Economia USA in RECESSIONE?

Piano Bar : Quadro Tecnico del 2017-02-26
Piano Bar : Quadro Tecnico del 2017-02-26

In Lombardreport.com 27/02/2017 10:14 di Virginio Frigieri
...vicini ad una correzione... .

Piano Bar di Virginio Frigieri

Quadro Tecnico del 26 Feb. 2017

IL Dow Jones ha chiuso al rialzo per l'undicesimo giorno consecutivo mettendo a segno la striscia più positiva degli ultimi 30 anni. Ci fu una striscia di 13 risultati consecutivi a Gennaio del 1987. Questi eventi non si verificano in modo casuale ma in punti specifici del modello d'onda:

  • 1) poco dopo l'inizio di un'onda 1 o di un'onda A
  • 2) in mezzo ad un onda 3
  • 3) poco prima della fine di un'onda 5 o di un'onda C
Come accade per ciascun indicatore, il contesto è fondamentale.
Una strappata al rialzo dopo un lungo declino o anche un ribasso tagliente è "bullish" in quanto indica che tutti i venditori sono stati soddisfatti o per dirla in altra parole non c'erano più venditori a quei prezzi per cui il mercato può solo salire anche senza motivazioni particolari.
Le stesse tirate al rialzo dopo un lungo rally rialzista del mercato sono "bearish" perchè ormai tutti i possibili acquirenti hanno comprato e sono impegnati.
Quando però queste tirate accadono in piena onda 3 i rialzi sono in genere accompagnati da forti motivazioni tecniche e da volumi sostenuti (la tirata di gennaio 1987 era nel pieno di un'onda 3 iniziata a settembre '86).
Una strisciata analoga però può verificarsi nella fase terminale di un mercato toro quando gli investitori insistono a cavalcare la tendenza pre-esistente e comprano tutto quello che sale.

Venendo alla situazione attuale va notato che quattro delle ultime sei sedute, sono state accompagnate da un advance/decline ratio negativo, ovvero sono più i titoli che hanno chiuso al ribasso che quelli che hanno chiuso al rialzo. Inoltre nelle ultime sei sedute tre hanno visto l'indice di fiducia dei giornaliero salire oltre il 91%. In sostanza, nonostante il rabbioso ottimismo degli investitori, questi massimi si realizzano in un mercato internamente debole e questa situazione è coerente con un'onda 3 di grado minor che se non è al capolinea è molto vicino alla conclusione. Detto questo può darsi che il Dow continui a spingere più in alto ancora qualche giorno fino ai primi di marzo, ma le probabilità ormai favoriscono un correzione di grado minor che andremo ad etichettare come onda 4 di grado minor all'interno di una (5) di grado intermedio.
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Rendimenti e Prezzi dei T-Bond


Dollar Index e EUR/USD:

Oro e Argento:

alla prossima.



Virginio Frigieri
 
Wall Street è cara? Sì, ma no
Gaetano Evangelista Ad Age Italia
giovedì 23 marzo 2017
Wall Street è cara? Sì, ma no - ITForum News

Il Toro si arrampica su un muro di paura.
È un vecchio adagio che negli ultimi otto anni ha trovato magnifica conferma: quali e quanti spauracchi gli investitori hanno incontrato davanti al loro cammino, in questo eccezionale bull market che ha fatto la felicità di chi non ha mai letto il giornale per informarsi sugli eventi?

È ragionevole ritenere che il secondo bull market più prolungato della storia si esaurirà… quando finiranno le cattive notizie: quando il futuro apparirà roseo, quando non ci saranno più incertezze che freneranno gli investitori, quando ogni remora sarà messa da parte per abbracciare l’immancabile paradigma che ogni decennio offre.

Non sia mai che le cattive notizie si esauriscano! Anzi, per non correre rischi, facciamo risuonare noi la campanella dell’allarme: dopotutto, chi questo rialzo l’ha cavalcato sin dall’inizio, avrà buoni motivi per parlarne, no?

