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Forumer storico
L' economista Pascal Salin ha scritto un libro interessante "Ritornare al capitalismo per evitare le crisi".
Il libro è stato scritto quando la crisi scoppiata negli anni 2008-2009 era ancora in corso, ma prima del crollo della Grecia e del boom del differenziale tra i titoli italiani e quelli tedeschi.
Scopo del libro è dimostrare che la vera storia della crisi non è quella di un sistema dominato da capitalisti senza morale il cui unico scopo è il guadagno (p. 34). Il crollo della fiducia negli Stati è dipeso dalle scelte di politica economica dei decisori pubblici, che si sono rivelate totalmente inadeguate. I media hanno addossato le colpe alla finanza perché è stato quello che voleva sentirsi dire la gente. Ma l'opinione pubblica ha una concezione sbagliata del capitalismo (se ne sottovaluta la capacità di accrescere la ricchezza per tutti) e del libero mercato (si sottovaluta la sua potenzialità). D'altra parte, la gente sopravvaluta enormemente la capacità riequilibratrice dello stato. L'opinione pubblica è stata vittima di un pregiudizio: l'idea che lo Stato rappresenti un'istituzione di ultima istanza contro i rischi economici.
Ripercorrendo le vicende degli anni ottanta-novanta, l'Autore si concentra sulle decisioni prese in quel periodo da organismi statali, in primis il Congresso e la Banca centrale statunitensi, ispirate a concezioni keynesiane di politica monetaria. L'espansione del credito garantita dallo stato che tali scelte hanno generato (ispirate all'insegnamento di J. Keynes), ha portato gli investitori privati ad aumentare a dismisura il margine di rischio. Si è arrivati così alla bolla del 2008.
Conclusione: sono state le autorità pubbliche a creare le condizioni per le quali si è prodotta l'enorme bolla speculativa che ha portato al disastro.
Per facilitare la comprensione della crisi degli anni 2008-2009, l'Autore illustra le differenze tra due diversi modelli economici: uno ("moderno") è quello attualmente esistente nei Paesi occidentali, l'altro invece ("di riferimento") è ispirato alla Scuola austriaca. I due modelli si presentano come segue (p. 75):
...
Conclusione: il sistema economico (e istituzionale) attuale permette il verificarsi delle crisi finanziarie perché si è allontanato dai principii fondamentali del capitalismo. Tutti gli economisti hanno provato a spiegare la crisi. L'unica teoria emersa è che, per sollevare le economie colpite così duramente dalla crisi, sia necessario "più stato" (ovvero più regolamentazione, ovvero più coercizione legale). I piani di salvataggio puntano a "riformare il capitalismo". L'Autore nota come sia l'esatto contrario di quello che serve. Salin ribalta il rapporto tra equilibrio dei mercati e crisi: "La crisi svolge il ruolo necessario di ripristinare gli equilibri ritornando a strutture produttive che sarebbero prevalse in assenza dell'instabilità di origine monetaria".
Dopo aver ribaltato il rapporto tra equilibrio dei mercati e crisi (la crisi qui assolve a una funzione positiva), l'Autore soggiunge: "La crisi non è una disfunzione del sistema economico che bisognerebbe correggere. È, al contrario, il modo per verificare gli errori del passato" (p. 148). Ora è possibile fare la seguente considerazione: si attribuisce al "mercato" la colpa della crisi, quando invece è emerso come essa sia stata provocata da politiche sbagliate. Non basta: si cercano soluzioni stataliste alla crisi, quando invece sarebbe questo il momento di affidarsi al libero mercato! Questo è il motivo per cui il libro è stato scritto.
Pascal Salin: RITORNARE AL CAPITALISMO PER EVITARE LE CRISI
...
«Non è così. I media francesi hanno cominciato a capirlo. Il capitalismo è un sistema che si basa sui diritti di proprietà legittima e incentiva la responsabilità di ognuno. È un sistema morale. Favorisce anche l’avidità, è vero, ma questo non è negativo nella misura in cui vengono rispettati i diritti altrui».
Torniamo - o scendiamo - alla recente catastrofe economica.
