riflessioni analisti
mercati stanno pertanto manifestando un certo nervosismo, tipico delle fasi di fine ciclo, quando si diffonde tra gli operatori una sensazione di malessere e quasi il presentimento che la festa sia ormai alla fine, che i rischi di capovolgimento congiunturale si facciano troppo consistenti. Il buon senso spinge ad uscire dal mercato.
Contemporaneamente però è ancora troppo fresco il ricordo del toro e l'avidità porta a pensare che, come in passato, ogni correzione sia seguita da nuovi massimi. Perciò sono molti quelli che, appena le borse scendono un po', si affrettano a comprare con la convinzione di acquistare a saldo.
La medesima incertezza la si nota anche tra i cosiddetti “esperti”. In questi periodi il numero degli “ottimisti nonostante…” e quello dei “pessimisti nonostante…” comincia ad essere maggiormente bilanciato. Non è un caso che il mitico Greenspan, che, dopo essere andato in pensione, ci allieta con le sue previsioni degne della miglior Vanna Marchi, abbia rivisto al rialzo le probabilità di recessione in Usa, portando la sua previsione al 50% dal precedente 33%.
Il risultato di tutto questo disorientamento sui mercati si chiama volatilità, cioè l'alternanza nella prevalenza dei compratori e dei venditori, a seconda degli umori momentanei, delle dichiarazioni dei guru, e dei singoli dati macroeconomici e societari comunicati al mercato.
Negli ultimi sei mesi infatti abbiamo vissuto forti e rapidissime oscillazioni: rialzo fino a metà luglio, ribasso fino a ferragosto, rialzo fino all'11 ottobre, ribasso fino al 26 novembre, rialzo fino all'11 novembre, ribasso fino ad oggi. Ma, curiosamente, se tracciamo la media mobile a 100 periodi sul grafico dell'indice americano SP500, troviamo che il valore oggi è più o meno uguale a quello di metà luglio e l'andamento è abbastanza piatto. Quindi: volatilità molta, direzionalità nulla. In inglese: trading range.
La mia impressione, che ho già manifestato da settimane, e che ribadisco, è che siamo alle porte di un cambiamento significativo e di lungo periodo del trend (se qualcuno ha dei dubbi preciso che passeremo da una fase rialzista ad una ribassista), perché le condizioni congiunturali americane si sono enormemente deteriorate e nulla giustifica più valorizzazioni così elevate sui mercati azionari. Tuttavia questo deterioramento comincia appena ad essere visibile sui bilanci delle società quotate, che fino al trimestre scorso hanno continuato a macinare utili in crescita e mantenuto così i multipli borsistici su livelli contenuti. I gestori ed i guru hanno perciò potuto affermare che “nonostante 5 anni di rialzi le borse occidentali non sono ancora care”.
Solo nel terzo trimestre hanno cominciato ad affiorare le prime falle, con utili trimestrali in diminuzione per la prima volta dal 2003. Ma è ancora poco per convincere gli ottimisti ad oltranza che il vento sia cambiato. Costoro vogliono conferme dalle prossime trimestrali. Intanto continuano a dire che le borse sono ancora a buon mercato.
Nei prossimi giorni, complici le festività di fine anno, che diradano la diffusione di dati economici e societari, è possibile che se non usciranno notizie troppo torbide, le forze dell'ottimismo tenteranno di provocare una seconda partenza dl rally di Natale, dopo la falsa partenza di inizio mese. E' probabile che ci riescano. In tal caso il pendolo degli indici tornerà a dirigersi al rialzo verso (ma assai difficilmente oltre) i massimi del 2007.
Intanto i topi, come si è visto nei giorni scorsi, sanno abbandonando la nave appena vedono un rimbalzo delle quotazioni.
Gennaio e febbraio toglieranno molte incertezze e anche gli ottimisti scopriranno che gli utili societari stanno franando. Allora inizierà ufficialmente il mercato orso.
Intanto Buon Natale. E non spendiamoci i rialzi futuri. Non è detto che arriveranno.