A Grillo piace il comunismo (1 Viewer)

alingtonsky

Forumer storico
L' economista Pascal Salin ha scritto un libro interessante "Ritornare al capitalismo per evitare le crisi".

Il libro è stato scritto quando la crisi scoppiata negli anni 2008-2009 era ancora in corso, ma prima del crollo della Grecia e del boom del differenziale tra i titoli italiani e quelli tedeschi.

Scopo del libro è dimostrare che la vera storia della crisi non è quella di un sistema dominato da capitalisti senza morale il cui unico scopo è il guadagno (p. 34). Il crollo della fiducia negli Stati è dipeso dalle scelte di politica economica dei decisori pubblici, che si sono rivelate totalmente inadeguate. I media hanno addossato le colpe alla finanza perché è stato quello che voleva sentirsi dire la gente. Ma l'opinione pubblica ha una concezione sbagliata del capitalismo (se ne sottovaluta la capacità di accrescere la ricchezza per tutti) e del libero mercato (si sottovaluta la sua potenzialità). D'altra parte, la gente sopravvaluta enormemente la capacità riequilibratrice dello stato. L'opinione pubblica è stata vittima di un pregiudizio: l'idea che lo Stato rappresenti un'istituzione di ultima istanza contro i rischi economici.

Ripercorrendo le vicende degli anni ottanta-novanta, l'Autore si concentra sulle decisioni prese in quel periodo da organismi statali, in primis il Congresso e la Banca centrale statunitensi, ispirate a concezioni keynesiane di politica monetaria. L'espansione del credito garantita dallo stato che tali scelte hanno generato (ispirate all'insegnamento di J. Keynes), ha portato gli investitori privati ad aumentare a dismisura il margine di rischio. Si è arrivati così alla bolla del 2008.

Conclusione: sono state le autorità pubbliche a creare le condizioni per le quali si è prodotta l'enorme bolla speculativa che ha portato al disastro.

Per facilitare la comprensione della crisi degli anni 2008-2009, l'Autore illustra le differenze tra due diversi modelli economici: uno ("moderno") è quello attualmente esistente nei Paesi occidentali, l'altro invece ("di riferimento") è ispirato alla Scuola austriaca. I due modelli si presentano come segue (p. 75):

...

Conclusione: il sistema economico (e istituzionale) attuale permette il verificarsi delle crisi finanziarie perché si è allontanato dai principii fondamentali del capitalismo. Tutti gli economisti hanno provato a spiegare la crisi. L'unica teoria emersa è che, per sollevare le economie colpite così duramente dalla crisi, sia necessario "più stato" (ovvero più regolamentazione, ovvero più coercizione legale). I piani di salvataggio puntano a "riformare il capitalismo". L'Autore nota come sia l'esatto contrario di quello che serve. Salin ribalta il rapporto tra equilibrio dei mercati e crisi: "La crisi svolge il ruolo necessario di ripristinare gli equilibri ritornando a strutture produttive che sarebbero prevalse in assenza dell'instabilità di origine monetaria".

Dopo aver ribaltato il rapporto tra equilibrio dei mercati e crisi (la crisi qui assolve a una funzione positiva), l'Autore soggiunge: "La crisi non è una disfunzione del sistema economico che bisognerebbe correggere. È, al contrario, il modo per verificare gli errori del passato" (p. 148). Ora è possibile fare la seguente considerazione: si attribuisce al "mercato" la colpa della crisi, quando invece è emerso come essa sia stata provocata da politiche sbagliate. Non basta: si cercano soluzioni stataliste alla crisi, quando invece sarebbe questo il momento di affidarsi al libero mercato! Questo è il motivo per cui il libro è stato scritto.

Pascal Salin: RITORNARE AL CAPITALISMO PER EVITARE LE CRISI

...

«Non è così. I media francesi hanno cominciato a capirlo. Il capitalismo è un sistema che si basa sui diritti di proprietà legittima e incentiva la responsabilità di ognuno. È un sistema morale. Favorisce anche l’avidità, è vero, ma questo non è negativo nella misura in cui vengono rispettati i diritti altrui».

Torniamo - o scendiamo - alla recente catastrofe economica.

«È nata e permane nel punto esatto di congiunzione tra politica monetaria e politica fiscale. Gli attuali sistemi fiscali frenano l’accumulazione di capitale. Bisognerebbe invece detassare i risparmi e le plusvalenze. Se guadagni cento e di tasse ne paghi cinquanta, per i restanti cinquanta hai due strade: o li risparmi o li consumi. Si è fatto di tutto per indurre la gente a consumare, vale a dire a disintegrare i propri soldi. Per questo il risparmio diminuisce, specie negli Usa, dove credono di poterlo sostituire stampando moneta. Pratica immorale, perché provoca l’illusione di qualcosa che non esiste».

Potremmo chiamarla politica espansionista...

«Sì, ed è quella che vede le persone contrarre prestiti per qualunque cosa, compresi i progetti non remunerativi. È prassi capitalista, questa? E lo Stato aggrava tale situazione. Come è accaduto coi mutui subprime: il governo americano ha obbligato le banche a prestare denaro a chi non poteva restituirlo e a tassi irrisori che poi si sono alzati. L’ha fatto per pura demagogia. Traduco: il vero capitalismo è stato rimpiazzato da interventi statali di carattere monetario che non hanno favorito la formazione di capitale».

Come invece ai tempi di Balzac.

«Appunto. Nel XVIII e XIX secolo le banche erano piccole e tutte possedute da veri capitalisti che non avevano proprio voglia di fallire e mantenevano perciò elevati i tassi di interesse. Oggi le banche cercano di fondersi e concentrarsi sempre di più, secondo il principio too big to fail, troppo grande per fallire. In una banca di queste dimensioni non decide nessuno, se non i manager, che non hanno a cuore né la banca né il capitale, ma il loro stipendio».

...

«Quando nel mio libro parlo di “eurosclerosi” mi riferisco ai Paesi ex comunisti, ma è vero che anche per gli altri sta prendendo piede un eccesso sconsiderato di regolamentazione e centralizzazione. Più uno Stato è grande, più è difficile sfuggirgli. Dovremmo invece favorire un sistema economico per ciascuno Stato, lasciarli poi competere e vedere qual è il migliore. Con un’economia centralizzata la competizione si azzera, come tra gli individui. ...

L’INTERVISTA 4 PASCAL SALIN - IlGiornale.it

Il problema non è rappresentato dal capitalismo, ma dall' eccessivo interventismo statale che distorce il mercato e favorisce l' azzardo morale, e da politiche fiscali che scoraggiano l' accumulazione di risparmi e capitali e invece favoriscono i consumi basati sui debiti.
 
Ultima modifica:

gipa69

collegio dei patafisici
La teoria marxista non era applicabile in altro modo da come è stata storicamente applicata dai vari partiti marxisti e infatti dopo la fase violenta di massacri di borghesi e oppositori, e dopo la fase di statalizzazione dei mezzi di produzione non c' è stata l' evoluzione verso una idilliaca società senza classi e senza contrasti, semplicemente perché non può esistere.

E la dittatura del proletariato non è realizzabile in altro modo da come hanno cercato di realizzarla i vari Lenin, Stalin, Mao, Pol Pot, che avevano studiato le opere di Marx.
I leader marxisti hanno cercato di sostituire al capitalismo ed all' economia di mercato un altro sistema ma cercando anche di evitare il caos.
Cosa altro avrebbero potuto fare per attuare la dittatura del proletariato, che peraltro in senso stretto è un' idea assurda se si pensa che debbano comandare i proletari, i più poveri e ignoranti, che nelle società sviluppate sono una minoranza, mentre la maggioranza ha qualche proprietà e vive ben sopra il livello di sussistenza?

Lo stesso Marx rimaneva sul vago su ciò che avrebbe dovuto seguire alla dittatura del proletariato e pensava ad una dissoluzione dello stato.
Ma come giustamente pensava Kelsen è irrealistico che si possa fare a meno dello stato.
Senza una qualche forma di stato imperverserebbero bande armate formate da individui che razzierebbero cio' che appartiene ad altri e ciò che viene prodotto da chi investe e lavora.

Evidentemente sei un irriducibile marxista che non ha imparato niente dalla storia.

Il sistema migliore possibile è quello basato sulla concorrenza, sull' iniziativa privata in economia, sull' accumulazione del capitale tra i privati, e sulla concorrenza tra partiti alternativi a livello politico per l' amministrazione dello stato, possibilmente uno stato liberale che si occupi soprattutto di salvaguardare proprietà privata e concorrenza con regole antitrust.

Non hai letto ne Marx ne Lenin e per esempio il collasso della Comune di Parigi è avvenuto per l'evidente boicottaggio del regime in cui si era sviluppata ma non era certo violenta (o quantomeno non più violenta della sociatà che la circondava) per cui la tua teoria non è confermata da dati reali.

