Se ammetti che almeno Lenin si era ispirato al marxismo ...
Già Lenin aveva instaurato una dittatura ed aveva ordinato crimini contro l' umanità oltre ad aver fatto disastri nel gestire l' economia della nascente URSS.
Lenin
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Convocato nel 1907 davanti al Consiglio del partito per l'asprezza delle critiche ai menscevichi, ammette di avere perseguito consapevolmente una tattica indirizzata a diffamare l'avversario politico e a creare odio nei suoi confronti: egli pensa che il rivoluzionario non debba essere trattenuto da alcuno scrupolo morale. Lezioni della Comune (1908): la rivoluzione proletaria della Comune è fallita per l'eccessiva generosità del proletariato; "avrebbe dovuto sterminare i suoi nemici", invece che "esercitare un'influenza morale su di loro". In Stato e rivoluzione (1917) sviluppa le idee di Marx ed Engels sulla Comune, insistendo sul fatto che la dittatura del proletariato è incompatibile col parlamentarismo e che il proletariato rivoluzionario deve "spezzare" la macchina dello stato borghese. In I bolscevichi conserveranno il potere? (1917): "La rivoluzione è la lotta di classe e la guerra civile più acuta, più selvaggia e più esasperata", richiede un "uso implacabilmente duro, rapido e deciso della violenza". L'anno dopo, già al potere, ne La dittatura del proletariato e il rinnegato Kautsky (1918) attacca duramente il leader socialista tedesco, che difende il metodo democratico e critica l'autoritarismo dei bolscevichi. Nel luglio 1918 attacca decisamente Zinovev che ha trattenuto i bolscevichi di Pietrogrado dallo scatenare il "terrore di massa": "Bisogna stimolare forme energiche e massicce del terrore contro i controrivoluzionari". Ma lo stesso Zinovev in una assemblea di partito a Pietrogrado il 17 settembre 1918: "Dobbiamo conquistare per noi novanta dei cento milioni di abitanti della Russia che vivono sotto i soviet. Al resto non abbiamo nulla da dire: devono essere sterminati". Il discorso viene accolto da scroscianti applausi. E' stato pubblicato recentemente un documento del 1918 nel quale Lenin scrive di suo pugno che le rivolte contadine "devono essere represse senza pietà". Ordina ai comunisti di un villaggio: "impiccate senza esitare, così la gente vedrà, almeno cento noti kulaki, ricchi, sanguisughe". Nel 1919: "Noi non riconosciamo né libertà né uguaglianza né democrazia del lavoro, se queste cose si oppongono agli interessi dell'emancipazione del lavoro dall'oppressione del capitale". Immemore del proclamato diritto dei popoli all'autodeterminazione, nell'estate del 1920, ordina ai comandanti dell'Armata rossa: "noi dobbiamo prima sovietizzare la Lituania e renderla dopo ai lituani". In L'estremismo, malattia infantile del comunismo (1920): "Bisogna affrontare tutti i sacrifici e - in caso di necessità - ricorrere a tutte le astuzie, a tutte le furberie, ai metodi illegali, alle reticenze, all'occultamento della verità, pur di introdursi nei sindacati, pur di rimanere in essi, pur di svolgervi a qualsiasi costo un lavoro comunista". Teorizza la "violenza sistematica contro la borghesia e i suoi complici", parla di "ripulire il suolo della Russia di qualsiasi insetto nocivo; delle pulci: i furfanti; delle cimici: i ricchi, etc.". Parla di "lotta finale", di "guerra implacabile", di "annientamento implacabile" e di "sterminio sanguinoso dei ricchi". Definisce i borghesi "parassiti" e "vampiri". Nel 1922, al momento di lanciare la prima grande offensiva contro la Chiesa ortodossa: "E' precisamente ora e solo ora, quando nelle regioni affamate la gente mangia carne umana, e centinaia se non migliaia di cadaveri riempiono le strade, che noi possiamo (e perciò dobbiamo) effettuare la confisca dei beni ecclesiastici con la più feroce e spietata energia, senza fermarci prima di avere schiacciato ogni resistenza"; "applicate ai preti la più estrema forma di punizione".