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Eccovi serviti! Secondo le stime di Standard&Poor’s, negli ultimi dodici mesi le aziende dello S&P500 hanno ammassato profitti per 101 dollari per azione.

Calcolando il monte utili complessivo degli ultimi dieci anni, e rapportando il dato alla quotazione corrente, si ottiene un multiplo maligno: 31 volte e mezza.

Perché maligno? Perché un Price/Earnings, calcolato in questa maniera, prima d’ora è stato toccato in sole altre due occasioni: a settembre 1929 e giugno 2007. Non serve ricordare cosa sia successo subito dopo…

Ah, anche a dicembre 1996 il P/E decennale raggiunse l’asticella della morte ma, si sa, eravamo in tempi di “esuberanza irrazionale”, e Wall Street si fece beffe di quel monito. Tutti a vendere, dunque?

Piano. Nessun analista serio elabora una previsione sulla base di una casistica ristretta a tre osservazioni, delle quali oltretutto soltanto due sono state positive, per un fattore di successo del 66.6% che a ben vedere non è così eclatante.

C’è un altro aspetto da considerare.
Osservando con distacco la figura in alto, si scorge una tendenza storicamente ascendente: massimi e minimi di P/E si registrano su livelli via via più elevati.
A tal punto che tutte le rilevazioni storiche finiscono per essere ben racchiuse da un canale (di regressione lineare):

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Una prospettiva interessante: il P/E decennale ha conosciuto negli ultimi cento anni visualizzati soltanto quattro eccessi; uno ogni venticinque anni, vale a dire pressappoco uno ogni generazione. Ha segnalato un eccesso fondamentale di lungo periodo sul finire degli anni Venti e negli ultimi anni dello scorso secolo; di converso, è scivolato al di sotto della parete inferiore del canale ascendente storico nel 1932, nel 1974, nella prima parte degli anni Ottanta e nel 2009; quali straordinarie opportunità di investimento!

Sotto questa prospettiva, l’attuale valutazione si colloca nella parte superiore del range storico; ma non (ancora) in territorio di bolla: le quotazioni dello S&P dovrebbero salire di un ulteriore 10%, prima che risuoni il campanello d’allarme. E sempre che nel frattempo il monte utili non cresca.

Senza dubbio gli attuali fondamentali inducono a formulare proiezioni non così generose, in termini di ritorno complessivo, da qui a dieci anni; ma non autorizzano ancora il disimpegno dal listino azionario, in ottica strategica. E poi, i fondamentali non sono tutto. Altrimenti, chi avrebbe bisogno degli analisti tecnici?
 
Borse in odore di correzione? La variabile chiave è l'oro
Davide Pantaleo, PUBBLICATO: 24 marzo 17:00
Il dollaro ha perso terreno rispetto allo yen e all'euro. Come valuta questo arretramento e cosa si aspetta nel breve per questi due cambi?

Quando analizzo il dollaro lo faccio per comprendere se a livello intermarket si mantiene la correlazione dollaro forte-Borse forti, quindi la partenza di questa analisi odierna ha tale motivazione.
Qualche giorno fa in particolare da parte del dollaro-yen c'è stato un segnale di debolezza abbastanza profondo, ricordando che questo cambio ha perso ormai quais cinque figure dai massimi di marzo.

Tre giorni fa è stata ceduta anche area 112 che era una sorta di baluardo difensivo potenzialmente importante. La rottura di questo livello è avvenuta con una certa facilità e a mio avviso si tratta di un segnale da non trascurare. La mia sensazione è che a prescindere da una fase un po' "drogata" sui mercati azionari, il contesto intermarket stia segnalando un dollaro in fase di indebolimento un po' contro tutte le valute.

