allarme in tv per la mancanza di dispositivi di protezione e respiratori in Puglia.

Il campano De Luca ha scritto una durissima lettera per denunciare i ritardi del governo e annuncia l’imminente collasso della sanità campana.

Il marchigiano Ceriscioli ha preferito chiamare Bertolaso per realizzare in tempi brevi una struttura ospedaliera,
invece che rivolgersi all’inetto Borrelli, capo della Protezione civile.

Ora possiamo aggiungere anche le lamentele del governatore dell’Emilia, Bonaccini
(che per il Pd era un mito, dopo la vittoria alle regionali) scatenato contro il “suo” governo
che non capisce le esigenze dei territori e agisce con ritardo.

Questi governatori di sinistra rappresentano la prova inequivocabile del fallimento della gestione dell’emergenza sanitaria
da parte del governo più a sinistra della storia d’Italia.


I governatori regionali sono la prima linea dinanzi all’emergenza coronavirus, più dei sindaci,
visto che a loro fa riferimento la gestione della sanità e delle relative strutture che, però,
non possono funzionare senza adeguate forniture di materiali (di protezione), strumenti (nuovi respiratori)
e mezzi finanziari (per ampliare i reparti e assumere nuovo personale).

Tutto ciò che il governo (pur avendo dichiarato lo stato di emergenza il 31 gennaio)
non ha pensato a cercare, ordinare, acquistare, distribuire o fornire.


Eppure Conte, Gualtieri, Speranza, Borrelli (come tutti noi) vedevano le immagini della Cina,
con i medici completamente protetti e dove, in dieci giorni, hanno costruito ospedali per mille posti di terapia intensiva per gestire la situazione.

Governare significa “dirigere, guidare, condurre” (vocabolario Treccani) “reggere le sorti di uno Stato”,
non fregarsene, voltarsi dall’altra parte, far finta di niente.

Vorremmo aggiungere che governare “bene” significa anche saper guardare avanti,
prevenire i pericoli e, poi, affrontarli quando si presentano.

Non sottovalutare (per interessi personali) i rischi, irridere chi chiede controlli e, poi,
correre a nascondersi quando scoppia il dramma (come hanno fatto Speranza, Zingaretti, Di Maio)
o cercare di scaricare le colpe su altri (come ha fatto Conte).

Contro questa banda di inetti che ci governa si sta compattando il fronte dei governatori.

Oltre a quelli in prima linea e a quelli già citatati, anche Marsilio (Abruzzo), Musumeci (Sicilia), ma soprattutto Santelli (Calabria) e Bardi (Basilicata),
che hanno ereditato una sanità a livelli disastrosi, hanno adottato in queste settimane provvedimenti speciali e chiesto di poter sigillare i confini regionali.

Totalmente inascoltati dal ministro dell’Interno Lamorgese,
preoccupata solo di trovare accoglienza ai migranti che lei continua a lasciar sbarcare.

Dalla Sicilia al Friuli (dove Fedriga ha invocato l’esercito per controllare il confine sloveno),
dalla Sardegna alla Liguria di Toti, dal Trentino alla Valle d’Aosta, è un fronte compatto di governatori
preoccupati per la salute dei loro cittadini che vorrebbero più mezzi e più sicurezza da un governo sordo.

Solo nella conferenza stampa dell’altro giorno, il solito tentennante e vanesio Conte ha dichiarato
di voler lasciare “carta bianca” alle Regioni per poter disporre ulteriori restrizioni al fine di contenere la diffusione del virus.

A proposito… ovviamente avete notato che nell’elenco dei governatori virtuosi manca proprio quello del Lazio
che, al contrario dei suoi colleghi, ha impedito la rapida riattivazione
di un Ospedale specializzato il Forlanini da lui promesso alle ONG straniere.

Com’è che si chiama il governatore del Lazio?
 
Nel Lazio, invece, purtroppo, la questione è ancora aperta.

Il professor Martelli ha lanciato una petizione online che ha superato le 100 mila firme
e ha incontrato il consenso del cantrodestra e anche del sindaco, Virginia Raggi.