Come detto gli unici reali leader che si sono ispirati al marxismo sono lo stesso Marx e Lenin.. tutti gli altri hanno solo utilizzato le masse per rivoltare i regimi ed acquisire potere personale e controllo nazionale delle risorse e dei mezzi di produzione... altro che comunismo.

Poi che il comunismo sia una società non statica ma in movimento che deve segnare il progresso dell'umanità è evidente; chi pensa che il modello attuale sia l'unico ripetibile forse non si rende conto del fatto che dopo l'ancien regime c'è stata la rivoluzione francese e dopo l'epoca dei mercanti c'è stata la rivoluzione industriale che ha cambiato i rapporti umani migliorando le condizioni dell'umanità (cosa che qualunque comunista con il senno ammette).

Perché non si pensa replicabile un fenomeno del genere? perché si perde la memoria nelle generazioni e perché le classi dominanti preferiscono il perpetursi di un sistema a loro favorevole.

Se poi parlamo del migliore sistema possibile allora possiamo parlare delle democrazia made in USA:

The Anti-Empire Report #128 ? May 9th, 2014 ? William Blum

" since 1945, the US has tried to overthrow more than 50 governments, many of them democratically elected; grossly interfered in elections in 30 countries; bombed the civilian populations of 30 countries; used chemical and biological weapons; and attempted to assassinate foreign leaders."





Everything the Communists said about Communism was a lie, but everything they said about capitalism turned out to be the truth
 

gipa69

collegio dei patafisici
L' economista Pascal Salin ha scritto un libro interessante "Ritornare al capitalismo per evitare le crisi".

Il libro è stato scritto quando la crisi scoppiata negli anni 2008-2009 era ancora in corso, ma prima del crollo della Grecia e del boom del differenziale tra i titoli italiani e quelli tedeschi.

Scopo del libro è dimostrare che la vera storia della crisi non è quella di un sistema dominato da capitalisti senza morale il cui unico scopo è il guadagno (p. 34). Il crollo della fiducia negli Stati è dipeso dalle scelte di politica economica dei decisori pubblici, che si sono rivelate totalmente inadeguate. I media hanno addossato le colpe alla finanza perché è stato quello che voleva sentirsi dire la gente. Ma l'opinione pubblica ha una concezione sbagliata del capitalismo (se ne sottovaluta la capacità di accrescere la ricchezza per tutti) e del libero mercato (si sottovaluta la sua potenzialità). D'altra parte, la gente sopravvaluta enormemente la capacità riequilibratrice dello stato. L'opinione pubblica è stata vittima di un pregiudizio: l'idea che lo Stato rappresenti un'istituzione di ultima istanza contro i rischi economici.

Ripercorrendo le vicende degli anni ottanta-novanta, l'Autore si concentra sulle decisioni prese in quel periodo da organismi statali, in primis il Congresso e la Banca centrale statunitensi, ispirate a concezioni keynesiane di politica monetaria. L'espansione del credito garantita dallo stato che tali scelte hanno generato (ispirate all'insegnamento di J. Keynes), ha portato gli investitori privati ad aumentare a dismisura il margine di rischio. Si è arrivati così alla bolla del 2008.

Conclusione: sono state le autorità pubbliche a creare le condizioni per le quali si è prodotta l'enorme bolla speculativa che ha portato al disastro.

Per facilitare la comprensione della crisi degli anni 2008-2009, l'Autore illustra le differenze tra due diversi modelli economici: uno ("moderno") è quello attualmente esistente nei Paesi occidentali, l'altro invece ("di riferimento") è ispirato alla Scuola austriaca. I due modelli si presentano come segue (p. 75):

...

Conclusione: il sistema economico (e istituzionale) attuale permette il verificarsi delle crisi finanziarie perché si è allontanato dai principii fondamentali del capitalismo. Tutti gli economisti hanno provato a spiegare la crisi. L'unica teoria emersa è che, per sollevare le economie colpite così duramente dalla crisi, sia necessario "più stato" (ovvero più regolamentazione, ovvero più coercizione legale). I piani di salvataggio puntano a "riformare il capitalismo". L'Autore nota come sia l'esatto contrario di quello che serve. Salin ribalta il rapporto tra equilibrio dei mercati e crisi: "La crisi svolge il ruolo necessario di ripristinare gli equilibri ritornando a strutture produttive che sarebbero prevalse in assenza dell'instabilità di origine monetaria".

Dopo aver ribaltato il rapporto tra equilibrio dei mercati e crisi (la crisi qui assolve a una funzione positiva), l'Autore soggiunge: "La crisi non è una disfunzione del sistema economico che bisognerebbe correggere. È, al contrario, il modo per verificare gli errori del passato" (p. 148). Ora è possibile fare la seguente considerazione: si attribuisce al "mercato" la colpa della crisi, quando invece è emerso come essa sia stata provocata da politiche sbagliate. Non basta: si cercano soluzioni stataliste alla crisi, quando invece sarebbe questo il momento di affidarsi al libero mercato! Questo è il motivo per cui il libro è stato scritto.

Pascal Salin: RITORNARE AL CAPITALISMO PER EVITARE LE CRISI

...

«Non è così. I media francesi hanno cominciato a capirlo. Il capitalismo è un sistema che si basa sui diritti di proprietà legittima e incentiva la responsabilità di ognuno. È un sistema morale. Favorisce anche l’avidità, è vero, ma questo non è negativo nella misura in cui vengono rispettati i diritti altrui».

Torniamo - o scendiamo - alla recente catastrofe economica.

«È nata e permane nel punto esatto di congiunzione tra politica monetaria e politica fiscale. Gli attuali sistemi fiscali frenano l’accumulazione di capitale. Bisognerebbe invece detassare i risparmi e le plusvalenze. Se guadagni cento e di tasse ne paghi cinquanta, per i restanti cinquanta hai due strade: o li risparmi o li consumi. Si è fatto di tutto per indurre la gente a consumare, vale a dire a disintegrare i propri soldi. Per questo il risparmio diminuisce, specie negli Usa, dove credono di poterlo sostituire stampando moneta. Pratica immorale, perché provoca l’illusione di qualcosa che non esiste».

Potremmo chiamarla politica espansionista...

«Sì, ed è quella che vede le persone contrarre prestiti per qualunque cosa, compresi i progetti non remunerativi. È prassi capitalista, questa? E lo Stato aggrava tale situazione. Come è accaduto coi mutui subprime: il governo americano ha obbligato le banche a prestare denaro a chi non poteva restituirlo e a tassi irrisori che poi si sono alzati. L’ha fatto per pura demagogia. Traduco: il vero capitalismo è stato rimpiazzato da interventi statali di carattere monetario che non hanno favorito la formazione di capitale».

Come invece ai tempi di Balzac.

«Appunto. Nel XVIII e XIX secolo le banche erano piccole e tutte possedute da veri capitalisti che non avevano proprio voglia di fallire e mantenevano perciò elevati i tassi di interesse. Oggi le banche cercano di fondersi e concentrarsi sempre di più, secondo il principio too big to fail, troppo grande per fallire. In una banca di queste dimensioni non decide nessuno, se non i manager, che non hanno a cuore né la banca né il capitale, ma il loro stipendio».

...

«Quando nel mio libro parlo di “eurosclerosi” mi riferisco ai Paesi ex comunisti, ma è vero che anche per gli altri sta prendendo piede un eccesso sconsiderato di regolamentazione e centralizzazione. Più uno Stato è grande, più è difficile sfuggirgli. Dovremmo invece favorire un sistema economico per ciascuno Stato, lasciarli poi competere e vedere qual è il migliore. Con un’economia centralizzata la competizione si azzera, come tra gli individui. ...

L’INTERVISTA 4 PASCAL SALIN - IlGiornale.it

Il problema non è rappresentato dal capitalismo, ma dall' eccessivo interventismo statale che distorce il mercato e favorisce l' azzardo morale, e da politiche fiscali che scoraggiano l' accumulazione di risparmi e capitali e invece favoriscono i consumi basati sui debiti.

Basta leggere il terzo libro del capitale e il 2008 lo si capisce benissimo, poi se proprio uno vuole si legge il passaggio dal capitalismo all'imperialismo di Lenin e la cosa diventa ancora più chiara.

Infine si legge qualche marxista più recente e si capisce anche il passaggio dalla fase imperialista a quella dell'imperialismo unitario...

Ora ci avviciniamo alla fase della contesa globale e quindi okkio al capitalismo pacifista... :-o
 

alingtonsky

Forumer storico
Lenin maestro di Stalin nella pratica del terrore

Non hai letto ne Marx ne Lenin e per esempio il collasso della Comune di Parigi è avvenuto per l'evidente boicottaggio del regime in cui si era sviluppata ma non era certo violenta (o quantomeno non più violenta della sociatà che la circondava) per cui la tua teoria non è confermata da dati reali.

