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Soffia il Rafale, perde l'Ue
Guerra fratricida sulle commesse militari all'India. Vincono i francesi, ma non è finita
Tutto già visto.
Nel giugno 1953 la giovane repubblica d’India mise il jet ai caccia scegliendo il goffo ma efficace Ouragan, progettato e costruito in casa Dassault. Ne comprò 104 in quattro anni, forse anche per dispetto agli ex colonizzatori inglesi, visto che l’omonimo Hurricane era stato uno dei loro apparecchi più tosti nel secondo conflitto mondiale. Per non sbagliarsi lo ribattezzarono Toofani, "urugano" in Hindi, e gli piacque al punto da convincerli a rinnovare la linea con un altro modello francese, il Mystere IV che collaudarono contro il Pakistan nel 1965. Parigi non li deluse nemmeno coi Mirage 2000 quindici anni dopo.
Nei quartieri che contano a Delhi se lo devono essere ricordato.
Le tradizioni aiutano. I resto lo hanno fatto la politica, i legami personali, la confusione dei rapporti industriali europei, certo la pagella delle prestazioni, per non parlare del prezzo, il più basso messo sul tavolo. C’è un calderone di ragioni dietro l’India che ipoteca 10 miliardi in una trattavia esclusiva per 126 caccia Dassault, preferendo il sinuoso Rafale all’asciutto Typhoon del consorzio Eurofighter, del quale fanno parte la tedesca Eads, la spagnola Casa, la britannica Bae Systems e la Finmeccanica. Dicono gli osservatori che l’affidabilità del mezzo, misurata "air to ground" durante la campagna libica, è stata cruciale: «Il multiruolo ha annullato un caccia difensivo». Poi è prevalsa l’azione decisa dell’Eliseo che, difficilmente, avrebbe digerito un’altra sconfitta commerciale per il paese.
In autunno il tracollo transalpino pareva scontato. Lo pensava anche Angela Merkel che scriveva all’omologo indiano Manmohan Singh complimentandosi per il suo avvenire da «quinto partner» dell’Eurofighter. Era sicura. Del resto fuori dall’Esagono nessuno aveva mai voluto volare su un Rafale. La Dassault se l’era visto rifiutare da Marocco e Brasile, era andata male anche con gli Emirati Arabi e con gli svizzeri ammaliati dalle ali svedesi. Pareva impossibile venderne anche solo uno. Soprattutto in India, paese che la guerra ce l’ha alle porte, e che da tempo occhieggia uno dei migliori jet militari del momento, il russo Sukhoi 35.
Sarkozy ha giocato la carta della disperazione, conscio che una disfatta avrebbe messo in pericolo il futuro del Rafale e minato l’indipendenza militare francese. Parigi è l’unica capitale che può dire di far tutto da sè, ha la bomba, costruisce e progetta i mezzi militari di cielo, mare e terra. Come imposto dalla dottrina gollista, pratica un individualismo della Difesa che l’oppone obliquamente agli alleati salvatori del 1945 - britannici e americani - come agli ex nemici tedeschi, con cui gioca di sponda spesso e volentieri sul fronte politico europeo. Ma industria e sicurezza sono altra storia.
In dicembre l’uomo dell’Eliseo è volato a Delhi con la casacca del piazzista di Rafale. Ha garantito il sostegno per l’accesso dell’India al Consiglio di sicurezza dell’Onu, ha promesso pieno accesso alle tecnologie nucleari. Ha pure sventolato un progetto con assemblaggio locale, dunque gravido di posti di lavoro. Deve aver giocato bene, se ora il patron Olivier Dassault, che siede nell’Assemblée eletto nello stesso partito del presidente, può festeggiare la prospettiva della prima affermazione in un appalto internazionale mai conseguita dal gruppo. Sarkò si rivenderà la gloria del «made in France» come un successo nazionale, e personale, in campagna elettorale. E lo farà pesare anche alla Nato, nella quale i transalpini non sono mai a pieno servizio.
Nel quartier generale dell’Alleanza troverà gli animi surriscaldati. Il premier britannico David Cameron, non perfettamente saldo in sella nemmeno lui, ha tuonato che farà il possibile per convincere Delhi a cambiare idea e a comprare il Typhoon: «L’Eurofighter è una aereo fantastico che va molto meglio del Rafale». Più cautamente i tedeschi fanno notare che «il contratto non è stato ancora firmato», mentre il silenzio da parte italiana appare fragoroso.
«Per l’Europa è un’occasione perduta», ammette una fonte diplomatica a Bruxelles. Il piano Eurofighter doveva essere una punta di diamante dell’industria continentale, il mezzo per sfidare i colossi americani, russi e cinesi. I francesi hanno spaccato il fronte continentale uscendo dal consorzio nel 1985 per farsi il Rafale e metterlo in competizione col Typhoon. L’effetto si è visto in India, concorrenza fratricida. Col quartetto europeo che non ha fatto squadra e non ha blandito a sufficienza Singh: si racconta che un annetto fa Londra abbia sondato Roma per scrivere una lettera congiunta a Delhi; non s’è n’è fatto nulla, anche per le ritrosie di Berlino che deve aver sbagliato i conti.
Sono stati tutti molto europei, nel senso canonico dell’Europa che si divide a un pelo dalla meta. Come visto nella crisi debitoria, il dissenso costituisce una minaccia evidente. Lockheed Martin s’è fatta avanti per piazzare altri F-35 agli indiani. Il terzo litigante attende di vedere cosa faranno gli altri due.
la stampa
Guerra fratricida sulle commesse militari all'India. Vincono i francesi, ma non è finita
Tutto già visto.