Ma il doppio presidente, Nicola Zingaretti (del Pd e della Regione) e l’assessore alla Sanità, Alessio D’Amato hanno detto no.

Intanto la Regione ha avviato due progetti con strutture private, la Columbus e la Casalpalocco, rinominate Covid-2 e Covid-3.

Dai due complessi si otterranno in totale 83 posti terapia intensiva più 100 posti letto per ricoveri.

Presentando i lavori alla Casalpalocco, l’assessore D’Amato ha detto che Roma può contare così
su 200 posti letto in terapia intensiva esclusivamente dedicati al coronavirus, 500 in tutto il Lazio.

Saranno sufficienti?
Si spera e si prega che lo siano.

Ma ulteriori 80 posti da realizzare in una settimana, come richiesto da Martelli per una città di oltre 2 milioni di abitanti, non erano da sottovalutare

Per ora i casi nel Lazio non sono moltissimi (circa 700) ma il quotidiano Il Tempo parla di cifre sottostimate
perché sono molti di malati a casa con la febbre alta che aspettano di essere contattati dal 118.

Bisogna, poi, ricordare che con 1.800 positivi la Lombardia aveva più di 200 persone in terapia intensiva.

Sul caso, la Regione ha emesso un comunicato ufficiale che fa indignare sin dal titolo

“La triste fake news sul Forlanini sulla pelle delle persone e dei malati”.

Nel testo si legge:

«In queste ore circola una fake news sulla possibilità di riaprire il Forlanini.
Bisogna fare chiarezza, perché è una campagna di speculazione sulla pelle delle persone, soprattutto in questa fase di emergenza».

In realtà la speculazione la sta facendo la Regione che aveva in progetto di trasformare il Forlani
in sede di organizzazioni internazionali e Ong, magari con il contributo di Soros.

Vergognosa poi la chiusa del comunicato che ricorda che i posti a disposizione dell’emergenza
in tutta la Regione Lazio sono circa 1.500 (numero che, in realtà, comprende tutti i posti letto non solo quelli della terapia intensiva).

Si legge infatti: «Noi abbiamo il dovere di aprire nuovi reparti in tempi brevissimi, come stiamo facendo,
ma in strutture sanitarie che garantiscano igiene, efficacia e funzionalità perché si parla della vita di esseri umani.
Le persone hanno bisogno di soluzioni concrete in 7 giorni, non di cose che si possono realizzare in 7 anni.
Chi porta avanti questa campagna, quindi, ha una grave responsabilità, suscita attese e speranze,
produce frustrazione quando avremmo tutti bisogno di speranza».

Parole davvero squallide soprattutto perché gli 80 posti al Forlanini sarebbero proprio disponibili in 7 giorni.

E così sui social gira un video con il durissimo sfogo del professor Martelli
e di Roberta Angelilli che ha scovato la delibera della Regione a favore delle organizzazioni internazionali.
 
Il Consiglio dell’Unione Europea, condotto in modo virtuale, è finito malissimo,
con una spaccatura netta fra paesi latini (Italia, Francia, Portogallo, Grecia e Spagna) e Nordici, Germania e Paesi Bassi in testa.

Sappiamo che perfino Conte è rimasto deluso, poverino lui, dal fatto che i CoronaBonds,
titoli europei di debito che avrebbero dovuto finanziare i vari paesi,
siano stati immediatamente accantonati dai paesi “Nordici”, Paesi Bassi e Germania a guidare la banda,
che non ne hanno voluto per nulla parlare.

Qualcuno è rimasto però ancora più deluso rispetto a Conte:
il primo ministro portoghese Antonio Costas con il ministro delle finanze Olandese.

Questi aveva chiesto come mai certi paesi non avessero spazio proprio per misure di carattere fiscale,
cioè non avessero soldi da spendere, affermando che sarebbe stata necessaria una commissione d’inchiesta dell’Unione.

Costas non ha usato mezzi termini:

“Questo è un discorso disgustoso nel quadro dell’Unione Europea.
L’espressione è proprio questa: DISGUSTOSO.
Nessuno è disponibile ad ascoltare ministri delle finanze come quelli
che abbiamo ascoltato nel 2008, 2009, 2010 e anni consecutivi”,
ha avvertito Costa, sottolineando che la pandemia “è un problema comune”.