Angelica Balabanoff, dirigente dell'Internazionale comunista, ricorda il cinismo con cui Lenin consigliava di diffamare i riformisti e i comunisti non fedeli alla Russia bolscevica, per distruggerne la reputazione presso gli operai, o di corrompere con denaro gli avversari del comunismo. Nel 1924 lo scrittore socialista Maksim Gorkij ritrae il Lenin da lui incontrato come una persona per cui gli esseri umani non hanno "quasi alcun interesse" e la classe operaia è solo "materia prima" per l'azione politica. La sua doppiezza è sistematica e teorizzata. Nel 1905 è scettico sui soviet, in quanto organizzazioni non di partito; nel 1917 teorizza il potere assoluto dei soviet; dalla presa del potere in poi svuota i soviet di qualsiasi significato politico. Fino al 1905, da marxista ortodosso, sostiene che i contadini sono piccolo-borghesi e quindi nemici della lotta socialista proletaria; dopo il 1905 adotta, contro i menscevichi, l'idea che i contadini siano alleati della lotta socialista proletaria; tra il 1917 e l'inizio del 1918, per ingraziarsi i contadini, accetta la parola d'ordine della spartizione delle grandi proprietà, fino ad allora sostenuta dai socialisti rivoluzionari e rifiutata dai bolscevichi come reazionaria; nel 1918 la sconfessa a favore di una accelerata collettivizzazione delle terre. Sostiene il diritto di secessione delle nazionalità, ma sotto il vincolo della priorità degli interessi del proletariato. La libertà non ha per lui alcun interesse: si interessa agli esperimenti di Pavlov, ed esprime rammarico che il condizionamento non sia applicabile su scala di massa, rendendo inutile la polizia. Scrive a Stalin nel 1922 "noi purificheremo la Russia per molto tempo"; e, sempre nel 1922, a Kurskij, a proposito della sostituzione della Cheka con la Gpu e i metodi legali: "Il tribunale non deve eliminare il terrore; prometterlo significherebbe ingannare se stessi o ingannare gli altri; bisogna giustificarlo e legittimarlo sul piano dei principi, chiaramente, senza falsità e senza abbellimenti. La formulazione deve essere quanto più larga possibile, poiché soltanto la giustizia rivoluzionaria e la coscienza rivoluzionaria decideranno delle condizioni di applicazione più o meno lunga".
Crimini del comunismo, le radici ideologiche: Marx e Lenin teorici del terrore a cura del prof. Messeri Liceo Scientifico Statale Niccolò Copernico di Prato
Un "tribunale" di storici francesi giudica i crimini del comunismo "Il genocidio per fame? Inventato da Lenin"
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I l vero ispiratore di crimini, massacri e genocidi del comunismo e' Lenin. Un po' come se fosse all'origine di ogni male compiuto da gregari e successori. "Il suo crimine peggiore - dice lo storico Stephane Courtois - e' la carestia del 1922, dove ha deliberatamente lasciato morire di fame milioni di persone. Lenin ha donato al comunismo l'arma della fame. Il suo uso e' una connotazione dell'ideologia. Tutti i regimi rossi l'hanno adottata: in Cina con 33 milioni di morti, in Corea del Nord, in Cambogia, nel Mozambico, in Etiopia. Un'arma spaventosa: la carestia provocata".
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http://archiviostorico.corriere.it/...me_Inventato_Lenin_co_0_9711069008.shtmlshtml
Le stragi cominciarono subito dopo la presa del potere Contro i contadini Lo storico Andrea Graziosi: nelle campagne vi fu il ricorso sistematico alla presa di ostaggi, inclusi donne e bambini, e alla loro esecuzioneMolto spesso la Russia zarista viene descritta dagli studiosi come il «regno delle tenebre» ma era molto meno dispotica rispetto al regime sovietico
Q uasi novanta anni. Tanto c' è voluto perché fosse pubblicato in Italia (in autunno, da Jaca Book) il fondamentale libro di Sergej Petrovic Mel' gunov Il terrore rosso in Russia 1918-1923. Mel' gunov - scrive Sergio Rapetti in un bel ritratto a lui dedicato che compare nelle prime pagine del libro - discendente di un alto dignitario e governatore ai tempi del regno di Caterina II, collaboratore di Tolstoj (e successivamente curatore della sua opera), socialista, responsabile degli Archivi dopo la rivoluzione di febbraio del 1917, perseguitato dalla Ceka tra il 1918 e il 1922, emigrò a Praga, Berlino (dove nel ' 23 diede alle stampe la prima edizione di questo volume) e poi a Parigi, dove si stabilì definitivamente. Fu un convinto e attivo anticomunista; ma durante la Seconda guerra mondiale, a differenza di moltissimi francesi, rifiutò di collaborare con i tedeschi. Morì nel maggio del 1956, avendo avuto la fortuna di conoscere, pochi mesi prima del decesso, il rapporto sui crimini di Stalin che Nikita Krusciov aveva presentato al XX Congresso del Pcus. Il terrore rosso è stato pubblicato, come si è detto, in Germania, ma anche in Francia, Inghilterra, Spagna, Stati Uniti e un po' ovunque. Ma non in Italia, nonostante sia da tempo considerato un classico da cui non può prescindere chiunque si occupi dell' argomento. Il