Come detto gli unici reali leader che si sono ispirati al marxismo sono lo stesso Marx e Lenin.. tutti gli altri hanno solo utilizzato le masse per rivoltare i regimi ed acquisire potere personale e controllo nazionale delle risorse e dei mezzi di produzione... altro che comunismo.

Poi che il comunismo sia una società non statica ma in movimento che deve segnare il progresso dell'umanità è evidente; chi pensa che il modello attuale sia l'unico ripetibile forse non si rende conto del fatto che dopo l'ancien regime c'è stata la rivoluzione francese e dopo l'epoca dei mercanti c'è stata la rivoluzione industriale che ha cambiato i rapporti umani migliorando le condizioni dell'umanità (cosa che qualunque comunista con il senno ammette).

Perché non si pensa replicabile un fenomeno del genere? perché si perde la memoria nelle generazioni e perché le classi dominanti preferiscono il perpetursi di un sistema a loro favorevole.

...

Se ammetti che almeno Lenin si era ispirato al marxismo ...

Già Lenin aveva instaurato una dittatura ed aveva ordinato crimini contro l' umanità oltre ad aver fatto disastri nel gestire l' economia della nascente URSS.

Lenin
...
Convocato nel 1907 davanti al Consiglio del partito per l'asprezza delle critiche ai menscevichi, ammette di avere perseguito consapevolmente una tattica indirizzata a diffamare l'avversario politico e a creare odio nei suoi confronti: egli pensa che il rivoluzionario non debba essere trattenuto da alcuno scrupolo morale. Lezioni della Comune (1908): la rivoluzione proletaria della Comune è fallita per l'eccessiva generosità del proletariato; "avrebbe dovuto sterminare i suoi nemici", invece che "esercitare un'influenza morale su di loro". In Stato e rivoluzione (1917) sviluppa le idee di Marx ed Engels sulla Comune, insistendo sul fatto che la dittatura del proletariato è incompatibile col parlamentarismo e che il proletariato rivoluzionario deve "spezzare" la macchina dello stato borghese. In I bolscevichi conserveranno il potere? (1917): "La rivoluzione è la lotta di classe e la guerra civile più acuta, più selvaggia e più esasperata", richiede un "uso implacabilmente duro, rapido e deciso della violenza". L'anno dopo, già al potere, ne La dittatura del proletariato e il rinnegato Kautsky (1918) attacca duramente il leader socialista tedesco, che difende il metodo democratico e critica l'autoritarismo dei bolscevichi. Nel luglio 1918 attacca decisamente Zinovev che ha trattenuto i bolscevichi di Pietrogrado dallo scatenare il "terrore di massa": "Bisogna stimolare forme energiche e massicce del terrore contro i controrivoluzionari". Ma lo stesso Zinovev in una assemblea di partito a Pietrogrado il 17 settembre 1918: "Dobbiamo conquistare per noi novanta dei cento milioni di abitanti della Russia che vivono sotto i soviet. Al resto non abbiamo nulla da dire: devono essere sterminati". Il discorso viene accolto da scroscianti applausi. E' stato pubblicato recentemente un documento del 1918 nel quale Lenin scrive di suo pugno che le rivolte contadine "devono essere represse senza pietà". Ordina ai comunisti di un villaggio: "impiccate senza esitare, così la gente vedrà, almeno cento noti kulaki, ricchi, sanguisughe". Nel 1919: "Noi non riconosciamo né libertà né uguaglianza né democrazia del lavoro, se queste cose si oppongono agli interessi dell'emancipazione del lavoro dall'oppressione del capitale". Immemore del proclamato diritto dei popoli all'autodeterminazione, nell'estate del 1920, ordina ai comandanti dell'Armata rossa: "noi dobbiamo prima sovietizzare la Lituania e renderla dopo ai lituani". In L'estremismo, malattia infantile del comunismo (1920): "Bisogna affrontare tutti i sacrifici e - in caso di necessità - ricorrere a tutte le astuzie, a tutte le furberie, ai metodi illegali, alle reticenze, all'occultamento della verità, pur di introdursi nei sindacati, pur di rimanere in essi, pur di svolgervi a qualsiasi costo un lavoro comunista". Teorizza la "violenza sistematica contro la borghesia e i suoi complici", parla di "ripulire il suolo della Russia di qualsiasi insetto nocivo; delle pulci: i furfanti; delle cimici: i ricchi, etc.". Parla di "lotta finale", di "guerra implacabile", di "annientamento implacabile" e di "sterminio sanguinoso dei ricchi". Definisce i borghesi "parassiti" e "vampiri". Nel 1922, al momento di lanciare la prima grande offensiva contro la Chiesa ortodossa: "E' precisamente ora e solo ora, quando nelle regioni affamate la gente mangia carne umana, e centinaia se non migliaia di cadaveri riempiono le strade, che noi possiamo (e perciò dobbiamo) effettuare la confisca dei beni ecclesiastici con la più feroce e spietata energia, senza fermarci prima di avere schiacciato ogni resistenza"; "applicate ai preti la più estrema forma di punizione".
Angelica Balabanoff, dirigente dell'Internazionale comunista, ricorda il cinismo con cui Lenin consigliava di diffamare i riformisti e i comunisti non fedeli alla Russia bolscevica, per distruggerne la reputazione presso gli operai, o di corrompere con denaro gli avversari del comunismo. Nel 1924 lo scrittore socialista Maksim Gorkij ritrae il Lenin da lui incontrato come una persona per cui gli esseri umani non hanno "quasi alcun interesse" e la classe operaia è solo "materia prima" per l'azione politica. La sua doppiezza è sistematica e teorizzata. Nel 1905 è scettico sui soviet, in quanto organizzazioni non di partito; nel 1917 teorizza il potere assoluto dei soviet; dalla presa del potere in poi svuota i soviet di qualsiasi significato politico. Fino al 1905, da marxista ortodosso, sostiene che i contadini sono piccolo-borghesi e quindi nemici della lotta socialista proletaria; dopo il 1905 adotta, contro i menscevichi, l'idea che i contadini siano alleati della lotta socialista proletaria; tra il 1917 e l'inizio del 1918, per ingraziarsi i contadini, accetta la parola d'ordine della spartizione delle grandi proprietà, fino ad allora sostenuta dai socialisti rivoluzionari e rifiutata dai bolscevichi come reazionaria; nel 1918 la sconfessa a favore di una accelerata collettivizzazione delle terre. Sostiene il diritto di secessione delle nazionalità, ma sotto il vincolo della priorità degli interessi del proletariato. La libertà non ha per lui alcun interesse: si interessa agli esperimenti di Pavlov, ed esprime rammarico che il condizionamento non sia applicabile su scala di massa, rendendo inutile la polizia. Scrive a Stalin nel 1922 "noi purificheremo la Russia per molto tempo"; e, sempre nel 1922, a Kurskij, a proposito della sostituzione della Cheka con la Gpu e i metodi legali: "Il tribunale non deve eliminare il terrore; prometterlo significherebbe ingannare se stessi o ingannare gli altri; bisogna giustificarlo e legittimarlo sul piano dei principi, chiaramente, senza falsità e senza abbellimenti. La formulazione deve essere quanto più larga possibile, poiché soltanto la giustizia rivoluzionaria e la coscienza rivoluzionaria decideranno delle condizioni di applicazione più o meno lunga".

Crimini del comunismo, le radici ideologiche: Marx e Lenin teorici del terrore a cura del prof. Messeri Liceo Scientifico Statale Niccolò Copernico di Prato

Un "tribunale" di storici francesi giudica i crimini del comunismo "Il genocidio per fame? Inventato da Lenin"
...

