SINIBALDO
Forumer attivo
Da questa puntata gradirei accentuare l'attenzione dei lettori sulle prodezze di quei "personaggi" considerati i nuovi......."alfieri" del libero mercato !!!!!!!!!!!
Paladini della........"libertà, la giustizia e soprattutto della democrazia"
............la Loro !!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Chiamano il popolo dei......."risparmiatori" con tono spregiativo:
"quelli del parco buoi" paragonandoli a questi animali notoriamente
considerati............stupidi, miti e........nutrienti !!!!!!!!!!!
I "veri" movimenti dei mercati vengono studiati e stabiliti altrove...... a piazza Affari si portano "sapientemente" a termine.
Per portare a compimento tutto "questo" e dargli quella parvenza di
"legalita" si "assoldano" .......monsignori, donne, consulenti illustri,
facendieri, ruffiani e infine......politici, tutti "gioiosamente soci" nel festeggiare "colossali " affari conclusi felicemente !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
SINIBALDO
____________________________________________________________
La rude razza romana va all'assalto
di G. Barbacetto
La rude razza romana ha iniziato l’assalto al sistema.
Due grandi banche, Antonveneta e Bnl, sono sotto scalata da parte di una composita compagnia di finanzieri di provincia e d’immobiliaristi romani, che dicono di volerle salvare dagli stranieri (gli olandesi di Abn Amro, i baschi del Banco di Bilbao).
E la Rcs, editrice del principale quotidiano italiano, il Corriere della sera, è sotto attacco da parte di Stefano Ricucci, il più nuovo di quegli immobiliaristi.
Con Danilo Coppola e Giuseppe Statuto forma un trio del mattone che sembra aver rivestito i panni delle truppe d’assalto.
Dietro di loro si muovono i battaglioni di banchieri come Gianpiero Fiorani, presidente e amministratore delegato della Popolare di Lodi;
di manager come Giovanni Consorte, il boss di Unipol; di finanzieri come Emilio Gnutti, già protagonista nel 1999 della madre di tutte le nuove scalate, l’opa su Telecom.
È l’attacco al cuore dello stato di cose presente. L’Italia vive una crisi strutturale, la grande industria è in declino, la piccola ha perso competitività, le Grandi Famiglie del Nord sono al crepuscolo, non c’è più un Enrico Cuccia a fare da centro del sistema.
Dopo la «rude razza padana» di Chicco Gnutti e dei suoi amici, che tanto era piaciuta a Massimo D’Alema, ecco s’avanza la rude razza romana dei nuovi padroni del mattone.
Espugnata Rcs, potrebbe cadere Mediobanca. E l’obiettivo seguente sarebbero le Generali, la cassaforte più preziosa del sistema.
Fantascienza, per ora. Ma intanto Ricucci annuncia di avere in mano (quando scriviamo) almeno il 18,5 per cento di Rcs e insidia i fragili equilibri del patto di sindacato che tiene per ora insieme, dentro Rcs, i rappresentanti di quella che fu l’ala nobile del capitalismo italiano, più qualche nuovo arrivato.
Le prime reazioni sono state dure: chi è mai questo Ricucci, da dove viene, come ha fatto i soldi?
Le maldicenze sulle origini della razza mattona e le domande sulle fortune degli immobiliaristi si sono moltiplicate.
I più benevoli sussurrano che sono figli dello scudo, riferendosi al cosiddetto «scudo fiscale» che dal 2001 ha permesso il rientro anonimo e a buon mercato dei capitali nascosti all’estero.
I più malevoli accennano a loschi traffici di ogni sorta, ma senza portare mai uno straccio di prova.
Le domande sono rimbalzate dai salotti buoni alle pagine di giornali come il Sole 24 ore, il Mondo, L’espresso. Con seguito di proteste, rettifiche, querele.
Anche il presidente di Confindustra Luca Cordero di Montezemolo, all’assemblea annuale dell’associazione, il 26 maggio, ha toccato l’argomento, quando a proposito della «malintesa battaglia per l’italianità delle banche», ha detto:
«Ne sono seguiti incontri più o meno riservati presso le autorità, manovre incrociate, emersione di nuovi soggetti e di capitali misteriosi, rastrellamento di azioni sul mercato, scalate clandestine, sospetti e accuse di insider trading, denunce di azioni di concerto, interventi della magistratura.