«È nata e permane nel punto esatto di congiunzione tra politica monetaria e politica fiscale. Gli attuali sistemi fiscali frenano l’accumulazione di capitale. Bisognerebbe invece detassare i risparmi e le plusvalenze. Se guadagni cento e di tasse ne paghi cinquanta, per i restanti cinquanta hai due strade: o li risparmi o li consumi. Si è fatto di tutto per indurre la gente a consumare, vale a dire a disintegrare i propri soldi. Per questo il risparmio diminuisce, specie negli Usa, dove credono di poterlo sostituire stampando moneta. Pratica immorale, perché provoca l’illusione di qualcosa che non esiste».
Potremmo chiamarla politica espansionista...
«Sì, ed è quella che vede le persone contrarre prestiti per qualunque cosa, compresi i progetti non remunerativi. È prassi capitalista, questa? E lo Stato aggrava tale situazione. Come è accaduto coi mutui subprime: il governo americano ha obbligato le banche a prestare denaro a chi non poteva restituirlo e a tassi irrisori che poi si sono alzati. L’ha fatto per pura demagogia. Traduco: il vero capitalismo è stato rimpiazzato da interventi statali di carattere monetario che non hanno favorito la formazione di capitale».
Come invece ai tempi di Balzac.
«Appunto. Nel XVIII e XIX secolo le banche erano piccole e tutte possedute da veri capitalisti che non avevano proprio voglia di fallire e mantenevano perciò elevati i tassi di interesse. Oggi le banche cercano di fondersi e concentrarsi sempre di più, secondo il principio too big to fail, troppo grande per fallire. In una banca di queste dimensioni non decide nessuno, se non i manager, che non hanno a cuore né la banca né il capitale, ma il loro stipendio».
...
«Quando nel mio libro parlo di “eurosclerosi” mi riferisco ai Paesi ex comunisti, ma è vero che anche per gli altri sta prendendo piede un eccesso sconsiderato di regolamentazione e centralizzazione. Più uno Stato è grande, più è difficile sfuggirgli. Dovremmo invece favorire un sistema economico per ciascuno Stato, lasciarli poi competere e vedere qual è il migliore. Con un’economia centralizzata la competizione si azzera, come tra gli individui. ...
L’INTERVISTA 4 PASCAL SALIN - IlGiornale.it
Il problema non è rappresentato dal capitalismo, ma dall' eccessivo interventismo statale che distorce il mercato e favorisce l' azzardo morale, e da politiche fiscali che scoraggiano l' accumulazione di risparmi e capitali e invece favoriscono i consumi basati sui debiti.
Il libro è stato scritto quando la crisi scoppiata negli anni 2008-2009 era ancora in corso, ma prima del crollo della Grecia e del boom del differenziale tra i titoli italiani e quelli tedeschi.
Scopo del libro è dimostrare che la vera storia della crisi non è quella di un sistema dominato da capitalisti senza morale il cui unico scopo è il guadagno (p. 34). Il crollo della fiducia negli Stati è dipeso dalle scelte di politica economica dei decisori pubblici, che si sono rivelate totalmente inadeguate. I media hanno addossato le colpe alla finanza perché è stato quello che voleva sentirsi dire la gente. Ma l'opinione pubblica ha una concezione sbagliata del capitalismo (se ne sottovaluta la capacità di accrescere la ricchezza per tutti) e del libero mercato (si sottovaluta la sua potenzialità). D'altra parte, la gente sopravvaluta enormemente la capacità riequilibratrice dello stato. L'opinione pubblica è stata vittima di un pregiudizio: l'idea che lo Stato rappresenti un'istituzione di ultima istanza contro i rischi economici.
Ripercorrendo le vicende degli anni ottanta-novanta, l'Autore si concentra sulle decisioni prese in quel periodo da organismi statali, in primis il Congresso e la Banca centrale statunitensi, ispirate a concezioni keynesiane di politica monetaria. L'espansione del credito garantita dallo stato che tali scelte hanno generato (ispirate all'insegnamento di J. Keynes), ha portato gli investitori privati ad aumentare a dismisura il margine di rischio. Si è arrivati così alla bolla del 2008.
Conclusione: sono state le autorità pubbliche a creare le condizioni per le quali si è prodotta l'enorme bolla speculativa che ha portato al disastro.