I l vero ispiratore di crimini, massacri e genocidi del comunismo e' Lenin. Un po' come se fosse all'origine di ogni male compiuto da gregari e successori. "Il suo crimine peggiore - dice lo storico Stephane Courtois - e' la carestia del 1922, dove ha deliberatamente lasciato morire di fame milioni di persone. Lenin ha donato al comunismo l'arma della fame. Il suo uso e' una connotazione dell'ideologia. Tutti i regimi rossi l'hanno adottata: in Cina con 33 milioni di morti, in Corea del Nord, in Cambogia, nel Mozambico, in Etiopia. Un'arma spaventosa: la carestia provocata".
...

http://archiviostorico.corriere.it/...me_Inventato_Lenin_co_0_9711069008.shtmlshtml


Le stragi cominciarono subito dopo la presa del potere Contro i contadini Lo storico Andrea Graziosi: nelle campagne vi fu il ricorso sistematico alla presa di ostaggi, inclusi donne e bambini, e alla loro esecuzioneMolto spesso la Russia zarista viene descritta dagli studiosi come il «regno delle tenebre» ma era molto meno dispotica rispetto al regime sovietico

Q uasi novanta anni. Tanto c' è voluto perché fosse pubblicato in Italia (in autunno, da Jaca Book) il fondamentale libro di Sergej Petrovic Mel' gunov Il terrore rosso in Russia 1918-1923. Mel' gunov - scrive Sergio Rapetti in un bel ritratto a lui dedicato che compare nelle prime pagine del libro - discendente di un alto dignitario e governatore ai tempi del regno di Caterina II, collaboratore di Tolstoj (e successivamente curatore della sua opera), socialista, responsabile degli Archivi dopo la rivoluzione di febbraio del 1917, perseguitato dalla Ceka tra il 1918 e il 1922, emigrò a Praga, Berlino (dove nel ' 23 diede alle stampe la prima edizione di questo volume) e poi a Parigi, dove si stabilì definitivamente. Fu un convinto e attivo anticomunista; ma durante la Seconda guerra mondiale, a differenza di moltissimi francesi, rifiutò di collaborare con i tedeschi. Morì nel maggio del 1956, avendo avuto la fortuna di conoscere, pochi mesi prima del decesso, il rapporto sui crimini di Stalin che Nikita Krusciov aveva presentato al XX Congresso del Pcus. Il terrore rosso è stato pubblicato, come si è detto, in Germania, ma anche in Francia, Inghilterra, Spagna, Stati Uniti e un po' ovunque. Ma non in Italia, nonostante sia da tempo considerato un classico da cui non può prescindere chiunque si occupi dell' argomento. Il libro è stato scritto alla vigilia della morte di Lenin e spiega, a ridosso degli eventi, come tutte le degenerazioni del sistema sovietico siano riconducibili, appunto, a Lenin. «Gli esponenti bolscevichi», osservava già allora, all' inizio degli anni Venti, Mel' gunov, «sono soliti presentare il terrore come conseguenza della collera delle masse popolari: i bolscevichi sarebbero stati costretti a ricorrere al terrore per le pressioni della classe operaia... il terrore istituzionalizzato si sarebbe limitato a ricondurre a determinate forme giuridiche l' inevitabile ricorso alla giustizia sommaria invocata dal popolo». Niente di più falso: «È difficile immaginarsi un punto di vista più farisaico di questo», proseguiva Mel' gunov, «e si può agevolmente dimostrare, fatti alla mano, quanto tali affermazioni siano lontane dalla realtà». Ed è quel che lui fa, anticipando di decenni il giudizio sull' inscindibile rapporto tra Lenin e Stalin che poi sarà nella Storia dell' Urss (Rizzoli) di Michail Geller e Aleksandr Nekric, nei Tre perché della rivoluzione russa (Rubbettino) di Richard Pipes, ne La coscienza della rivoluzione (Sansoni) di R.V. Daniels. Se ancora oggi qui in Italia, quantomeno nella pubblicistica, è uso comune scaricare su Stalin e solo su Stalin gli orrori della Russia post rivoluzionaria, ciò è frutto anche della mancata pubblicazione di libri come questo. Nell' interessante saggio introduttivo al libro di Mel' gunov, Paolo Sensini accusa senza mezzi termini «la vulgata storiografica compiacente, fraudolenta omertosa e quasi sempre mistificante» che per anni e anni ha impedito di far luce su questi aspetti. Se la prende, Sensini, con la «favola tenacemente radicata in Occidente» secondo la quale - per dar luce alla stagione successiva «splendente» sotto la stella di Lenin - l' epoca zarista viene dipinta come «avvolta dalle tenebre». Menzogna, sostiene Sensini: nella Russia prerivoluzionaria la «società civile esisteva e stava strutturandosi anche grazie a una libertà di stampa che si estendeva ogni giorno di più». A partire dal 1912, Lenin poté far uscire per anni, legalmente e senza che nessuno ne minacciasse la chiusura, il suo giornale «Pravda», sul quale tra il maggio del ' 12 e il luglio del ' 14 apparvero ben trecento suoi articoli. Il numero delle famiglie contadine titolari di proprietà passò da due milioni e ottocentomila (pari al 33 per cento dei dodici milioni di famiglie) nel 1905 a sette milioni e trecentomila nel 1915 (pari al 56 per cento delle famiglie che nel frattempo erano cresciute a tredici milioni) con un aumento percentuale del 260 per cento in appena dieci anni. Fu lo stesso Lenin che, dopo la rivoluzione d' Ottobre, trasformò quel mondo in un incubo; Stalin fece il resto. Nel saggio introduttivo al libro da lui stesso curato, L' età del comunismo sovietico (anch' esso pubblicato da Jaca Book), Pier Paolo Poggio si sofferma sulla circostanza che «le interpretazioni sulla rivoluzione e l' Urss debbono fare i conti con una formidabile costruzione mitologica, senza pari nel corso del Novecento, affermatasi in Occidente e nel mondo, in singolare contrasto con la realtà». L' azione di Lenin e quella di Stalin vengono viste, e giustificate, quali «vettori della modernizzazione e industrializzazione, sia pure a costi spaventosamente alti». Un giudizio che secondo Poggio è da tempo «improponibile» e definitivamente «smentito dall' abbondante storiografia ormai a disposizione». Ma che resiste, osserva ancora Poggio, in virtù della «forza mitopoietica della rivoluzione russa a fronte delle continue smentite che essa ricevette da subito e poi nel corso di tutta la storia dell' Urss». È venuto invece il momento di chiamare le cose con il loro nome: dispotismo, tirannia, sterminio, genocidio, crimini contro l' umanità. Fin dai primi passi della rivoluzione. Se oggi questi termini possono essere usati anche in Italia, lo si deve in particolare agli approfonditi studi di Andrea Graziosi, il quale, nel fondamentale L' Urss di Lenin e Stalin (Il Mulino), così come nel saggio Stalin e il comunismo comparso nel libro I volti del potere (Laterza), ha messo in evidenza l' assoluta continuità tra i due «tiranni» che guidarono l' Unione Sovietica tra il 1917 e il 1953. «Stalin apprese da Lenin la gestione spietata del potere, l' uso elastico dei precetti ideologici a seconda delle circostanze», ha scritto. Leninismo e stalinismo possono essere definiti «tirannie»? Sì, risponde Graziosi: ancorché diverse («perché diversi furono i problemi che Lenin e Stalin furono chiamati ad affrontare e diversa era la personalità e la cultura del tiranno»), le si può definire in tutto e per tutto tirannie. Il culto della violenza fu tale fin dall' inizio. Già nel 1906 Lenin scriveva che per la presa del potere si doveva procedere a una guerra rivoluzionaria «disperata, sanguinosa, di sterminio».
...

Lenin maestro di Stalin nella pratica del terrore
 

gipa69

collegio dei patafisici
Se ammetti che almeno Lenin si era ispirato al marxismo ...

Già Lenin aveva instaurato una dittatura ed aveva ordinato crimini contro l' umanità oltre ad aver fatto disastri nel gestire l' economia della nascente URSS.