Se funziona ancora il concetto dollaro forte-Borse forti, non posso non pensare che il caso di Piazza Affari, che continua a tenere molto bene, sia un caso isolato.
La debolezza del dollaro si è riverberata immediatamente su due altre variabili:
da un lato sull'oro, bene rifugio e correlato inversamente al dollaro,
dall'altro sull'S&P500 che ha registrato una discesa abbastanza sostanziosa se confrontata al recente passato.

Sono dell'avviso che il dollaro abbia innestato la retromarcia e questo porterà ad una rivalutazione dell'euro verso area 1,1/1,102, e non credo che, salvo reazioni eccezioni come quella di Piazza Affari, i mercati azionari abbiano ancora molto spazio di salita.

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Guardando ai livelli il dollaro-yen è atteso ad un ri-test di quell'area statica alla cui rottura si è generata un'accelerazione ribassista. A mio avviso va valutato bene se il dollaro-yen potrebbe ritestare area 111,8 dove dovrebbe avviarsi un nuovo movimento ribassista, quindi dovrebbe trattarsi di un pull-back.
Un pieno recupero di area 112 andrebbe ad invalidare questo scenario e ridarebbe forza al dollaro, ma onestamente in questo momento sarei sorpreso se ciò accadesse.

Sse questo pull-back dovesse funzionare, proverei ad entrare short sul dollaro-yen in area 111,8, con uno stop sopra 112,1, con una discesa graduale verso area 106 .
Un rafforzamento così forte dello yen creerebbe seri problemi al Nikkei che è uno degli indici che ha performato negativamente negli ultimi giorni, assecondando l'irrobustimento della valuta nipponica visto che ciò svantaggia le esportazioni da cui il Giappone dipende in maniera estrema.



Se questa dinamica dovesse confermarsi, vedo un euro-dollaro proiettato verso la prossima resistenza rappresentato da area 110 abbandonante. Non si tratta di un ostacolo particolarmente significativa, ma è l'unica che si può vedere sui grafici tecnicamente parlando.
Va evidenziato che se mi aspetto un potenziale pull-back sul dollaro-yen, vuol dire che su questo cambio c'è ipervenduto
e quindi ipercomprato. sull'euro-dollaro.
Non sarei sorpreso di vedere piccoli segnali di rallentamento, ma la tendenza primaria mi sembra innescata in favore di un ulteriore indebolimento del dollaro.




Prosegue il recupero dell'oro che si spinge nuovamente ad un passo dalla soglia dei 1.250 dollari l'oncia. Prevede ulteriori progressi per il gold?
In questo momento sarei davvero sorpreso se non venisse raggiunto un target a 1.295 dollari che più volte abbiamo definito strategico sul grafico dell'oro e mi riferisco al test della resistenza dinamica che ha resistito sia alla Brexit che all'elezione di Trump.
Se l'oro riuscirà a superare i 1.295 dollari l'oncia personalmente scapperei a gambe levate dalle Borse, perchè la rottura del livello appena segnalato andrebbe a santificare la debolezza del dollaro.

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Il petrolio ha avviato un timido recupero dagli ultimi minimi ma si mantiene per ora al di sotto dei 48 dollari al barile. Cosa può dirci di questa commodity?

Sul petrolio negli ultimi giorni ho imparato a fare un po' di analisi di breve, perchè mi sembra l'approccio meno pericoloso per questo asset notoriamente molto volatile.
Nel breve l'oro nero sta tentando una piccola inversione che se dovesse funzionare con una chiusura sopra i 48,6 dollari, porterebbe le quotazioni quasi sicuramente in area 51 dollari.

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In questo momento smetterei di posizionarmi al ribasso sul petrolio, provando piuttosto ad accumulare, tanto che straordinariamente rispetto alla mia storia ho raddoppiato proprio ieri la posizione su un titolo petrolifero. Questo a dimostrazione del fatto che a prescindere dal quadro di lungo termine, nel breve mi aspetto un tentativo di inversione che in maniera molto prudente limito ad area 51 dollari.

