ora GIANFRANCO MICICCHE'...
CHI E' GIANFRANCO MICICCHE'
da
http://www.meetup.com/beppegrillo-97/messa...?thread=4709532
27 giugno 2002 - ESPRESSO SU POTERE MICCICHE' IN SICILIA
"L' Espresso"
Sicilia/ Dietro il potere di Gianfranco Micciché
Il Viceré
Dal ministero dell'Economia gestisce
50 miliardi di euro per il Sud. Nove sono destinati alla sua isola, dove comanda per Forza Italia. Circondato da molti amici. Chiacchierati di Peter Gomez, Marco Lillo e Stefano Livadiotti
Sono le 15 e 33 minuti del 14 giugno 2001 quando il cellulare numero 335/5682... inizia a trillare. A comporre il numero è
Mario Fecarotta, detto "l'ingegnere", arrestato il 5 giugno scorso con l'accusa di avere costituito una società occulta con Salvo Riina, figlio del grande capo della mafia Totò. A rispondere è un avvocato non ancora identificato, che usa un cellulare intestato alla Cisco Italia, azienda di facchinaggio proprietaria di alcuni bar a Roma. Il legale fa scivolare la conversazione sul progetto di un porto a Terracina. "Posso aiutarvi",
afferma per tre volte Fecarotta. "Io vi posso dare una grandissima mano per tutto quello che comporta anche un eventuale parziale finanziamento pubblico...", garantisce. E aggiunge: "Perché ora, insomma Gianfranco Micciché è proprio messo a queste...".
Quando parla del potentissimo viceministro dell'Economia, "l'ingegnere" non millanta. Leggendo le carte dell'inchiesta sulle infiltrazioni mafiose negli appalti per il porto di Palermo, si trovano ben 38 contatti telefonici (compresi diversi tentativi di chiamata non andati a buon fine)
tra Micciché e Fecarotta, che chiede ad esempio aiuto per risolvere un problema bancario, e saluta l'amico chiamandolo affettuosamente Gianfrancuccio.
Quarantott'anni, tarchiato e riccioluto, i modi spicci e una parlantina siculo-milanese, Giovanni Micciché detto Gianfranco è il coordinatore di Forza Italia in Sicilia, dove alle ultime elezioni politiche ha sgominato i concorrenti conquistando per il Polo 61 seggi su 61. Un trionfo che l'ex ragazzo di Lotta Continua al liceo classico Garibaldi di Palermo ha usato come trampolino per conquistare, da viceministro dell'Economia, la delega per il Sud. E quindi il controllo del dipartimento per le politiche di coesione e sviluppo di via XX Settembre, l'organismo incaricato di gestire i fondi strutturali europei destinati alle aree disagiate: oltre 40 mila miliardi abbondanti di vecchie lire entro il 2006, ai quali vanno sommati i finanziamenti nazionali. In tutto fa qualcosa come 98 mila miliardi di lire, 18 mila per la sola Sicilia.
Un'occasione irripetibile.
Ma anche una partita delicata.
Micciché lo sa. E adotta le cautele del caso.
Un esempio per tutti. Quando l'altro viceministro Mario Baldassarri ("Quel nano di An", lo chiama lui), d'accordo con Giulio Tremonti, ha tentato di imporre alla testa del dipartimento un uomo di Confindustria come Carlo Artusi,
Micciché s'è infuriato con Berlusconi ottenendo la nomina del tecnico Fabrizio Barca, già in carica col centro-sinistra.
Seduto su un simile tesoro, il viceré Gianfranco è diventato una potenza. Oggi è l'unico a potersi permettere di apostrofare perfino il premier Berlusconi. È successo ancora poche settimane fa in un vertice a porte chiuse, quando è sbottato lasciando tutti di stucco: "Ma che minchia, Silvio, guarda che io me ne vado e fondo Forza Sicilia".
Solo davanti a Marcello Dell'Utri, che chiama con deferenza "dottore", Micciché abbassa lo sguardo ("Non prendo una decisione senza parlarne con lui", ha ammesso).
Qualche tempo fa il coordinatore siciliano di Forza Italia è arrivato in maniche di camicia nell'albergo palermitano dove era in programma un convegno. Dell'Utri non gli ha risparmiato una pubblica lavata di testa: "Ti sembra il modo di presentarsi?".