Niente di più lontano da produzione e lavoro».
«Aridaje!», ripete Ricucci ogni volta che sente parlare di «capitali misteriosi» e ogni volta che gli viene chiesto come abbia fatto i soldi.
E poi parte in quarta a spiegare la sua storia di mattoni e successo, aiutato da una fidanzata esuberante e comunicativa come Anna Falchi, che il prossimo 2 luglio, all’Argentario, diverrà sua moglie.
Mente veloce, gran lavoratore, uomo fortunato.
Ma la sua fortuna più grande è incrociare la bolla immobiliare: in un’Italia in cui l’industria declina, il mattone cresce ininterrottamente di valore;
e il cambio di regime monetario con l’arrivo dell’euro aumenta la propensione agli investimenti immobiliari (anche perché costringe a mettere in circolo i soldi indichiarabili).
Negli ultimi anni (ottobre 1998-ottobre 2004, secondo dati di Nomisma) le abitazioni incrementano il loro valore in media del 65 per cento, gli uffici del 59 per cento, i negozi di oltre il 57 per cento.
Ma i palazzi di pregio a Milano e Roma in alcuni casi raddoppiano o addirittura triplicano il loro valore.
Lavora soprattutto con le banche, stringe rapporti e alleanze, compra e vende grandi immobili, realizza operazioni di vaste dimensioni. Fino a diventare il re della rude razza romana. Ha fatto affari con la Fingruppo di Chicco Gnutti e con la Capitalia di Cesare Geronzi, restando poi con entrambi in rapporti non proprio affettuosi, secondo i bene informati. Ma realizzando comunque ottime plusvalenze.
Quando, nel 1989, ha fondato la sua holding, l’ha chiamata Magiste e l’ha domiciliata in Lussemburgo, al riparo da sguardi indiscreti.
Si attornia solo di uomini fidati, tra cui Luca Pompei, un giovanotto di 30 anni, nipote di Giorgio Almirante e di Donna Assunta, che è di casa a casa Ricucci.
E nelle sue operazioni – non tutte proprio un esempio di trasparenza – entrano finanziamenti misteriosi (come quello da 1,8 miliardi di euro
ottenuto in Lussemburgo: in cambio di quali garanzie patrimoniali? e messe a disposizione da chi?)
Il signor Ezio Candela, per esempio, è un pensionato ottantunenne esperto in fallimenti (ne ha sei sul groppone) a cui Ricucci il 30 dicembre 2004, per la cifra di soli mille euro, ha passato la società Immobiliare il Corso.
Ovvero una scatola in cui erano passati immobili di Ricucci venduti a Gnutti, poi finita alla banca di Fiorani.
Candela gli era già stato utile, come ricostruisce Vittorio Malagutti sull’Espresso, quando, indossati i panni dell’amministratore unico, aveva preparato il passaggio al curatore fallimentare di un’azienda del primo Ricucci, il centro odontostomatologico Arcadia.
Archiviati i denti e raggiunta la ricchezza, ora, con addosso una nuvola di Rush (Gucci eau de toilette), sogna il riconoscimento sociale e insegue la promozione culturale.
Una laurea se l’è già presa, in Economia, presso una certa Clayton University di San Marino, non proprio la Sorbona.
Adesso il suo obiettivo è diventare cavaliere del lavoro.
Ci tiene proprio. «Qual è il problema? Lavoro da 23 anni», ha dichiarato al settimanale Economy, «e per diventare cavaliere ne occorrono 20.
Ho un gruppo che paga le tasse in Italia. E ho creato ricchezza...». E ha aggiunto tenero: «Io chiedo solo una chance. Chiedo solo di essere rispettato per il lavoro che faccio. È troppo?».
Chi non lo ama dipinge Ricucci come uno dei tanti operatori spregiudicati che riescono a emergere in tempi di crisi, senza aver creato nuove imprese o nuovi prodotti; spalleggiati e utilizzati da banchieri altrettanto spregiudicati, hanno solo spostato in Borsa, drogando il listino, i soldi guadagnati col mattone.