E' evidente che in caso di rottura del minimo di ieri, la previsione di un recupero sarà completamente sbagliata, ma già l'apertura di oggi sembra mostrare la volontà di tentare una piccola inversione.
In sintesi il petrolio è da comprare sui livelli attuali, con stop sotto 47 dollari e target a 51 dollari.



Alla luce di quanto evidenziato fino ad ora, cosa si aspetta per le Borse?

Per la prima volta dopo tanto tempo abbiamo rivelato una correzione dell'S&P500 abbastanza consistente e questa flessione, a differenza di altri contesti del quadro intermarket che non segnalava situazioni particolari, è accompagnata da degli alert abbastanza interessanti.

La mia sensazione è che per l'S&P500 possa diventare una correzione degna di nota, ma la conferma di quanto possa essere profonda viene da una sola variabile in questo momento e si tratta dell'oro che al momento è l'asset che comanda.
L'S&P500 ha violato area 2.370 e a mio parere ha spazio di correzione almeno fino ai 2.200 punti, il raggiungimento della quale manterrà comunque l'indice in un trend pienamente rialzista.
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Sono curioso di vedere cosa succederà allorquando il gold dovesse testare area 1.295 dollari, perchè questa resistenza è così straordinaria e così evidente che son convinto che tutti la stiano considerando.
Se l'oro arriverà a 1.295 dollari e si ferma, allora l'azionario riprenderà a correre, ma se dovesse superare il suddetto livello sarà bene scappare dalle Borse e dal rischio in generale.
 
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La borsa prezza la perfezione (I Parte)

di Charlie Minter - 13/03/2017

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Il Trump rally, iniziato durante la notte elettorale dello scorso 8 novembre, ha portato le quotazioni a prezzare la perfezione. I fondamentali stanno migliorando e il proposito del presidente Trump di tagliare le imposte, rivedere le normative e stimolare la crescita con maggiori investimenti pubblici, non fanno altro che aggiungere benzina sul fuoco. Ci sembra che ormai ogni possibile beneficio sia stato scontato, nell’ambito di un clima senza precedenti in tutta la storia degli Stati Uniti d’America.
Oltretutto, non è affatto scontato che Trump otterrà dal Congresso tutto ciò che desidera.
Lo scenario più benigno è già stato scontato dal mercato, ma se ci sarà resistenza all’approvazione dei progetti di riforma, o ritardi di qualsiasi tipo, la borsa ne risentirà.
Nei prossimi giorni gli USA dovranno rivedere il tetto al bilancio federale, e non crediamo che Wall Street se ne sia ancora accorta. Con un debito già alle stelle, e con tassi di interesse crescenti, non crediamo che i falchi fra i repubblicani, che da anni si battono per contenere il deficit, si daranno da fare per mostrarsi indulgenti su questo fronte, in assenza di contestuali tagli alle spese. Senza considerare che l’opposizione democratica non si risparmierà.
Per cui la Trumponomics che il mercato considera un dato di fatto, sarà nella realtà molto più difficile da conseguire.
La Fed noncurante continua a promuovere l’idea di tre aumenti dei tassi nel corso dell’anno. Pensiamo che la banca centrale stia giocando col fuoco, dal momento che il colosso da 20 trilioni di dollari, è debito a breve scadenza, con una cedola media di poco inferiore al 2%, senza considerare le passività fuori bilancio che aggiungono 100 trilioni al conto, e che metteranno il Tesoro e la Federal Reserve in seria difficoltà, quando i tassi di mercato rispecchieranno la normalizzazione della politica monetaria. Senza considerare che il surriscaldamento in atto del mercato del lavoro, con effetti peraltro negativi per i margini di profitto, la Fed fronteggia un contestuale aumento indesiderato dei prezzi al consumo.
 
La borsa prezza la perfezione (II Parte)
di Charlie Minter - 15/03/2017

TheImg.asp
Come sanno i nostri lettori, siamo dell’avviso che un debito elevato sia un fattore frenante della crescita economica. Più volte abbiamo rilevato che otto anni di tassi di interesse prossimi allo zero hanno provocato una lievitazione artificiosa delle attività finanziarie.