Del resto, all'ideatore di Publitalia e poi della stessa Forza Italia Micciché deve tutto.
A presentarglielo, tanti anni fa, quando sbarcava il lunario lavorando in banca, è stato Ferruccio Barbera, amico di Fecarotta. Dell'Utri se ne invaghì e lo nominò responsabile siciliano di Publitalia. Il fatturato passò da due a 14 miliardi.
Così, venne messo alla prova a Brescia. E fece il bis. A quel punto si accorse di lui Berlusconi, che lo spedì a creare Forza Italia in Sicilia.
Da allora sono passati otto anni. Micciché non ha perso le abitudini di quand'era ragazzo. Adora tirar tardi la sera, e se passa una bella donna non risparmia i complimenti (una volta, al ristorante romano Camponeschi, rischiò la rissa con un cantante).
Ora però si può fregiare dell'incarico di docente all'Università di Reggio Calabria, lui che ha collezionato due bocciature al liceo e non si è mai laureato. Ma soprattutto è riuscito a stendere una rete di rapporti che gli consente di tenere sotto un ferreo controllo l'intera isola. Ogni volta che cala nella casa-quartier generale di fronte al teatro Politeama, inizia la processione dei suoi uomini di fiducia.
Sfila il braccio destro per gli affari, l'avvocato Gaetano Armao, ex allievo di Pintacuda che oggi può permettersi di parlare a nome di Micciché, e che così ha collezionato un'infinità di incarichi. Chiede udienza il consigliori per le questioni edilize,
Nino Bevilacqua, sul cui yacht Micciché trascorre le vacanze. Va a rendere omaggio la longa manus nella gestione politica locale,
Pippo Fallica, ex commerciante di biancheria che ora siede in Parlamento, e che ha curato la campagna elettorale nel quartiere ad alta densità mafiosa di Brancaccio. Si affaccia il sindaco
Diego Cammarata, uno che ha scalato il municipio dopo essersi visto rifiutare la presidenza del Circolo tennis Palermo.
Iscritto precedentemente
Ma chi è davvero l'uomo che in pochi anni è riuscito a conquistare un pezzo d'Italia?
Micciché è stato costretto a ripercorrere il suo esordio come luogotenente di Berlusconi in Sicilia di recente, quando ha testimoniato a Palermo nel processo che vede
Dell'Utri imputato per concorso esterno in associazione mafiosa.
In quell'occasione ha preso le distanze da una serie di mafiosi che, dopo aver fondato liste locali su ordine di
Leoluca Bagarella (all'epoca capo di Cosa Nostra), fecero confluire i loro voti su Forza Italia.
Così è tornato a fare capolino il nome di
Tullio Cannella, factotum di Bagarella e oggi pentito. Micciché ha detto di aver saputo che era mafioso e di averlo perciò evitato. Risulta però a "L'Espresso" che proprio Cannella, nel luglio del 1997, parlò con gli inquirenti di Micciché. In particolare, dei presunti
"rapporti tra il fratello del Micciché e i Graviano, in relazione a una movimentazione di capitali consentita dal Micciché, capitali destinati a finanziare l'organizzazione delle stragi del '93", si legge nel verbale secretato.
E ancora: " In relazione a tale episodio", continua Cannella, "Bagarella mi disse che Gianfranco Micciché era persona da rispettare".
Le indagini sui rapporti dei fratelli Micciché non hanno mai portato alla loro iscrizione nel registro degli indagati. Però hanno messo in luce una serie di contatti con gli organizzatori delle stragi.
La storia è questa.
Tutto parte dal tentativo del gruppo di fuoco di assicurarsi una base logistica a Viareggio.
L'incarico di reperirla viene affidato all'industriale milanese Enrico Tosonotti (il quale, secondo il settimanale "Sette", ha presentato a Dell'Utri la futura moglie Miranda Ratti; lui ha però smentito).
Intanto però servono assegni circolari per pagare l'affitto.
Cercano di procurarseli Giuseppe Vasile, fantino e figlio di un uomo d'onore di Brancaccio, e Agostino Imperatore, proprietario di un'agenzia di scommesse ippiche.