Lenin
...
Convocato nel 1907 davanti al Consiglio del partito per l'asprezza delle critiche ai menscevichi, ammette di avere perseguito consapevolmente una tattica indirizzata a diffamare l'avversario politico e a creare odio nei suoi confronti: egli pensa che il rivoluzionario non debba essere trattenuto da alcuno scrupolo morale. Lezioni della Comune (1908): la rivoluzione proletaria della Comune è fallita per l'eccessiva generosità del proletariato; "avrebbe dovuto sterminare i suoi nemici", invece che "esercitare un'influenza morale su di loro". In Stato e rivoluzione (1917) sviluppa le idee di Marx ed Engels sulla Comune, insistendo sul fatto che la dittatura del proletariato è incompatibile col parlamentarismo e che il proletariato rivoluzionario deve "spezzare" la macchina dello stato borghese. In I bolscevichi conserveranno il potere? (1917): "La rivoluzione è la lotta di classe e la guerra civile più acuta, più selvaggia e più esasperata", richiede un "uso implacabilmente duro, rapido e deciso della violenza". L'anno dopo, già al potere, ne La dittatura del proletariato e il rinnegato Kautsky (1918) attacca duramente il leader socialista tedesco, che difende il metodo democratico e critica l'autoritarismo dei bolscevichi. Nel luglio 1918 attacca decisamente Zinovev che ha trattenuto i bolscevichi di Pietrogrado dallo scatenare il "terrore di massa": "Bisogna stimolare forme energiche e massicce del terrore contro i controrivoluzionari". Ma lo stesso Zinovev in una assemblea di partito a Pietrogrado il 17 settembre 1918: "Dobbiamo conquistare per noi novanta dei cento milioni di abitanti della Russia che vivono sotto i soviet. Al resto non abbiamo nulla da dire: devono essere sterminati". Il discorso viene accolto da scroscianti applausi. E' stato pubblicato recentemente un documento del 1918 nel quale Lenin scrive di suo pugno che le rivolte contadine "devono essere represse senza pietà". Ordina ai comunisti di un villaggio: "impiccate senza esitare, così la gente vedrà, almeno cento noti kulaki, ricchi, sanguisughe". Nel 1919: "Noi non riconosciamo né libertà né uguaglianza né democrazia del lavoro, se queste cose si oppongono agli interessi dell'emancipazione del lavoro dall'oppressione del capitale". Immemore del proclamato diritto dei popoli all'autodeterminazione, nell'estate del 1920, ordina ai comandanti dell'Armata rossa: "noi dobbiamo prima sovietizzare la Lituania e renderla dopo ai lituani". In L'estremismo, malattia infantile del comunismo (1920): "Bisogna affrontare tutti i sacrifici e - in caso di necessità - ricorrere a tutte le astuzie, a tutte le furberie, ai metodi illegali, alle reticenze, all'occultamento della verità, pur di introdursi nei sindacati, pur di rimanere in essi, pur di svolgervi a qualsiasi costo un lavoro comunista". Teorizza la "violenza sistematica contro la borghesia e i suoi complici", parla di "ripulire il suolo della Russia di qualsiasi insetto nocivo; delle pulci: i furfanti; delle cimici: i ricchi, etc.". Parla di "lotta finale", di "guerra implacabile", di "annientamento implacabile" e di "sterminio sanguinoso dei ricchi". Definisce i borghesi "parassiti" e "vampiri". Nel 1922, al momento di lanciare la prima grande offensiva contro la Chiesa ortodossa: "E' precisamente ora e solo ora, quando nelle regioni affamate la gente mangia carne umana, e centinaia se non migliaia di cadaveri riempiono le strade, che noi possiamo (e perciò dobbiamo) effettuare la confisca dei beni ecclesiastici con la più feroce e spietata energia, senza fermarci prima di avere schiacciato ogni resistenza"; "applicate ai preti la più estrema forma di punizione".
Angelica Balabanoff, dirigente dell'Internazionale comunista, ricorda il cinismo con cui Lenin consigliava di diffamare i riformisti e i comunisti non fedeli alla Russia bolscevica, per distruggerne la reputazione presso gli operai, o di corrompere con denaro gli avversari del comunismo. Nel 1924 lo scrittore socialista Maksim Gorkij ritrae il Lenin da lui incontrato come una persona per cui gli esseri umani non hanno "quasi alcun interesse" e la classe operaia è solo "materia prima" per l'azione politica. La sua doppiezza è sistematica e teorizzata. Nel 1905 è scettico sui soviet, in quanto organizzazioni non di partito; nel 1917 teorizza il potere assoluto dei soviet; dalla presa del potere in poi svuota i soviet di qualsiasi significato politico. Fino al 1905, da marxista ortodosso, sostiene che i contadini sono piccolo-borghesi e quindi nemici della lotta socialista proletaria; dopo il 1905 adotta, contro i menscevichi, l'idea che i contadini siano alleati della lotta socialista proletaria; tra il 1917 e l'inizio del 1918, per ingraziarsi i contadini, accetta la parola d'ordine della spartizione delle grandi proprietà, fino ad allora sostenuta dai socialisti rivoluzionari e rifiutata dai bolscevichi come reazionaria; nel 1918 la sconfessa a favore di una accelerata collettivizzazione delle terre. Sostiene il diritto di secessione delle nazionalità, ma sotto il vincolo della priorità degli interessi del proletariato. La libertà non ha per lui alcun interesse: si interessa agli esperimenti di Pavlov, ed esprime rammarico che il condizionamento non sia applicabile su scala di massa, rendendo inutile la polizia. Scrive a Stalin nel 1922 "noi purificheremo la Russia per molto tempo"; e, sempre nel 1922, a Kurskij, a proposito della sostituzione della Cheka con la Gpu e i metodi legali: "Il tribunale non deve eliminare il terrore; prometterlo significherebbe ingannare se stessi o ingannare gli altri; bisogna giustificarlo e legittimarlo sul piano dei principi, chiaramente, senza falsità e senza abbellimenti. La formulazione deve essere quanto più larga possibile, poiché soltanto la giustizia rivoluzionaria e la coscienza rivoluzionaria decideranno delle condizioni di applicazione più o meno lunga".

Crimini del comunismo, le radici ideologiche: Marx e Lenin teorici del terrore a cura del prof. Messeri Liceo Scientifico Statale Niccolò Copernico di Prato

Un "tribunale" di storici francesi giudica i crimini del comunismo "Il genocidio per fame? Inventato da Lenin"
...

I l vero ispiratore di crimini, massacri e genocidi del comunismo e' Lenin. Un po' come se fosse all'origine di ogni male compiuto da gregari e successori. "Il suo crimine peggiore - dice lo storico Stephane Courtois - e' la carestia del 1922, dove ha deliberatamente lasciato morire di fame milioni di persone. Lenin ha donato al comunismo l'arma della fame. Il suo uso e' una connotazione dell'ideologia. Tutti i regimi rossi l'hanno adottata: in Cina con 33 milioni di morti, in Corea del Nord, in Cambogia, nel Mozambico, in Etiopia. Un'arma spaventosa: la carestia provocata".
...

http://archiviostorico.corriere.it/...me_Inventato_Lenin_co_0_9711069008.shtmlshtml


Le stragi cominciarono subito dopo la presa del potere Contro i contadini Lo storico Andrea Graziosi: nelle campagne vi fu il ricorso sistematico alla presa di ostaggi, inclusi donne e bambini, e alla loro esecuzioneMolto spesso la Russia zarista viene descritta dagli studiosi come il «regno delle tenebre» ma era molto meno dispotica rispetto al regime sovietico