«Ricucci non ha alcun fascino, zero magnetismo. Neppure la fierezza, tutta siciliana, di un altro che si è fatto dal niente come Salvatore Ligresti», racconta un grande banchiere che ha avuto a che fare con lui («Ma mi raccomando, niente nomi»).
Lui ripete fino alla noia di essersela invece meritata, la sua fortuna. E che «dietro Ricucci c’è solo Ricucci, che ha fatto strada lavorando duramente e grazie a tanti amici che hanno creduto in lui. Punto».
Siccome poi nei salotti buoni non lo invitano, è entrato di forza in uno dei migliori, quello di Rcs, buttando sul piatto una cifra valutata tra i 450 e i 700 milioni di euro.
E subito tutti a interrogarsi: perché vuole il Corriere della sera?
chi c’è dietro? di chi sta facendo il cavallo di Tro.ia?
Ma comunque, dato che i protagonisti di questa storia non aiutano a capire molto di più, non resta che raccogliere indizi, seguire piste. A cominciare dal volo del calabrone.
Il patto del calabrone.
Il patto di sindacato che scade nel 2007 e controlla il 58 per cento di Rcs è un calabrone: non si sa come riesca a volare, eppure vola.
Tiene insieme, infatti, 15 soggetti che hanno scarse motivazioni a stare insieme.
Banchieri e imprenditori di quella che una volta era l’ala nobile del capitalismo italiano (Mediobanca, Generali, Fiat, Pirelli, Pesenti, Gemina, Edison, Mittel, Merloni, Intesa, Capitalia...), più un paio di nuovi arrivati accettati non senza fatica (Diego Della Valle e Salvatore Ligresti).
È questo calabrone che gestisce il Corriere, magari anche stando a guardare attonito chi
– come Francesco Gaetano Caltagirone, palazzinaro romano di più antica tradizione – stava fuori dal patto, ma tenendosi stretto un bel 2 per cento di azioni Rcs che avrebbe voluto far contare di più.
Con questo calabrone che ronza ma non disturba, il Corriere negli ultimi anni è andato per la sua strada, cambiando più volte direttore ma dimostrando nella sostanza di essere difficilmente condizionabile dai poteri. Per quanto tempo ancora, però, riuscirà a volare il calabrone?
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(continua)
SINIBALDO
[/b]
Paladini della........"libertà, la giustizia e soprattutto della democrazia"
............la Loro !!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Chiamano il popolo dei......."risparmiatori" con tono spregiativo:
"quelli del parco buoi" paragonandoli a questi animali notoriamente
considerati............stupidi, miti e........nutrienti !!!!!!!!!!!
I "veri" movimenti dei mercati vengono studiati e stabiliti altrove...... a piazza Affari si portano "sapientemente" a termine.
Per portare a compimento tutto "questo" e dargli quella parvenza di
"legalita" si "assoldano" .......monsignori, donne, consulenti illustri,
facendieri, ruffiani e infine......politici, tutti "gioiosamente soci" nel festeggiare "colossali " affari conclusi felicemente !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
SINIBALDO
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La rude razza romana va all'assalto
di G. Barbacetto
La rude razza romana ha iniziato l’assalto al sistema.
Due grandi banche, Antonveneta e Bnl, sono sotto scalata da parte di una composita compagnia di finanzieri di provincia e d’immobiliaristi romani, che dicono di volerle salvare dagli stranieri (gli olandesi di Abn Amro, i baschi del Banco di Bilbao).
E la Rcs, editrice del principale quotidiano italiano, il Corriere della sera, è sotto attacco da parte di Stefano Ricucci, il più nuovo di quegli immobiliaristi.
Con Danilo Coppola e Giuseppe Statuto forma un trio del mattone che sembra aver rivestito i panni delle truppe d’assalto.
Dietro di loro si muovono i battaglioni di banchieri come Gianpiero Fiorani, presidente e amministratore delegato della Popolare di Lodi;
di manager come Giovanni Consorte, il boss di Unipol; di finanzieri come Emilio Gnutti, già protagonista nel 1999 della madre di tutte le nuove scalate, l’opa su Telecom.
È l’attacco al cuore dello stato di cose presente. L’Italia vive una crisi strutturale, la grande industria è in declino, la piccola ha perso competitività, le Grandi Famiglie del Nord sono al crepuscolo, non c’è più un Enrico Cuccia a fare da centro del sistema.