“Non è stata la Spagna a creare il virus, il virus ci ha colpiti tutti allo stesso modo”,
aggiungendo che “Questa risposta è di un’incoscienza assoluta.
È di una cattiveria estrema che mina completamente la base dell’Unione europea”


Gli Olandesi non vogliono bond comuni,non vogliono nessuna condivisione dei rischi.
Nessuna, zero.

Anche i tedeschi, pur se con toni meno aggressivi, hanno una posizione simile.

Per loro è “Incredibile” che non abbiamo i soldi per far fronte ad un calo del 10%-20%.

Forse hanno anche ragione: alla fine potremmo iniziare a sanzionare seriamente le società, come FCA, Mediaset, etc ,
che spostano la loro sede fiscale nei Paesi Bassi per non pagare tasse sugli utili distribuiti.

Oppure punire IKEA che è posseduta, per non pagare tasse, da una ONLUS sempre con sede nei Paesi Bassi.

Con questo sistema si potrebbe, facilmente, recuperare
 
Messaggio di Claudio Borghi Aquilini a commento del fallimento del Consiglio d’Europa,
dove “Cucciolo” Conte è stato costretto ad andarsene perchè la creazione di Gualtieri,
che con i suoi sherpa aveva cercato per una settimana di trovare una soluzione con Coronabond
ha proposto una porcata inaccettabile, tanto che, di fronte agli attacchi del ministro delle finanze olandese,
il primo ministro ne ha definito il comportamento “Ripugnante”.

Però è stato un portoghese, evidentemente con le “Palle” a dirlo, non uno spagnolo o un italiano, a cui l’attacco era rivolto.

Ora Conte farà passare questi dieci-quindici giorni per poi cercare di farci firmare un accordicchio,
cattivo, anzi pessimo, e perderà questi dieci giorni per far lavorare Gualtieri a qualche malfatto accordo capestro.

Eppure la strada è semplice, già scritta: fare le cose da noi, non affidarci a nessuno,
emettere il debito necessario nelle migliori modalità e poi o lo compra la BCE e non ci sono problemi,
o non lo compra la BCE, ed allora se ne farà a meno e si troveranno altre soluzioni.
 
Lo tsunami Covid-19 ha messo a nudo i limiti congeniti di una classe dirigente inadeguata.

Ha anche reso evidente a tutti la natura dell’Unione europea, non democratica e fondata su un egoismo sociale “legalizzato”.

Urge un appello “ai liberi e forti” in grado di coagulare il consenso sia di chi vorrebbe uscire dalla UE
e dall’euro domani mattina sia di chi ha bisogno di più tempo per rifletterci, ma non è comunque disposto a continuare così.

Il Manifesto in 12 punti fornisce una base di partenza per cominciare a ragionare in modo nuovo come i tempi impongono.

Non avremo una seconda possibilità per far “rinascere” la nostra Repubblica
in conformità ai principi intangibili dei padri costituenti, autori della Costituzione del 1948.

Ecco i primi passi indispensabili da compiere che chiunque potrà correggere, integrare, sviluppare a piacimento.

Fondamentale è capire che divisi non si va da nessuna parte. Uniti, ovunque.


1) Costituzionalizzazione del divieto irrevocabile, per l’Italia, di aderire agli Stati Uniti d’Europa.

2) Rifiuto categorico alla ratifica del trattato sul “Nuovo MES”.

3) Denuncia del trattato sul Fiscal Compact e abrogazione di ogni conseguente legge applicativa.

4) Riforma degli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione nella parte in cui legittimano il Fiscal Compact.

5) Abrogazione dell’articolo 117 della Costituzione nella parte in cui assoggetta la sovranità legislativa dello Stato italiano
ai “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” (introdotta dalla riforma del 2001).

6) Costituzionalizzazione del “Quarto potere”, quello monetario: il diritto intangibile dello Stato di battere moneta.