libro è stato scritto alla vigilia della morte di Lenin e spiega, a ridosso degli eventi, come tutte le degenerazioni del sistema sovietico siano riconducibili, appunto, a Lenin. «Gli esponenti bolscevichi», osservava già allora, all' inizio degli anni Venti, Mel' gunov, «sono soliti presentare il terrore come conseguenza della collera delle masse popolari: i bolscevichi sarebbero stati costretti a ricorrere al terrore per le pressioni della classe operaia... il terrore istituzionalizzato si sarebbe limitato a ricondurre a determinate forme giuridiche l' inevitabile ricorso alla giustizia sommaria invocata dal popolo». Niente di più falso: «È difficile immaginarsi un punto di vista più farisaico di questo», proseguiva Mel' gunov, «e si può agevolmente dimostrare, fatti alla mano, quanto tali affermazioni siano lontane dalla realtà». Ed è quel che lui fa, anticipando di decenni il giudizio sull' inscindibile rapporto tra Lenin e Stalin che poi sarà nella Storia dell' Urss (Rizzoli) di Michail Geller e Aleksandr Nekric, nei Tre perché della rivoluzione russa (Rubbettino) di Richard Pipes, ne La coscienza della rivoluzione (Sansoni) di R.V. Daniels. Se ancora oggi qui in Italia, quantomeno nella pubblicistica, è uso comune scaricare su Stalin e solo su Stalin gli orrori della Russia post rivoluzionaria, ciò è frutto anche della mancata pubblicazione di libri come questo. Nell' interessante saggio introduttivo al libro di Mel' gunov, Paolo Sensini accusa senza mezzi termini «la vulgata storiografica compiacente, fraudolenta omertosa e quasi sempre mistificante» che per anni e anni ha impedito di far luce su questi aspetti. Se la prende, Sensini, con la «favola tenacemente radicata in Occidente» secondo la quale - per dar luce alla stagione successiva «splendente» sotto la stella di Lenin - l' epoca zarista viene dipinta come «avvolta dalle tenebre». Menzogna, sostiene Sensini: nella Russia prerivoluzionaria la «società civile esisteva e stava strutturandosi anche grazie a una libertà di stampa che si estendeva ogni giorno di più». A partire dal 1912, Lenin poté far uscire per anni, legalmente e senza che nessuno ne minacciasse la chiusura, il suo giornale «Pravda», sul quale tra il maggio del ' 12 e il luglio del ' 14 apparvero ben trecento suoi articoli. Il numero delle famiglie contadine titolari di proprietà passò da due milioni e ottocentomila (pari al 33 per cento dei dodici milioni di famiglie) nel 1905 a sette milioni e trecentomila nel 1915 (pari al 56 per cento delle famiglie che nel frattempo erano cresciute a tredici milioni) con un aumento percentuale del 260 per cento in appena dieci anni. Fu lo stesso Lenin che, dopo la rivoluzione d' Ottobre, trasformò quel mondo in un incubo; Stalin fece il resto. Nel saggio introduttivo al libro da lui stesso curato, L' età del comunismo sovietico (anch' esso pubblicato da Jaca Book), Pier Paolo Poggio si sofferma sulla circostanza che «le interpretazioni sulla rivoluzione e l' Urss debbono fare i conti con una formidabile costruzione mitologica, senza pari nel corso del Novecento, affermatasi in Occidente e nel mondo, in singolare contrasto con la realtà». L' azione di Lenin e quella di Stalin vengono viste, e giustificate, quali «vettori della modernizzazione e industrializzazione, sia pure a costi spaventosamente alti». Un giudizio che secondo Poggio è da tempo «improponibile» e definitivamente «smentito dall' abbondante storiografia ormai a disposizione». Ma che resiste, osserva ancora Poggio, in virtù della «forza mitopoietica della rivoluzione russa a fronte delle continue smentite che essa ricevette da subito e poi nel corso di tutta la storia dell' Urss». È venuto invece il momento di chiamare le cose con il loro nome: dispotismo, tirannia, sterminio, genocidio, crimini contro l' umanità. Fin dai primi passi della rivoluzione. Se oggi questi termini possono essere usati anche in Italia, lo si deve in particolare agli approfonditi studi di Andrea Graziosi, il quale, nel fondamentale L' Urss di Lenin e Stalin (Il Mulino), così come nel saggio Stalin e il comunismo comparso nel libro I volti del potere (Laterza), ha messo in evidenza l' assoluta continuità tra i due «tiranni» che guidarono l' Unione Sovietica tra il 1917 e il 1953. «Stalin apprese da Lenin la gestione spietata del potere, l' uso elastico dei precetti ideologici a seconda delle circostanze», ha scritto. Leninismo e stalinismo possono essere definiti «tirannie»? Sì, risponde Graziosi: ancorché diverse («perché diversi furono i problemi che Lenin e Stalin furono chiamati ad affrontare e diversa era la personalità e la cultura del tiranno»), le si può definire in tutto e per tutto tirannie. Il culto della violenza fu tale fin dall' inizio. Già nel 1906 Lenin scriveva che per la presa del potere si doveva procedere a una guerra rivoluzionaria «disperata, sanguinosa, di sterminio».
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Lenin maestro di Stalin nella pratica del terrore