La Banca Centrale Europea e la Bank of Japan hanno replicato l’esperienza americana, facendo anche di più: promuovendo tassi di interesse negativi.
La BoJ è arrivata a comprare azioni, gonfiando ulteriormente la bolla speculativa.
Per non parlare della nuova superpotenza mondiale, la Cina, a sua volta in una bolla persino superiore per proporzioni a quelle occidentali. Sebbene Trump abbia accusato Pechino di manipolare il cambio, la realtà è opposta: difatti un cambio debole non farebbe altro che esacerbare i problemi, fra cui la fuga di capitali. Ecco perché la Cina cerca di rafforzare lo yen.

Alan Greenspan cerca di spiegare che stiamo passando dalla stagnazione alla stagflazione.
Ad inizio ciclo, margini di profitto e borse crescono man mano che l’inflazione guadagna impeto. Ma non va avanti per molto, perché ad un certo punto subentra il problema di una crescita deludente della produttività. Man mano che la nostra nazione invecchia, non avremo l’afflusso di baby boomer che entrano nella forza lavoro, come occorso negli anni Ottanta e Novanta. Al contrario, queste persone comporteranno un peso crescente per il sistema sanitario e previdenziale. Questo vuol dire assorbimento di risparmio, che non sarà destinato ad investimenti produttivi. Sottoscriviamo questa tesi: i problemi resteranno fino a che non avremo altri lavoratori che entreranno nel circuito economico. Certo, i flussi migratori allenterebbero la pressione, ma porterebbero nuovi problemi.

Per ciò che concerne le valutazioni, la nostra misura preferita è il Price/Earnings calcolato con gli utili effettivi “GAAP”.
Al 24 febbraio risulta che i profitti delle compagnie dello S&P500 ammontino a 96 dollari: corrisponde ad un P/E di 24.7 volte. Non crediamo che una crescita reale del 2% giustifichi tale sopravvalutazione. Le stime dell’agenzia Standard&Poor’s suggeriscono che nei prossimi due anni gli EPS cresceranno di poco meno del 17% all’anno: un’ipotesi generosa, a dir poco; ma anche se così fosse, il P/E convergerebbe a 18 volte gli utili. Sempre costoso, in prospettiva storica. E quand’anche così fosse, bisognerebbe concludere che tassi di interesse e inflazione siano destinati a salire: e dal momento che gli utili sarebbero capitalizzati con un tasso crescente, il problema per il mercato emergerebbe in tutta la sua evidenza.

In conclusione, la borsa sta vivendo in una bolla che le speranze e i sogni post-elettorali hanno soltanto malcelato. La maggiore crescita, auspicata abbattendo regolamentazioni e minori imposte, stride in confronto all’inflazione delle attività finanziarie resa possibile dalle politiche della Fed. Sotto questa prospettiva non ha alcuna importanza il nome del presidente degli Stati Uniti: debito e demografia agiscono a sfavore, e un bear market di proporzioni epiche cancellerà tutti questi eccessi.


https://www.smarttrading.it/default.asp?idContenuto=8208
 
Usa, Morgan Stanley: divergenza clamorosa nei dati
Daniele Chicca


C’è un altro tipo di Spread da tenere d’occhio, diverso da quello tra i titoli di Stato sovrani dei paesi più e meno virtuosi. A fare luce sul fenomeno sono stati gli analisti di Morgan Stanley, i quali hanno scoperto un particolare preoccupante sulla prima economia al mondo. Esiste in questo momento una divergenza clamorosa tra i dati macro reali della potenza americana e le previsioni e i numeri soggetti a libere interpretazioni.