Nel giugno 1953 la giovane repubblica d’India mise il jet ai caccia scegliendo il goffo ma efficace Ouragan, progettato e costruito in casa Dassault. Ne comprò 104 in quattro anni, forse anche per dispetto agli ex colonizzatori inglesi, visto che l’omonimo Hurricane era stato uno dei loro apparecchi più tosti nel secondo conflitto mondiale. Per non sbagliarsi lo ribattezzarono Toofani, "urugano" in Hindi, e gli piacque al punto da convincerli a rinnovare la linea con un altro modello francese, il Mystere IV che collaudarono contro il Pakistan nel 1965. Parigi non li deluse nemmeno coi Mirage 2000 quindici anni dopo.
Nei quartieri che contano a Delhi se lo devono essere ricordato.
Le tradizioni aiutano. I resto lo hanno fatto la politica, i legami personali, la confusione dei rapporti industriali europei, certo la pagella delle prestazioni, per non parlare del prezzo, il più basso messo sul tavolo. C’è un calderone di ragioni dietro l’India che ipoteca 10 miliardi in una trattavia esclusiva per 126 caccia Dassault, preferendo il sinuoso Rafale all’asciutto Typhoon del consorzio Eurofighter, del quale fanno parte la tedesca Eads, la spagnola Casa, la britannica Bae Systems e la Finmeccanica. Dicono gli osservatori che l’affidabilità del mezzo, misurata "air to ground" durante la campagna libica, è stata cruciale: «Il multiruolo ha annullato un caccia difensivo». Poi è prevalsa l’azione decisa dell’Eliseo che, difficilmente, avrebbe digerito un’altra sconfitta commerciale per il paese.
In autunno il tracollo transalpino pareva scontato. Lo pensava anche Angela Merkel che scriveva all’omologo indiano Manmohan Singh complimentandosi per il suo avvenire da «quinto partner» dell’Eurofighter. Era sicura. Del resto fuori dall’Esagono nessuno aveva mai voluto volare su un Rafale. La Dassault se l’era visto rifiutare da Marocco e Brasile, era andata male anche con gli Emirati Arabi e con gli svizzeri ammaliati dalle ali svedesi. Pareva impossibile venderne anche solo uno. Soprattutto in India, paese che la guerra ce l’ha alle porte, e che da tempo occhieggia uno dei migliori jet militari del momento, il russo Sukhoi 35.
Sarkozy ha giocato la carta della disperazione, conscio che una disfatta avrebbe messo in pericolo il futuro del Rafale e minato l’indipendenza militare francese. Parigi è l’unica capitale che può dire di far tutto da sè, ha la bomba, costruisce e progetta i mezzi militari di cielo, mare e terra. Come imposto dalla dottrina gollista, pratica un individualismo della Difesa che l’oppone obliquamente agli alleati salvatori del 1945 - britannici e americani - come agli ex nemici tedeschi, con cui gioca di sponda spesso e volentieri sul fronte politico europeo. Ma industria e sicurezza sono altra storia.
In dicembre l’uomo dell’Eliseo è volato a Delhi con la casacca del piazzista di Rafale. Ha garantito il sostegno per l’accesso dell’India al Consiglio di sicurezza dell’Onu, ha promesso pieno accesso alle tecnologie nucleari. Ha pure sventolato un progetto con assemblaggio locale, dunque gravido di posti di lavoro. Deve aver giocato bene, se ora il patron Olivier Dassault, che siede nell’Assemblée eletto nello stesso partito del presidente, può festeggiare la prospettiva della prima affermazione in un appalto internazionale mai conseguita dal gruppo. Sarkò si rivenderà la gloria del «made in France» come un successo nazionale, e personale, in campagna elettorale. E lo farà pesare anche alla Nato, nella quale i transalpini non sono mai a pieno servizio.
Nel quartier generale dell’Alleanza troverà gli animi surriscaldati. Il premier britannico David Cameron, non perfettamente saldo in sella nemmeno lui, ha tuonato che farà il possibile per convincere Delhi a cambiare idea e a comprare il Typhoon: «L’Eurofighter è una aereo fantastico che va molto meglio del Rafale». Più cautamente i tedeschi fanno notare che «il contratto non è stato ancora firmato», mentre il silenzio da parte italiana appare fragoroso.
«Per l’Europa è un’occasione perduta», ammette una fonte diplomatica a Bruxelles. Il piano Eurofighter doveva essere una punta di diamante dell’industria continentale, il mezzo per sfidare i colossi americani, russi e cinesi. I francesi hanno spaccato il fronte continentale uscendo dal consorzio nel 1985 per farsi il Rafale e metterlo in competizione col Typhoon. L’effetto si è visto in India, concorrenza fratricida. Col quartetto europeo che non ha fatto squadra e non ha blandito a sufficienza Singh: si racconta che un annetto fa Londra abbia sondato Roma per scrivere una lettera congiunta a Delhi; non s’è n’è fatto nulla, anche per le ritrosie di Berlino che deve aver sbagliato i conti.
Sono stati tutti molto europei, nel senso canonico dell’Europa che si divide a un pelo dalla meta. Come visto nella crisi debitoria, il dissenso costituisce una minaccia evidente. Lockheed Martin s’è fatta avanti per piazzare altri F-35 agli indiani. Il terzo litigante attende di vedere cosa faranno gli altri due.
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