Per facilitare la comprensione della crisi degli anni 2008-2009, l'Autore illustra le differenze tra due diversi modelli economici: uno ("moderno") è quello attualmente esistente nei Paesi occidentali, l'altro invece ("di riferimento") è ispirato alla Scuola austriaca. I due modelli si presentano come segue (p. 75):
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Conclusione: il sistema economico (e istituzionale) attuale permette il verificarsi delle crisi finanziarie perché si è allontanato dai principii fondamentali del capitalismo. Tutti gli economisti hanno provato a spiegare la crisi. L'unica teoria emersa è che, per sollevare le economie colpite così duramente dalla crisi, sia necessario "più stato" (ovvero più regolamentazione, ovvero più coercizione legale). I piani di salvataggio puntano a "riformare il capitalismo". L'Autore nota come sia l'esatto contrario di quello che serve. Salin ribalta il rapporto tra equilibrio dei mercati e crisi: "La crisi svolge il ruolo necessario di ripristinare gli equilibri ritornando a strutture produttive che sarebbero prevalse in assenza dell'instabilità di origine monetaria".
Dopo aver ribaltato il rapporto tra equilibrio dei mercati e crisi (la crisi qui assolve a una funzione positiva), l'Autore soggiunge: "La crisi non è una disfunzione del sistema economico che bisognerebbe correggere. È, al contrario, il modo per verificare gli errori del passato" (p. 148). Ora è possibile fare la seguente considerazione: si attribuisce al "mercato" la colpa della crisi, quando invece è emerso come essa sia stata provocata da politiche sbagliate. Non basta: si cercano soluzioni stataliste alla crisi, quando invece sarebbe questo il momento di affidarsi al libero mercato! Questo è il motivo per cui il libro è stato scritto.
Pascal Salin: RITORNARE AL CAPITALISMO PER EVITARE LE CRISI
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«Non è così. I media francesi hanno cominciato a capirlo. Il capitalismo è un sistema che si basa sui diritti di proprietà legittima e incentiva la responsabilità di ognuno. È un sistema morale. Favorisce anche l’avidità, è vero, ma questo non è negativo nella misura in cui vengono rispettati i diritti altrui».
Torniamo - o scendiamo - alla recente catastrofe economica.
«È nata e permane nel punto esatto di congiunzione tra politica monetaria e politica fiscale. Gli attuali sistemi fiscali frenano l’accumulazione di capitale. Bisognerebbe invece detassare i risparmi e le plusvalenze. Se guadagni cento e di tasse ne paghi cinquanta, per i restanti cinquanta hai due strade: o li risparmi o li consumi. Si è fatto di tutto per indurre la gente a consumare, vale a dire a disintegrare i propri soldi. Per questo il risparmio diminuisce, specie negli Usa, dove credono di poterlo sostituire stampando moneta. Pratica immorale, perché provoca l’illusione di qualcosa che non esiste».
Potremmo chiamarla politica espansionista...
«Sì, ed è quella che vede le persone contrarre prestiti per qualunque cosa, compresi i progetti non remunerativi. È prassi capitalista, questa? E lo Stato aggrava tale situazione. Come è accaduto coi mutui subprime: il governo americano ha obbligato le banche a prestare denaro a chi non poteva restituirlo e a tassi irrisori che poi si sono alzati. L’ha fatto per pura demagogia. Traduco: il vero capitalismo è stato rimpiazzato da interventi statali di carattere monetario che non hanno favorito la formazione di capitale».
Come invece ai tempi di Balzac.
«Appunto. Nel XVIII e XIX secolo le banche erano piccole e tutte possedute da veri capitalisti che non avevano proprio voglia di fallire e mantenevano perciò elevati i tassi di interesse. Oggi le banche cercano di fondersi e concentrarsi sempre di più, secondo il principio too big to fail, troppo grande per fallire. In una banca di queste dimensioni non decide nessuno, se non i manager, che non hanno a cuore né la banca né il capitale, ma il loro stipendio».
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«Quando nel mio libro parlo di “eurosclerosi” mi riferisco ai Paesi ex comunisti, ma è vero che anche per gli altri sta prendendo piede un eccesso sconsiderato di regolamentazione e centralizzazione. Più uno Stato è grande, più è difficile sfuggirgli. Dovremmo invece favorire un sistema economico per ciascuno Stato, lasciarli poi competere e vedere qual è il migliore. Con un’economia centralizzata la competizione si azzera, come tra gli individui. ...
L’INTERVISTA 4 PASCAL SALIN - IlGiornale.it
Il problema non è rappresentato dal capitalismo, ma dall' eccessivo interventismo statale che distorce il mercato e favorisce l' azzardo morale, e da politiche fiscali che scoraggiano l' accumulazione di risparmi e capitali e invece favoriscono i consumi basati sui debiti.
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