Dopo la «rude razza padana» di Chicco Gnutti e dei suoi amici, che tanto era piaciuta a Massimo D’Alema, ecco s’avanza la rude razza romana dei nuovi padroni del mattone.
Espugnata Rcs, potrebbe cadere Mediobanca. E l’obiettivo seguente sarebbero le Generali, la cassaforte più preziosa del sistema.
Fantascienza, per ora. Ma intanto Ricucci annuncia di avere in mano (quando scriviamo) almeno il 18,5 per cento di Rcs e insidia i fragili equilibri del patto di sindacato che tiene per ora insieme, dentro Rcs, i rappresentanti di quella che fu l’ala nobile del capitalismo italiano, più qualche nuovo arrivato.
Le prime reazioni sono state dure: chi è mai questo Ricucci, da dove viene, come ha fatto i soldi?
Le maldicenze sulle origini della razza mattona e le domande sulle fortune degli immobiliaristi si sono moltiplicate.
I più benevoli sussurrano che sono figli dello scudo, riferendosi al cosiddetto «scudo fiscale» che dal 2001 ha permesso il rientro anonimo e a buon mercato dei capitali nascosti all’estero.
I più malevoli accennano a loschi traffici di ogni sorta, ma senza portare mai uno straccio di prova.
Le domande sono rimbalzate dai salotti buoni alle pagine di giornali come il Sole 24 ore, il Mondo, L’espresso. Con seguito di proteste, rettifiche, querele.
Anche il presidente di Confindustra Luca Cordero di Montezemolo, all’assemblea annuale dell’associazione, il 26 maggio, ha toccato l’argomento, quando a proposito della «malintesa battaglia per l’italianità delle banche», ha detto:
«Ne sono seguiti incontri più o meno riservati presso le autorità, manovre incrociate, emersione di nuovi soggetti e di capitali misteriosi, rastrellamento di azioni sul mercato, scalate clandestine, sospetti e accuse di insider trading, denunce di azioni di concerto, interventi della magistratura.
Niente di più lontano da produzione e lavoro».
«Aridaje!», ripete Ricucci ogni volta che sente parlare di «capitali misteriosi» e ogni volta che gli viene chiesto come abbia fatto i soldi.
E poi parte in quarta a spiegare la sua storia di mattoni e successo, aiutato da una fidanzata esuberante e comunicativa come Anna Falchi, che il prossimo 2 luglio, all’Argentario, diverrà sua moglie.
Mente veloce, gran lavoratore, uomo fortunato.
Ma la sua fortuna più grande è incrociare la bolla immobiliare: in un’Italia in cui l’industria declina, il mattone cresce ininterrottamente di valore;
e il cambio di regime monetario con l’arrivo dell’euro aumenta la propensione agli investimenti immobiliari (anche perché costringe a mettere in circolo i soldi indichiarabili).
Negli ultimi anni (ottobre 1998-ottobre 2004, secondo dati di Nomisma) le abitazioni incrementano il loro valore in media del 65 per cento, gli uffici del 59 per cento, i negozi di oltre il 57 per cento.
Ma i palazzi di pregio a Milano e Roma in alcuni casi raddoppiano o addirittura triplicano il loro valore.
Lavora soprattutto con le banche, stringe rapporti e alleanze, compra e vende grandi immobili, realizza operazioni di vaste dimensioni. Fino a diventare il re della rude razza romana. Ha fatto affari con la Fingruppo di Chicco Gnutti e con la Capitalia di Cesare Geronzi, restando poi con entrambi in rapporti non proprio affettuosi, secondo i bene informati. Ma realizzando comunque ottime plusvalenze.
Quando, nel 1989, ha fondato la sua holding, l’ha chiamata Magiste e l’ha domiciliata in Lussemburgo, al riparo da sguardi indiscreti.
Si attornia solo di uomini fidati, tra cui Luca Pompei, un giovanotto di 30 anni, nipote di Giorgio Almirante e di Donna Assunta, che è di casa a casa Ricucci.