Q uasi novanta anni. Tanto c' è voluto perché fosse pubblicato in Italia (in autunno, da Jaca Book) il fondamentale libro di Sergej Petrovic Mel' gunov Il terrore rosso in Russia 1918-1923. Mel' gunov - scrive Sergio Rapetti in un bel ritratto a lui dedicato che compare nelle prime pagine del libro - discendente di un alto dignitario e governatore ai tempi del regno di Caterina II, collaboratore di Tolstoj (e successivamente curatore della sua opera), socialista, responsabile degli Archivi dopo la rivoluzione di febbraio del 1917, perseguitato dalla Ceka tra il 1918 e il 1922, emigrò a Praga, Berlino (dove nel ' 23 diede alle stampe la prima edizione di questo volume) e poi a Parigi, dove si stabilì definitivamente. Fu un convinto e attivo anticomunista; ma durante la Seconda guerra mondiale, a differenza di moltissimi francesi, rifiutò di collaborare con i tedeschi. Morì nel maggio del 1956, avendo avuto la fortuna di conoscere, pochi mesi prima del decesso, il rapporto sui crimini di Stalin che Nikita Krusciov aveva presentato al XX Congresso del Pcus. Il terrore rosso è stato pubblicato, come si è detto, in Germania, ma anche in Francia, Inghilterra, Spagna, Stati Uniti e un po' ovunque. Ma non in Italia, nonostante sia da tempo considerato un classico da cui non può prescindere chiunque si occupi dell' argomento. Il libro è stato scritto alla vigilia della morte di Lenin e spiega, a ridosso degli eventi, come tutte le degenerazioni del sistema sovietico siano riconducibili, appunto, a Lenin. «Gli esponenti bolscevichi», osservava già allora, all' inizio degli anni Venti, Mel' gunov, «sono soliti presentare il terrore come conseguenza della collera delle masse popolari: i bolscevichi sarebbero stati costretti a ricorrere al terrore per le pressioni della classe operaia... il terrore istituzionalizzato si sarebbe limitato a ricondurre a determinate forme giuridiche l' inevitabile ricorso alla giustizia sommaria invocata dal popolo». Niente di più falso: «È difficile immaginarsi un punto di vista più farisaico di questo», proseguiva Mel' gunov, «e si può agevolmente dimostrare, fatti alla mano, quanto tali affermazioni siano lontane dalla realtà». Ed è quel che lui fa, anticipando di decenni il giudizio sull' inscindibile rapporto tra Lenin e Stalin che poi sarà nella Storia dell' Urss (Rizzoli) di Michail Geller e Aleksandr Nekric, nei Tre perché della rivoluzione russa (Rubbettino) di Richard Pipes, ne La coscienza della rivoluzione (Sansoni) di R.V. Daniels. Se ancora oggi qui in Italia, quantomeno nella pubblicistica, è uso comune scaricare su Stalin e solo su Stalin gli orrori della Russia post rivoluzionaria, ciò è frutto anche della mancata pubblicazione di libri come questo. Nell' interessante saggio introduttivo al libro di Mel' gunov, Paolo Sensini accusa senza mezzi termini «la vulgata storiografica compiacente, fraudolenta omertosa e quasi sempre mistificante» che per anni e anni ha impedito di far luce su questi aspetti. Se la prende, Sensini, con la «favola tenacemente radicata in Occidente» secondo la quale - per dar luce alla stagione successiva «splendente» sotto la stella di Lenin - l' epoca zarista viene dipinta come «avvolta dalle tenebre». Menzogna, sostiene Sensini: nella Russia prerivoluzionaria la «società civile esisteva e stava strutturandosi anche grazie a una libertà di stampa che si estendeva ogni giorno di più». A partire dal 1912, Lenin poté far uscire per anni, legalmente e senza che nessuno ne minacciasse la chiusura, il suo giornale «Pravda», sul quale tra il maggio del ' 12 e il luglio del ' 14 apparvero ben trecento suoi articoli. Il numero delle famiglie contadine titolari di proprietà passò da due milioni e ottocentomila (pari al 33 per cento dei dodici milioni di famiglie) nel 1905 a sette milioni e trecentomila nel 1915 (pari al 56 per cento delle famiglie che nel frattempo erano cresciute a tredici milioni) con un aumento percentuale del 260 per cento in appena dieci anni. Fu lo stesso Lenin che, dopo la rivoluzione d' Ottobre, trasformò quel mondo in un incubo; Stalin fece il resto. Nel saggio introduttivo al libro da lui stesso curato, L' età del comunismo sovietico (anch' esso pubblicato da Jaca Book), Pier Paolo Poggio si sofferma sulla circostanza che «le interpretazioni sulla rivoluzione e l' Urss debbono fare i conti con una formidabile costruzione mitologica, senza pari nel corso del Novecento, affermatasi in Occidente e nel mondo, in singolare contrasto con la realtà». L' azione di Lenin e quella di Stalin vengono viste, e giustificate, quali «vettori della modernizzazione e industrializzazione, sia pure a costi spaventosamente alti». Un giudizio che secondo Poggio è da tempo «improponibile» e definitivamente «smentito dall' abbondante storiografia ormai a disposizione». Ma che resiste, osserva ancora Poggio, in virtù della «forza mitopoietica della rivoluzione russa a fronte delle continue smentite che essa ricevette da subito e poi nel corso di tutta la storia dell' Urss». È venuto invece il momento di chiamare le cose con il loro nome: dispotismo, tirannia, sterminio, genocidio, crimini contro l' umanità. Fin dai primi passi della rivoluzione. Se oggi questi termini possono essere usati anche in Italia, lo si deve in particolare agli approfonditi studi di Andrea Graziosi, il quale, nel fondamentale L' Urss di Lenin e Stalin (Il Mulino), così come nel saggio Stalin e il comunismo comparso nel libro I volti del potere (Laterza), ha messo in evidenza l' assoluta continuità tra i due «tiranni» che guidarono l' Unione Sovietica tra il 1917 e il 1953. «Stalin apprese da Lenin la gestione spietata del potere, l' uso elastico dei precetti ideologici a seconda delle circostanze», ha scritto. Leninismo e stalinismo possono essere definiti «tirannie»? Sì, risponde Graziosi: ancorché diverse («perché diversi furono i problemi che Lenin e Stalin furono chiamati ad affrontare e diversa era la personalità e la cultura del tiranno»), le si può definire in tutto e per tutto tirannie. Il culto della violenza fu tale fin dall' inizio. Già nel 1906 Lenin scriveva che per la presa del potere si doveva procedere a una guerra rivoluzionaria «disperata, sanguinosa, di sterminio».
...

Lenin maestro di Stalin nella pratica del terrore

Passerei ore a spiegarti del perché delle ritorsioni bolsceviche ne confronti di chi tradiva e pure del perché l'informazione borghese tende ad esagerare le violenze di un sistema sociale completamente diverso per ovvi motivi politici e strategici.
Basta pensare per un attimo a come i mass media europei stanno trattando la questione Ucraina; finchè al centro della scena c'erano i russi cattivi allora notizie continue quando al centro sono andati i militari di Kiev a reprimere le rivolte popolari dell'est allo il silenzio assoluto sulle morti.
Potremmo contare insieme i morti prodotti da Lenin e quelli dell'imperialismo USA o Inglese oppure anche le centinaia di immigrati morti non solo nel mediterraneo ma anche in Asia Africa tutti fenomeni del modello societario in cui viviamo.

Ma non voglio distogliere nessuno dall'argomento; come ho già scritto per Lenin era necessaria una fase violenta di rivolta popolare (che lui sperava mondiale ed invece fu solo russa ed è per questo che nella parte finale della sua vita divento molto repressiva perché le infiltrazioni borghesi occidentali si facevano sempre più marcate) perché chi deteneva il potere e le sacche di interessi che si rifacevano a quel potere solitamente fanno resistenza al cambiamento perché a loro lo status quo sta meglio che l'evoluzione; un atteggiamento non certo liberista ma invece molto conservatore.
Gli unici cambiamenti che l'imperialismo vuole riguardano solo le sfere di interessi ed i rapporti di forza e quindi sono tecnicamente sempre violenti al contrario del comunismo che prevede solo una fase violenta dedicata al rovesciamento dello stato costituito.

Poi se per cambiare un sistema ci si sta anche a farlo pacificamente non penso che ci sia un comunista che non sia contento ma chi detiene le sfere del potere non mi sembra tanto d'accordo. le varie primavere arabe tanto esaltate dalla cultura occidentali sono pacifiche o violente (anche molto violente quando sono finanziate dagli USA vedi Siria)

la situazione in Ucraina ne è un esempio calzante; si fa schierare il popolo Ucraino ora dalla parte dell'Europa e degli USA ora dalla parte dei Russi per conquistare sfera di influenza senza guardare in faccia alle sofferenze imposte alla popolazione

Alla faccia del sistema pacifico....


Il sistema attuale è marcio dalle fondamenta, è violento nei suoi modelli più evoluti (vogliamo parlare delle fabbriche che crollano in bangladesh con centinaia di persone sotto?) e parla del comunismo solo per distogliere l'attenzione dall'orrore che crea quotidianamente senza sapere di cosa si sta parlando.
Invece di sforzarsi di adottare modelli sociali evoluti, consumare risorse nell'evitare le migliaia di morti violente annuali a causa del sistema economico in cui viviamo (pensiamo ai milioni che soffrono la fame mentre le spese militari annuali risolverebbero la fame del mondo in un secondo) quando qualcuno parla di comunismo e non è violento gli si fa la predica dei morti causati dal comunismo senza guardarsi per un attimo allo specchio.
 

gipa69

collegio dei patafisici
Nel frattempo hai letto il terzo libro del capitale? e L'imperialismo di Lenin e l'Imperialismo unitario di Cervetto?

Hai capito le cause e le ragioni della crisi del 2008 e dove ci porteranno?
Il rischio che di fronte a noi si presentino scenari cupi da resa dei conti tra imperialismi.... le leggi i problemi sul mare Cinese non solo tra Cina e Giappone ma anche tra Cina e e Vietnam e Filippine...

Lo sai come mai aumentano le spese militari anno su anno? E non sono i comunisti che si armano e neanche gli anticomunisti che si armano per timore della dittatura del proletariato..
 

timurlang

Etsi omnes , Ego non
Passerei ore a spiegarti del perché delle ritorsioni bolsceviche ne confronti di chi tradiva e pure del perché l'informazione borghese tende ad esagerare le violenze di un sistema sociale completamente diverso per ovvi motivi politici e strategici.
Basta pensare per un attimo a come i mass media europei stanno trattando la questione Ucraina; finchè al centro della scena c'erano i russi cattivi allora notizie continue quando al centro sono andati i militari di Kiev a reprimere le rivolte popolari dell'est allo il silenzio assoluto sulle morti.
Potremmo contare insieme i morti prodotti da Lenin e quelli dell'imperialismo USA o Inglese oppure anche le centinaia di immigrati morti non solo nel mediterraneo ma anche in Asia Africa tutti fenomeni del modello societario in cui viviamo.

Ma non voglio distogliere nessuno dall'argomento; come ho già scritto per Lenin era necessaria una fase violenta di rivolta popolare (che lui sperava mondiale ed invece fu solo russa ed è per questo che nella parte finale della sua vita divento molto repressiva perché le infiltrazioni borghesi occidentali si facevano sempre più marcate) perché chi deteneva il potere e le sacche di interessi che si rifacevano a quel potere solitamente fanno resistenza al cambiamento perché a loro lo status quo sta meglio che l'evoluzione; un atteggiamento non certo liberista ma invece molto conservatore.
Gli unici cambiamenti che l'imperialismo vuole riguardano solo le sfere di interessi ed i rapporti di forza e quindi sono tecnicamente sempre violenti al contrario del comunismo che prevede solo una fase violenta dedicata al rovesciamento dello stato costituito.