7) Approvazione di una legge istitutiva dei “biglietti di Stato”: una nuova moneta complementare, parallela all’euro e compatibile con i trattati europei.

8) Nazionalizzazione di Banca d’Italia.

9) Creazione di una rete nazionale di banche pubbliche per erogazione privilegiata del credito a privati, famiglie e imprese.

10) Inserimento, nella lista delle banche autorizzate in esclusiva a partecipare alle aste primarie del debito pubblico italiano,
delle banche pubbliche già esistenti e di quelle di nuova creazione.

11) Modifica del criterio autolesionistico dell’asta marginale nel collocamento dei BTP italiani di nuova emissione.

12) Adozione di un’agenda di nazionalizzazione di imprese relative a servizi pubblici essenziali
in applicazione dell’articolo 43 della nostra Carta fondamentale.

Le adesioni sono aperte.
Dedicato a tutti coloro ai quali sta (ancora) a cuore l’Italia.
 
Negli USA è stato creato il termine “Covidiots”, “Covidioti”, per indicare quella gioventù bruciata che,
nonostante gli allarmi ed i divieti dovuti al Coronavirus ed alla relativa malattia, il Covid-19,
continuano in pazzie e vacanze spensierate.

Tizi quali questo:

“If I get corona, I get corona. At the end of the day, I'm not gonna let it stop me from partying”:
Spring breakers are still flocking to Miami, despite coronavirus warnings. Thousands flock to Florida beaches, ignoring coronavirus concerns pic.twitter.com/rfPfea1LrC

— CBS News (@CBSNews) March 18, 2020

“Se prendo il Coronavirus, prendo il Coronavirus. Nulla mi impedirà di fare festa”
come dice questo COVIDIOT che si è precipitato il Florida per il tradizionale “Sping Break”, le vacanze catenate degli universitari in primavera.

Questi personaggi dallo sguardo intelligente e sveglio, il meglio della cultura d’oltreoceano, sono un caso patologico,
ma hanno anche messo in luce quanto in profondità si possano seguire, praticamente pedinare, le persone,
anche se, in teoria, non si sta violando la loro .

Società come la Tectonix sono in grado di visualizzare in modo quasi puntuale la presenza ed il movimento delle persone
utilizzando i loro dati di posizionamento, contenuti nei loro smartphone, pur mantenendoli, teoricamente, anonimi:

Want to see the true potential impact of ignoring social distancing?
Through a partnership with @xmodesocial, we analyzed secondary locations of anonymized mobile devices
that were active at a single Ft. Lauderdale beach during spring break.
This is where they went across the US: pic.twitter.com/3A3ePn9Vin

— Tectonix GEO (@TectonixGEO) March 25, 2020

Come vedete i flussi delle persone sono seguite in modo perfetto, anche su scala minima.

Basta identificare un luogo e, tramite la geolocalizzazione dei telefonini, si possono analizzare i flussi delle persone
giunte in quel particolare posto, nel caso specifico i “Covidiot” che sono andati a Fort Lauderdale per lo Spring Break.

Potete pensare di essere protetti dall’anonimia dei dati: sono telefoni, non collegati ad alcuna utenza,
ad essere rilevati e tracciati, quindi nessun pericolo….. SBAGLIATO.

Grazie allo studio dei dati statistici ed alla AI è possibile identificare anche singoli numeri , teoricamente anonimi.

Semplicemente una specifica persona ha delle abitudini particolari che , analizzati nella loro ripetitività,permettono alla AI di identificarlo.

Se Giovanni fuma, e nella sua area c’è un telefono che si ferma sempre dal tabaccaio,
unendo questo dato con altri sarà possibile identificare il suo specifico telefono, anche se il numero è, teoricamente, anonimo.

Quindi avete guadagnato un telefonino, ma avete perso il libertà e privacy.

Ricordatevelo questo, e se fate una corsetta fuori casa, lasciate lo smartphone fra le quattro mura.
 
......veramente è dal 12 marzo che tengo lo smart rigorosamente chiuso in casa.
..... come conte desidera!
 