E nelle sue operazioni – non tutte proprio un esempio di trasparenza – entrano finanziamenti misteriosi (come quello da 1,8 miliardi di euro
ottenuto in Lussemburgo: in cambio di quali garanzie patrimoniali? e messe a disposizione da chi?)
Il signor Ezio Candela, per esempio, è un pensionato ottantunenne esperto in fallimenti (ne ha sei sul groppone) a cui Ricucci il 30 dicembre 2004, per la cifra di soli mille euro, ha passato la società Immobiliare il Corso.
Ovvero una scatola in cui erano passati immobili di Ricucci venduti a Gnutti, poi finita alla banca di Fiorani.
Candela gli era già stato utile, come ricostruisce Vittorio Malagutti sull’Espresso, quando, indossati i panni dell’amministratore unico, aveva preparato il passaggio al curatore fallimentare di un’azienda del primo Ricucci, il centro odontostomatologico Arcadia.
Archiviati i denti e raggiunta la ricchezza, ora, con addosso una nuvola di Rush (Gucci eau de toilette), sogna il riconoscimento sociale e insegue la promozione culturale.
Una laurea se l’è già presa, in Economia, presso una certa Clayton University di San Marino, non proprio la Sorbona.
Adesso il suo obiettivo è diventare cavaliere del lavoro.
Ci tiene proprio. «Qual è il problema? Lavoro da 23 anni», ha dichiarato al settimanale Economy, «e per diventare cavaliere ne occorrono 20.
Ho un gruppo che paga le tasse in Italia. E ho creato ricchezza...». E ha aggiunto tenero: «Io chiedo solo una chance. Chiedo solo di essere rispettato per il lavoro che faccio. È troppo?».
Chi non lo ama dipinge Ricucci come uno dei tanti operatori spregiudicati che riescono a emergere in tempi di crisi, senza aver creato nuove imprese o nuovi prodotti; spalleggiati e utilizzati da banchieri altrettanto spregiudicati, hanno solo spostato in Borsa, drogando il listino, i soldi guadagnati col mattone.
«Ricucci non ha alcun fascino, zero magnetismo. Neppure la fierezza, tutta siciliana, di un altro che si è fatto dal niente come Salvatore Ligresti», racconta un grande banchiere che ha avuto a che fare con lui («Ma mi raccomando, niente nomi»).
Lui ripete fino alla noia di essersela invece meritata, la sua fortuna. E che «dietro Ricucci c’è solo Ricucci, che ha fatto strada lavorando duramente e grazie a tanti amici che hanno creduto in lui. Punto».
Siccome poi nei salotti buoni non lo invitano, è entrato di forza in uno dei migliori, quello di Rcs, buttando sul piatto una cifra valutata tra i 450 e i 700 milioni di euro.
E subito tutti a interrogarsi: perché vuole il Corriere della sera?
chi c’è dietro? di chi sta facendo il cavallo di Tro.ia?
Ma comunque, dato che i protagonisti di questa storia non aiutano a capire molto di più, non resta che raccogliere indizi, seguire piste. A cominciare dal volo del calabrone.
Il patto del calabrone.
Il patto di sindacato che scade nel 2007 e controlla il 58 per cento di Rcs è un calabrone: non si sa come riesca a volare, eppure vola.
Tiene insieme, infatti, 15 soggetti che hanno scarse motivazioni a stare insieme.
Banchieri e imprenditori di quella che una volta era l’ala nobile del capitalismo italiano (Mediobanca, Generali, Fiat, Pirelli, Pesenti, Gemina, Edison, Mittel, Merloni, Intesa, Capitalia...), più un paio di nuovi arrivati accettati non senza fatica (Diego Della Valle e Salvatore Ligresti).
È questo calabrone che gestisce il Corriere, magari anche stando a guardare attonito chi
– come Francesco Gaetano Caltagirone, palazzinaro romano di più antica tradizione – stava fuori dal patto, ma tenendosi stretto un bel 2 per cento di azioni Rcs che avrebbe voluto far contare di più.
Con questo calabrone che ronza ma non disturba, il Corriere negli ultimi anni è andato per la sua strada, cambiando più volte direttore ma dimostrando nella sostanza di essere difficilmente condizionabile dai poteri. Per quanto tempo ancora, però, riuscirà a volare il calabrone?
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SINIBALDO
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