Poi se per cambiare un sistema ci si sta anche a farlo pacificamente non penso che ci sia un comunista che non sia contento ma chi detiene le sfere del potere non mi sembra tanto d'accordo. le varie primavere arabe tanto esaltate dalla cultura occidentali sono pacifiche o violente (anche molto violente quando sono finanziate dagli USA vedi Siria)

la situazione in Ucraina ne è un esempio calzante; si fa schierare il popolo Ucraino ora dalla parte dell'Europa e degli USA ora dalla parte dei Russi per conquistare sfera di influenza senza guardare in faccia alle sofferenze imposte alla popolazione

Alla faccia del sistema pacifico....


Il sistema attuale è marcio dalle fondamenta, è violento nei suoi modelli più evoluti (vogliamo parlare delle fabbriche che crollano in bangladesh con centinaia di persone sotto?) e parla del comunismo solo per distogliere l'attenzione dall'orrore che crea quotidianamente senza sapere di cosa si sta parlando.
Invece di sforzarsi di adottare modelli sociali evoluti, consumare risorse nell'evitare le migliaia di morti violente annuali a causa del sistema economico in cui viviamo (pensiamo ai milioni che soffrono la fame mentre le spese militari annuali risolverebbero la fame del mondo in un secondo) quando qualcuno parla di comunismo e non è violento gli si fa la predica dei morti causati dal comunismo senza guardarsi per un attimo allo specchio.

Insomma 100 milioni di morti assassinati in pochi decenni, ma poi :
le cose sono scappate di mano perché loro erano convinti di doverne macellare solo il minimo indispensabile ...
e poi i kulaki erano così restii a farsi sterminare ...
e i preti e il gombloddo borghese internazionale ...
e le mistificazioni degli storici ...
e gli orrori del capitalismo ...

eh si, la purezza dell'idea: vuoi mettere

ma sono tutti "non sequitur" capisci

nulla, nulla giustifica l'inarrivabile ecatombe comunista

MURDER BY COMMUNISM
Statistics of Democide
 

Allegati

  • Schermata 05-2456793 alle 23.14.15.png
    Schermata 05-2456793 alle 23.14.15.png
    42,7 KB · Visite: 302
Ultima modifica:

alingtonsky

Forumer storico
Non hai letto ne Marx ne Lenin e per esempio il collasso della Comune di Parigi è avvenuto per l'evidente boicottaggio del regime in cui si era sviluppata ma non era certo violenta (o quantomeno non più violenta della sociatà che la circondava) per cui la tua teoria non è confermata da dati reali.

Come detto gli unici reali leader che si sono ispirati al marxismo sono lo stesso Marx e Lenin..
E nessuno dei 2 era leader nella Comune di Parigi. Se Lenin mise in atto i propri programmi rivoluzionari in Russia con la conseguente nascita dell' Unione Sovietica, e la sua storia con deportazioni e gulag , Marx aveva sconsigliato la classe operaia francese dal tentare di rovesciare il governo: se fosse dipeso da lui la comune di Parigi non sarebbe sorta.
Poi nella comune di Parigi tra i rivoluzionari e gli eletti c' erano individui con idee eterogenee e c' erano socialisti e comunisti che si ispiravano a teorie di Blanqui diverse da quelle di Marx.

Quindi l' esperienza storica della Comune di Parigi , peraltro di breve durata, non confuta o dimostra alcunché su cosa succede quando prendono il potere i marxisti.



Il 9 settembre 1870 Marx aveva redatto a nome dell'Internazionale il Secondo indirizzo del Consiglio generale sulla guerra franco-prussiana, nel quale si invitava la classe operaia francese a non tentare di rovesciare il governo: « nella crisi presente, mentre il nemico batte quasi alle porte di Parigi, sarebbe una disperata follia ». Pur sapendo che il nuovo governo era nelle mani degli orléanisti, gli operai francesi non dovevano « lasciarsi sviare dalle memorie nazionali del 1792 [...] ma costruire il futuro », lavorando alla « loro organizzazione di classe ».
...

Dopo il 4 settembre uscirono dal carcere o tornarono a Parigi dall'esilio molti esponenti politici oppositori del deposto regime. Le idee politiche e sociali dominanti nelle forze rivoluzionarie erano di diverso tipo. In Francia erano molto diffuse le teorie proudhoniane,
...
I proudhoniani erano nemici dello Stato e immaginavano la nazione organizzata in una federazioni di città: « ogni gruppo etnico, ogni razza, ogni nazionalità ha il pieno dominio del proprio territorio; ogni città, fidandosi della garanzie dei vicini, ha il pieno dominio della zona che entra nel suo raggio d'azione. L'unità non è assicurata da leggi, ma soltanto dagli impegni che i diversi gruppi autonomi assumono reciprocamente ».[27] Ogni comune doveva essere sovrano: « il comune ha diritto all'autogoverno, all'amministrazione, alla riscossione dei tributi, alla disponibilità della sua proprietà e delle sue imposte. Ha il diritto di costruire scuole per la sua gioventù, di nominare gli insegnanti, di avere la sua polizia, i suoi gendarmi e la sua guardia nazionale; di designare i giudici, di avere giornali, di tenere assemblee, di possedere società private, imprese, banche ».

Tuttavia i seguaci di Proudhon non costituivano un movimento omogeneo e si divisero a riguardo della posizione da tenere nei confronti della situazione rivoluzionaria venutasi a creare a Parigi: avversari della rivoluzione furono i proudhoniani ortodossi, quali Gustave Chaudey e Henri Tolain, mentre i proudhoniani « di sinistra » Augustin Avrial, Charles Beslay, Francis Jourde, Charles Longuet, Benoît Malon, Louise Michel, Albert Theisz, Eugène Varlin, Auguste Vermorel e altri, divennero attivi dirigenti della Comune. Vicini ai proudhoniani nel rifiuto dello Stato e delle forme organizzate di lotta politica, erano i seguaci di Michail Bakunin, che non avevano però quasi nessun seguito a Parigi.

...Rivoluzionari attivi erano i blanquisti. Comunisti, essi ponevano in primo piano la necessità della conquista del potere politico. Per ottenere questo risultato, ritenevano sufficiente l'organizzazione di un piccolo nucleo di risoluti cospiratori, disciplinati ed efficienti che, una volta impadronitisi del potere, avrebbero instaurato un governo dittatoriale, necessario per stroncare ogni opposizione e, insieme, per attirare a sé le masse popolari. Le trasformazioni sociali sarebbero avvenute più tardi: « il comunismo non si realizza con i decreti - aveva scritto Blanqui - ma sulla base di decisioni prese volontariamente dalla nazione stessa, e queste decisioni possono avvenire solo sulla base di una larga diffusione dell'istruzione ». Tutti i blanquisti parteciparono attivamente alla Comune: Casimir Bouis, Frédéric Cournet, Gaston Da Costa, Émile Eudes, Théophile Ferré, Gustave Flourens, Ernest Granger, Alphonse Humbert, Victor Jaclard, Eugène Protot, Raoul Rigault, Gustave Tridon, Édouard Vaillant.

Un'altra importante componente rivoluzionaria, ma non socialista, attiva a Parigi, fu quella dei neo-giacobini. Repubblicani radicali, i loro obbiettivi politici erano le libertà democratiche, come la laicità della scuola e la libertà di stampa. La loro base sociale risiedeva nell'intellettualità della piccola borghesia e il loro modello di riferimento era la Repubblica giacobina espressa dalla Grande Rivoluzione, che del resto esercitava ancora un certo fascino anche negli altri gruppi rivoluzionari. Non a caso i blanquisti Humbert, Vermersch e Vuillaume fondarono il quotidiano Le Père Duchêne, richiamandosi all'omonimo giornale di Hébert e il proudhoniano Vermorel pubblicò i discorsi di Danton, di Marat, di Robespierre e di Vergniaud. Figure rilevanti di neo-giacobini furono Louis Charles Delescluze, Charles Ferdinand Gambon, Jules Miot e Félix Pyat.

Altri elementi di spicco della rivoluzione parigina furono il garibaldino Amilcare Cipriani, il pittore Gustave Courbet, i marxisti Élisabeth Dmitrieff, Leó Frankel, Prosper-Olivier Lissagaray e Auguste Serraillier, i socialisti Jean-Baptiste Clément e Nathalie Lemel, gli anarchici André Léo, Gustave Lefrançais, Louise Michel ed Élisée Reclus.
...


Con la Comune, nota Goncourt, avviene « la conquista della Francia da parte dell'operaio, e l'asservimento, sotto il suo dispotismo, del nobile, del borghese, del contadino. Il governo lascia le mani di coloro che possiedono per andare nelle mani di coloro che non possiedono »
...