Si è detto giustamente che mai un Governo italiano del secondo dopoguerra
si è trovato ad affrontare una emergenza così drammatica e pericolosa come quella del coronavirus.

Si può discutere se l’emergenza attuale sia maggiore di quelle precedenti.

Da quella della ricostruzione materiale e morale del Paese uscito distrutto non solo fisicamente dalla guerra
a quella degli anni di piombo segnati dal ritorno di quel virus della guerra civile che sembrava essere stato debellato nei trent’anni precedenti.

Ma una discussione del genere è del tutto sterile.

Perché il paragone con le altre emergenze non riduce la gravità di quella in corso e non giustifica
alcuna forma di fuga dalle proprie responsabilità da parte di chi è chiamato a compiere il proprio dovere
nella battaglia per la sopravvivenza della società nazionale
.

Ma lo stato d’emergenza non può e non deve impedire di verificare quali e quante di queste grandi responsabilità sono state rispettate.

Per evitare che nel momento della ripresa gli irresponsabili vengano confusi con i responsabili
e gli errori del passato e quelli del presente si possano sommare condizionando negativamente il ritorno alla normalità.

Riconoscimento deve andare di pari passo con la constatazione che il peso maggiore della guerra in corso,
oltre che andare sulle spalle di chi combatte in prima linea sul settore della sanità, è finito sulle spalle di tutti gli italiani.
A loro è stato chiesto di compiere sacrifici simili a quelli compiuti dai loro genitori e nonni negli anni della guerra e dell’avvio della ricostruzione.

Un primo bilancio della fase emergenziale, che ormai va avanti da più di due mesi,
indica quindi che a parte una percentuale bassissima di furbetti, la stragrande maggioranza dei cittadini
ha compiuto il proprio dovere rispettando i provvedimenti rigorosi che hanno stravolto le loro vite e garantendo la solidità del cosiddetto “fronte interno”.

Sarebbe sicuramente ingeneroso sostenere che c’è stata sproporzione tra il tanto compiuto dagli italiani
ed il quanto, spesso pasticciato, confuso ed incerto, realizzato dai suoi governanti.

Ma non si può non prendere atto come la sfiducia nei confronti di questi ultimi sia talmente crescente
da far montare non solo nell’opposizione ma anche nell’area governativa l’idea di arrivare al più presto
a sostituire il Governo Conte-bis giallo-rosso con un Governo multicolore guidato da Mario Draghi.

È giusto, allora, ribadire la necessità che ognuno faccia il suo.

Ma è bene non dimenticare mai che in democrazia ai governanti è chiesto sempre di più in termini di capacità e responsabilità.
 
Come ormai tutti noi sappiamo, l’allarme suscitato dal coronavirus non è unico,
nel senso che non attiene soltanto alla salute, benché nella salvaguardia di questa si ripongano giustamente gli sforzi maggiori.

C’è tuttavia un'altra avvertenza, cioè un altro allarme, cui va data una risposta che nelle ben 295 pagine
fra regole, imposizioni, inviti e programmi dei decreti fino ad ora decisi;
non abbiamo trovato o, meglio, non ne abbiamo notato un approccio all’altezza della situazione:
la condizione dell’industria italiana e le sue richieste a fronte delle scarsissime risposte che, mal che vada,
risiedono nell’ambito dei buoni propositi. Ovvero nelle parole. Dsds – ds

Il fatto, non si tratta di un’opinione ma di un fatto, è che le industrie e le botteghe sparse sul territorio sono cruciali
e la ripresa non può non passare anche dalla loro riapertura, prendendo atto che la loro mancata ripresa in tempi rapidi
rischia di produrre un colpo talmente forte da non riuscire più a rialzare la testa accelerando un declino
– in un settore storicamente debole – con ripercussioni sociali enormi e col pericolo che migliaia di lavoratori
rimangano non solo senza busta paga ma, in futuro, anche senza posto.

Sono affermazioni molto meno vaghe rispetto alla mania decretizia di Giuseppe Conte e sostenute, non a caso,
dalla prima merchant bank indipendente del Paese con la proposta di una exit strategy per il dopo Covid-19.