I due si rivolgono alla filiale 27 del Banco di Sicilia di Palermo, diretta da Guglielmo Micciché, fratello di Gianfranco (e neoconsigliere del Palermo Calcio). L'operazione va rapidamente in porto.
Guglielmo, driver dilettante, è infatti in buoni rapporti coi due. Li chiama gli amici del trotto.
Ma Vasile non è uno qualunque: nel suo villino a Santa Flavia, vicino a Palermo, si tenne i
l summit per pianificare gli attentati, presenti Bagarella, l'allora capo della mafia trapanese Matteo Messina Denaro (condannato per quattro dozzine di omicidi) e i fratelli Graviano, ufficiali di collegamento tra Cosa Nostra e il Nord d'Italia.
Il terzetto Vasile-Imperatore-Tosonotti non è solo una frequentazione del fratello del viceré. Lo stesso Gianfranco ammetterà di conoscere "abbastanza bene" Imperatore, e di averlo incontrato (lui dice forse accompagnato da Tosonotti) nel 1994, quand'era sottosegretario ai Trasporti. Il viceministro ha spiegato il singolare raduno con la richiesta di una raccomandazione. Anche se, interrogato lo scorso gennaio, aveva assicurato: " Non incontravo nessuno se prima non era stata fatta un'indagine per sapere chi fosse".
Le liaison tra la famiglia del viceministro e personaggi in odore di mafia rappresenta una sorta di fiume carsico che ogni tanto riemerge.
Qualche volta solo nelle chiacchiere di imprenditori indagati per mafia come Giuseppe Leone, che così descrive il rapporto tra Gianfranco Micciché e il boss di Terrasini Salvatore D'Anna: "Salvatori è amicu i Micciché... minchia avissi potutu cuntari... ma chiddu chi è quotatu chi porta a Micciché, ma poi cu stu burdellu chi c'è chi fa nnd porta nt Micciché". Leone, secondo i magistrati, sta informando l'interlocutore della possibilità del boss di incontrare il politico, ma non in quel momento perché sono in corso indagini.
Un altro imprenditore siciliano, Lorenzo Rossano, metterà a verbale: "Circa il Micciché, ricordo che Pino Mandalari (massone e commercialista di fiducia dei corleonesi, condannato per mafia, ndr) non lo considerava granché e diceva testualmente: "È stato voluto da personaggi importanti, ma non vale niente".
Quando parlo di personaggi importanti", specifica Rossano, "mi riferisco a personaggi di spessore mafioso". E ancora:
"Ricordo di aver capito il peso di Micciché dalla deferenza con cui veniva trattato da persone del calibro di Franco Madonia, Onofrio Greco e Bino Catania". Vale la pena ricordare che lo stesso Micciché ha ammesso di essere stato portato dal fratello Guglielmo a pranzo con un Madonia, in seguito arrestato.
Qualche volta i punti di contatto con gli ambienti mafiosi sono più diretti, anche se mai riconducibili in prima persona al viceministro. Come nella vicenda del complesso alberghiero siciliano di Torre Makauda. La quota di maggioranza era intestata all'imprenditore Giuseppe Montalbano, figlio di un esponente di spicco dell'allora Pci. Secondo i magistrati, di fatto era nella piena di-sponibilità della mafia, che ci nascondeva i suoi latitanti (Salvatore Di Gangi, per esempio). Così, è scattato il sequestro. Ed è venuto fuori che un pacchetto di minoranza era all'epoca nelle mani di quella che sarebbe diventata la seconda signora Micciché e del di lei padre Roberto Merra.
e ancora.....
I carabinieri ricostruiscono la vicenda di Alessandro Martello
"Nelle intercettazioni telefoniche si parla del viceministro"
Droga al ministero, i verbali
"Cocaina consegnata a Miccichè"
Ma l'accusato si difende: "C'è qualche deviato nella polizia"
ROMA - Poche righe scritte con lo stile burocratico delle carte giudiziarie per dire che la persona alla quale
Alessandro Martello aveva consegnato la cocaina al ministero delle Finanze dovrebbe essere il viceministro Gianfranco Miccichè. Lo testimoniano anche le intercettazioni telefoniche. I carabinieri non hanno dubbi: quel giorno nel palazzo di via XX settembre il collaboratore nella campagna elettorale siciliana di Forza Italia, il "conoscente" (come lo ha sempre e solo definito Miccichè), l'uomo che entrava e usciva senza che nessuno lo fermasse stava portando droga al viceministro.