Quella sera stessa il Consiglio si riunì per la prima volta. Erano 86, perché mancava Blanqui, fatto arrestare da Thiers il 17 marzo a Bretenoux, e perché alcuni consiglieri erano stati eletti in più di un arrondissement.[91] Fu dichiarata l'incompatibilità tra il mandato della Comune e il mandato dell'Assemblea Nazionale e seguirono le dimissioni dei consiglieri fedeli al governo Thiers poiché, essendo in netta minoranza, non erano in grado di condizionare l'azione del Consiglio:[92] il primo fu Tirard, seguito da Adam, Barré, de Bouteillet, Brélay, Chéron, Desmaret, Ferry, Fruneau, Leroy, Loiseau-Pinson, Marmottan, Méline, Nast, Robinet e Rochard. Mentre il 3 aprile morirono Duval e Flourens, tra il 4 e il 12 aprile si dimisero anche i quattro seguaci di Gambetta, Goupil, Lefèvre, Parent e Ranc, in dissenso con il decreto sugli ostaggi. Furono tutti sostituiti nelle elezioni complementari tenute il 16 aprile.[93]

Riguardo alla composizione sociale degli eletti, una trentina erano operai e artigiani, gli altri si dividevano tra professionisti, giornalisti e impiegati. I socialisti, tra blanquisti e proudhoniani, costituivano più della metà del Consiglio, e tra di essi una ventina erano iscritti all'Internazionale. Seguivano una quindicina di giacobini e il resto non aveva una posizione politica definita.
...

http://it.wikipedia.org/wiki/Comune_di_Parigi_(1871)
 
Ultima modifica:

alingtonsky

Forumer storico
Insomma 100 milioni di morti assassinati in pochi decenni, ma poi :
le cose sono scappate di mano perché loro erano convinti di doverne macellare solo il minimo indispensabile ...
e poi i kulaki erano così restii a farsi sterminare ...
e i preti e il gombloddo borghese internazionale ...
e le mistificazioni degli storici ...
e gli orrori del capitalismo ...

eh si, la purezza dell'idea: vuoi mettere

ma sono tutti "non sequitur" capisci

nulla, nulla giustifica l'inarrivabile ecatombe comunista

MURDER BY COMMUNISM
Statistics of Democide

E oltre alle esperienze storiche sanguinose dei regimi comunisti o socialisti o bolscevichi che si sono ispirati al marxismo-leninismo , è il caso di evidenziare che Marx era un filosofo autodidatta in economia, che pretendeva di parlarne diffusamente ma non era in grado di capirla adeguatamente.

Le teorie marxiste del valore e del plusvalore sono clamorosamente errate, e se si comprende ciò larga parte della costruzione teorica marxista crolla come un sistema delirante non in grado di capire l' economia, non in grado di comprendere cosa determina i prezzi , non in grado di comprendere che i profitti per chi investe capitali e per gli imprenditori sono una equa remunerazione per il rischio assunto e per aver rimandato la spesa edonistica di somme di denaro , per idee innovative su prodotti e servizi da parte dei fondatori di alcune aziende etc. e non implicano uno sfruttamento dei lavoratori pagati a livelli di mercato determinati da domanda e offerta e anche da contrattazione tra imprenditori e sindacati.

Dati gli errori teorici del pensiero economico di Marx non è un caso che i risultati economici e di tenore di vita dei regimi che ad esso si sono ispirati siano stati insoddisfacenti.


Critica del pensiero economico di Marx: le basi teoriche del socialismo liberale - Pietro Manes - Google Libri


Le critiche al marxismo

http://www.marialuigia.eu/public/nicoli/CRITICHE al Marxismo.doc


Poco dopo l'uscita del Libro I de Il Capitale, a partire dai contributi indipendenti di William Stanley Jevons, Carl Menger e Léon Walras, la teoria del valore-lavoro degli economisti classici, che aveva costituito la base della teoria economica di Marx, venne progressivamente sostituita dalla teoria soggettiva del valore, che riposa sul concetto di utilità marginale[1].

Secondo tale teoria, che è stato il perno del marginalismo e rimane, sebbene con alcuni aggiustamenti, il nucleo centrale dell'economia neoclassica a tutt'oggi dominante, il fondamento del valore non va ricercato nella quantità di lavoro socialmente necessario alla produzione dei beni, ma nell'incremento all'utilità individuale che l'incremento del consumo di questi può apportare al margine. Il prezzo dei beni deriva dalla valutazione soggettiva dei consumatori circa l'utilità relativa degli stessi rapportata alla loro scarsità relativa. Infatti, data la generale assunzione di utilità marginale decrescente, cioè di una diminuzione dell'incremento dell'utilità individuale generato da un incremento di un'unità nel consumo al crescere del livello assoluto di consumo, il valore dei beni viene determinato dal rapporto tra bisogni individuali e disponibilità complessive dei beni (e nella versione mengeriana - che apre la strada alla scuola austriaca dell'economia - il valore è ricondotto in particolare al puro giudizio soggettivo dei singoli, ben al di là di ogni pretesa di definire bisogni e disponibilità complessivi). Così, ad esempio, riprendendo il celebre paradosso dell'acqua e del diamante contenuto nella Ricchezza delle nazioni (1776) di Adam Smith, per i marginalisti il motivo per cui il valore dei diamanti è immensamente maggiore di quello dell'acqua è che, date le disponibilità relative di acqua e diamanti, l'utilità che apporterebbe un diamante in più sarebbe molto maggiore di quella di un bicchiere d'acqua in più. Se un uomo si trovasse in un deserto, per il primo bicchiere d'acqua sarebbe disposto a pagare sicuramente molto più che per un diamante, ma non è questa la situazione normale delle persone. I marginalisti dimostrano che in equilibrio i prezzi dei beni devono essere tali da garantire l'uguaglianza delle loro utilità marginali ponderate, cioè del rapporto tra utilità marginale e prezzo del bene[2].

Data anche l'alta formalizzazione matematica che permettevano, queste teorie divennero presto quelle dominanti, con esiti dirompenti per la teoria marxiana. Cade la teoria del plusvalore: non essendo più il lavoro considerato la fonte del valore, il profitto non può derivare dal plusvalore, per il semplice fatto che non esiste alcun plusvalore, cioè valore che il lavoro attribuisce alla merce, ma che il lavoratore non percepisce. Cade anche la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto: all'aumento della meccanizzazione, con relativo aumento del rapporto tra capitale costante e monte salari, non fa seguito alcuna diminuzione del profitto realizzabile, perché non è la quantità di "lavoro vivo" impiegata nel sistema a determinare il profitto realizzabile.
 
Ultima modifica:

gipa69

collegio dei patafisici
Insomma 100 milioni di morti assassinati in pochi decenni, ma poi :
le cose sono scappate di mano perché loro erano convinti di doverne macellare solo il minimo indispensabile ...
e poi i kulaki erano così restii a farsi sterminare ...
e i preti e il gombloddo borghese internazionale ...
e le mistificazioni degli storici ...
e gli orrori del capitalismo ...

eh si, la purezza dell'idea: vuoi mettere

ma sono tutti "non sequitur" capisci

nulla, nulla giustifica l'inarrivabile ecatombe comunista

MURDER BY COMMUNISM
Statistics of Democide

ma perchè dobbiamo scadere cosi in basso... :rolleyes:

Guerra civile americana, guerre napoleoniche colonialismo europeo, prima e seconda guerra mondiale ecc. ecc.... queste sono state tutte causate dal comunismo?

Per non dire ad esempio poi le morti causate dal cattolicesimo e/o da qualunque altra religione che però chissa come mai possono prosperare naturalmente mentre uno se si professa comunista e ritiene che il miglioramento della specie sia un obiettivo da perseguire gli vengono elencati morti su morti. come se fosse il profeta di una teoria mortifera piu di quelle dominanti A casa mia questa si chiama ipocrisia.
E' la cosa bella è che ci credete....

La teoria del plusvalore sbagliata... :D quindi mi stai dicendo che il fatto che gli utili delle imprese siano ai massimi storici ed i salari globali in contrazione assoluta è la perfetta dimostrazione che la teoria del plusvalore è sbagliata; decine di economisti sistenici dicono queste cose e poi si trovano a scontrarsi con la cruida realtà dei numeri.
Neanche gli economisti borghesi poi si mettono daccordo va.. leggi la Stampa di ieri e scoprirai che alcuni pensano che le più grandi innovazioni tecnologiche sono nate con la partecipazione dello stato e non grazie alla liberalizzazione del mercato; se poi magari non avessimo piu bisogno di sovrastrutture per cercare di soddisfare i nostri desideri? A si questo è un pensiero violento perchè i comunisti sono violenti a priori mentre il sistema economico attuale è cosi definitivo e pacifico che pensare modelli alternativi è quasi un esercizio sbagliato....
 

Users who are viewing this thread

Alto