Come si vede bene nel grafico sotto riportato, i risultati positivi appaiono concentrati quasi esclusivamente nei dati ‘soft’ mentre i dati macro ‘hard’ sono semplicemente in linea con le attese, senza grandi sorpresa positive. Nell’ultima riunione di politica monetaria la Federal Reserve, per esempio, non ha ritoccato di molto le sue previsioni sull’economia. I dati pubblicati sinora sono a tutti gli effetti in linea con le stime della banca centrale per il 2017.



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Se si mettono a confronto i gap tra dati soft e hard negli anni passati, ossia tra la situazione percepita e quella reale, si scopre che la divergenza è da record. Può darsi che i numeri finiranno per coincidere. Un rimbalzo del Pil nel secondo trimestre sarebbe interpretato come una virata dei dati reali verso le previsioni. L’appetito per il rischio in quel caso troverebbe una nuova fonte di ispirazione sui mercati.

Dal punto di vista di un economista, dice Morgan Stanley, ci si può aspettare una crescita del 2% dell’economia, “ma l’impatto del rimbalzo del secondo trimestre sarà relativamente limitato” e condizionato a pochi elementi, con un miglioramento dei consumi che sarà il fattore principale dietro alla crescita del periodo aprile-giugno. “Aiuteranno anche un profilo dell’offerta e un’attività commerciale leggermente migliori”.

Di conseguenza “se gli elementi catalizzatori della ripresa del secondo trimestre rimangono circoscritti a pochi settori specifici” e non sono invece generalizzati, “non ci attendiamo necessariamente una sorpresa positiva degli indici” in futuro. Come sottolineato già in precedenza, il problema per chi è ottimista e vede una buona performance di economia e mercati, è che storicamente le ultime cinque volte che un gap tra la realtà percepita e la realtà vera e propria dell’economia era così alto, l’indice S&P 500 ha vissuto un periodo difficile dopo, con cali dell’ordine del 6-19%:

  • Luglio 2007 -12%
  • Giugno 2009 -9%
  • Aprile 2010 -17%
  • Marzo 2011 -19%
  • Novembre 2014 -6%


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Usa, Morgan Stanley: divergenza clamorosa nei dati | Wall Street Italia
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lusvalenze senza volatilità: il migliore dei mondi!

È incredibile come i media continuino a citare le profezie strampalate di Marc Faber, malgrado il pessimo track record di questo investitore. Eppure, basterebbe una superficiale ricerca (10 maggio 2012: «We Could Experience A 1987-Style Crash This Year»; 11 aprile 2014: «This will be the worst since '87»; 30 aprile 2015: «Stocks are about to fall 40%—at least!»; 26 gennaio 2016: «Market Crash Will Rival 1987's Massive Drop»; 9 agosto 2016: "S&P is set to crash 50%») per accorgersi da un lato della casualità della corretta predizione del crash di trent'anni fa; dall'altro della corresponsabilità dei media, che prestano ascolto a chi in questi nove anni ha completamente sbagliato strategia, facendo perdere agli investitori denaro e opportunità.

Come se il muro della paura, sul quale si arrampica brillantemente il Toro, abbisognasse di ulteriori mattoni. Per restare nel mondo animale, il rischio è che l'Orso faccia la fine... della rana bollita. A nessuno sfugge la moderazione con cui Wall Street progredisce e consegue ulteriori massimi storici. Compresa quella di ieri, nell'ultimo anno le sedute in valore assoluto dal saldo non superiore allo 0.5% sono state ben 197! Ciò malgrado, Wall Street è salita del 20%, senza peraltro considerare i dividendi.

È evidente che questo costituisca il migliore dei mondi per gli investitori, che possono contare su una crescita costante del capitale, senza eccessiva volatilità. Al contempo, questo contesto non incoraggia il coinvolgimento del denaro parcheggiato in fondi monetari e obbligazionari. Senza considerare che l'unico precedente postbellico simile a quello corrente, risale al 1964: il che è di buon auspicio, visto che quella circostanza favorì diversi mesi di ulteriore crescita delle quotazioni azionarie.


Articolo a cura di Gaetano Evangelista
 

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