Ecco le parole dell'informativa consegnata alla procura della Repubblica di Roma: "Circa l'individuazione della persona alla quale Alessandro Martello ha consegnato la cocaina, l'attività informativa posta in essere ha permesso di ipotizzare che questi possa identificarsi verosimilmente in Gianfranco Miccichè, nato il primo aprile del 1954, sottosegretario di Stato all'Economia e finanze. Comunque anche questa volta la consegna è avvenuta all'interno di un edificio e quindi si è stati impossibilitati ad assistere alla cessione".
Un'ipotesi che secondo gli investigatori sarebbe suffragata da un'intercettazione di un colloquio telefonico tra Luca Antinori e Massimo Galletti, due delle persone arrestate, che "è intercorso subito dopo che quest'ultimo ha consegnato la droga, che Antinori ha poi portato direttamente a Martello". Nella conversazione riportata Antinori, facendo riferimento alla consegna fa un riferimento al "viceministro".
Miccichè, in un'intervista al Tg2, si è difeso attaccando: "Sicuramente all'interno di qualche organo di polizia c'è qualche persona deviata che sta puntando a ottenere risultati diversi da quelli che il suo contratto d'onore con l'Arma gli aveva fatto prendere".
Nella deposizione spontanea resa di fronte ai magistrati da Miccichè "non c'è stato assolutamente alcun riferimento" all'informativa, precisa lo stesso viceministro. "La procura, nell'ordinanza di custodia che aveva fatto per le persone implicate non aveva fatto praticamente riferimenti precisi proprio perché non li riteneva verosimili. Il comportamento della procura -osserva - mi sembra molto corretto".
Eppure i verbali dei carabinieri raccontano un'altra storia: "La conferma dell'avvenuta vendita di un congruo quantitativo di cocaina (verosimilmente 20 grammi), con il successivo passaggio alla "personalità", si ha alle ore 22 e 27, dello stesso giorno quando Antinori cerca di contattare Martello che è però irreperibile". Antinori cerca Martello per avere notizie sulla riscossione dei soldi della vendita. Una ricerca spasmodica che è dimostrata anche dal messaggio che Luca Antinori lascia sulla segreteria telefonica di Martello: "Alessà hai superato i limiti. Te li porto a casa e lui te sfonna il c... a te e agli amici tua!!!" I carabinieri spiegano: "Antinori è evidentemente preoccupato del fatto che, a sua volta, dovrà procedere in tempi ristretti al pagamento della partita di cocaina verso i suoi fornitori, che non ammettono evidentemente ritardi".
E in un altro messaggio, lasciato sempre sulla segreteria telefonica di Martello, sollecita: "Bisogna dare i soldi a quello che è incazzato!". Il giorno successivo, i carabinieri annotano: "Molto probabilmente il pagamento da parte di Martello, nelle mani di Antinori, è avvenuto il giorno dopo...in un bar sito in piazza Campo dè Fiori..."
Nel corso di un'altra conversazione intercettata tra Antinori e Martello del 12 aprile si torna a parlare del "capo" del giovane palermitano. Miccichè ha sempre ribadito che non ci sono rapporti professionali tra lui e Martello. Quest'ultimo risponde: "Non lo so perché e partito, sta a Palermo (la città di Miccichè ndr), infatti i soldi li ho dovuti mettere io". I carabinieri commentano: "Si chiarisce, in tale dialogo, che la droga era destinata al 'capo' di Alessandro Martello. Si percepisce altresì che tale superiore in quei giorni si trova a Palermo e che il denaro è stato anticipato, per lui, dallo stesso Martello".
E ancora: "Il fatto che il giorno 10 aprile 2002 Martello è stato visto entrare all'interno del ministero dell'Economia e delle Finanze senza essere in alcun modo fermato per l'identificazione da parte del personale di servizio preposto, fa dedurre che in quel luogo questi è conosciuto".