Il presupposto è che la stragrande maggioranza di chi fa impresa non crede e non ha mai creduto al declino dell’Italia
e a maggior ragione neppure in questi tempi, e non si rifiuta di pensare ad investimenti tanto più necessari
quanto più obbligati dalla gravità della situazione, nel contempo proponendo concreti interventi.

Proprio perché sono convinti che questa tragedia umana non debba trasformarsi in una fatale deindustrializzazione,
avanzano la stringente e urgente proposta che l’apertura avvenga in tempi ravvicinati, e già da ora insistono su questo aspetto
avvertendo che se si arrivasse a maggio sarebbe un disastro per le aziende produttive,
pur aggiungendo che non basta l’apertura sic et simpliciter ma occorre una seria e organica politica industriale,
a cominciare dagli interventi fiscali e già da adesso con lo spostamento di tutte le scadenze del fisco e contributive a novembre,
oltre alle garanzie per favorire la liquidità ottenendo dalla Banca centrale europea una consistente dote
di 300 miliardi da destinare alle banche chiamate a trasferire all’economia reale.

Un allarme esagerato, questo? Di certo da prendere sul serio.
 
Ancora una volta la riunione dei Capi di stato e di governo dell’Unione europea si è risolta con un nulla di fatto.

L’emergenza ha messo in ginocchio l’economia, presto molte famiglie che vivevano di artigianato,
commercio e ristorazione non sapranno più come fare per andare avant
i e i partecipanti alle riunioni in Europa
tentennano ancora sulle decisioni da prendere, prigionieri della lotta tra rigoristi e sostenitori di politiche monetarie più espansive.

Come è sempre stato.

La situazione attuale imporrebbe però l’entrata in gioco di quei valori spesso sconosciuti in economia
quali solidarietà e umanità che dovrebbero superare l’arido obiettivo contabile.

Le famiglie in difficoltà hanno bisogno di aiuti domani.

Si sta ancora a discutere di Omt, Mes, debito e clausole di garanzia.

Quel che è buffo, per non dire peggio, è che coloro che affermano di fare ricorso al Mes
sanno bene che il Fondo che lo costituisce non è ancora stato completato,
quindi per accedervi in modo adeguato gli Stati prima dovrebbero terminare di pagare la quota spettante!

Sembra una barzelletta, ma purtroppo così non è.

Il Fondo dovrà avere come capienza finale 750 miliardi di euro, ma al momento è ben lungi dall’averla raggiunta.
La quota spettante all’Italia, ad esempio, di circa 125 miliardi, ad oggi è stata versata nella misura del 40 per cento
e le somme necessarie all’attuale contingenza sono ben altre.

Per restare all’esempio italiano se si volesse ricorrere all’aiuto del Mes in quantità accettabile,
anche senza le rischiose condizioni poste dall’organismo, prima bisognerebbe pagare e poi beneficiare.

Se si vuole mantenere in piedi l’Europa l’unica soluzione è modificare lo Statuto della Bce
che al momento impedisce di dare denaro agli Stati, unica strada percorribile.

L’articolo 21, infatti, vieta espressamente la concessione di scoperti di conto
o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia da parte della Bce
o da parte delle banche centrali nazionali, a istituzioni o agli organi della Comunità,
alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici,
ad altri organismi di settore pubblico o ad imprese pubbliche degli Stati membri,
così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Bce o delle banche centrali nazionali.

Solo stampando moneta e un massiccio Quantitative easing rivolto agli Stati e non alle banche private invece potrà aiutare l’economia.

Il Nobel Milton Friedman usava la metafora della distribuzione del denaro con l’elicottero per descrivere un aumento dell’offerta di moneta che piove dal cielo.

È quello che ha fatto Donald Trump in un giorno decidendo aiuti per duemila miliardi di dollari.

L’Europa ieri ha ancora preso tempo e forse giungerà a concordare qualcosa fra dieci giorni.

Un qualcosa che per divenire operativo necessiterà di altro tempo prezioso,
tempo che probabilmente chi ha dato fondo agli ultimi risparmi non ha più.
 

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