Alla cortese attenzione di Tashtego

Ma il motivo per cui Rotondi ha citato Sullo è un altro e riguarda le false indiscrezioni che stanno girando da quando ha presentato i DiDoRe. A Sullo, infatti, capitò la stessa cosa all'inizio degli anni Sessanta. Sullo era ministro dei Lavori pubblici e varò una riforma urbanistica molto avanzata che toccava gli interessi fondiari di poche migliaia di proprietari, soprattutto nella Roma vaticana.
Alberto Di Leo e Alessandro Beulcke - Copyright Pizzi Contro di lui, allora, la destra clericale dc e missina scatenò una violenta campagna. Sullo fu definito comunista e omosessuale e gli articoli più velenosi li scrisse Gianna Preda sul Borghese: «Ho rivisto il basista Fiorentino Sullo, dopo le sue dimissioni. Aveva ritrovato la consueta scontentezza che però, nel suo viso di latte e di rose, non riesce mai a sembrare ribellione. Soltanto per un attimo ho visto ravvivarsi quel volto corrucciato. E' accaduto quando l'autista, un giovanotto bruno e piacente, gli si è avvicinato chiamandolo confidenzialmente per nome. In quel momento, notai che gli occhi di Sullo brillavano, teneri e vivi. Rievocando quel fuggevole episodio, provo ancora oggi un senso di imbarazzo: come se fossi stata testimone di qualcosa che non avrei dovuto vedere».
Mezzo secolo dopo, Rotondi - che quando è tornato in Irpinia dopo il giuramento da ministro per prima cosa è andato sulla tomba di Sullo a Torella dei Lombardi - rischia lo stesso destino del suo maestro. Dice Rotondi: «Sullo non era gay ma quelle voci fecero affossare la sua legge»
 
C’è il pericolo che il malessere sia ridotto alla questione di un corpo da curare, ad opera di specialisti che usano il loro sapere come soluzione proveniente dall’esterno, escludendo così il significato del sintomo come risposta alle questioni pulsionali.
Il soggetto diviene assoggettato allo scopo dell’Altro.
In questo modo il sintomo offre alla persona un’identificazione, le permette di esistere come soggetto ma senza una sua specificità, scontando inoltre il prezzo della sofferenza.
Oggi l’uomo si trova immerso in una società in cui è presente una progressiva esclusione della morale e dei principi universali, in una regolazione del godimento che diventa una ricerca di oggetti che riempiono, che fanno da “tappo” alla perdita.
Ogni società ha il suo tipo di sintomo, ad esempio all’epoca di Freud la pulsione era qualcosa di difficile da contenere, in contrasto con le repressioni morali operate dalla società.
I nuovi sintomi d’oggi si collocano invece proprio dove l’Altro permette di assumere una maschera.
 
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E’ sottratta la funzione edipica del Nome-del-padre che immette l’interdizione a mangiare il Cibo-Madre, operando una separazione dalla madre e una sottrazione di godimento che permette il sorgere del desiderio nel soggetto, che è quella mancanza che si caratterizza come “mancanza a essere”, proprio a causa di quest’operazione di sottrazione.
Mentre per Heidegger il vuoto era in relazione al fatto di “esserci o non esserci”, per Lacan il vuoto è una mancanza che deriva dalla sottrazione di godimento, riguarda una perdita.
Il tabù insito in questo meccanismo è quello che non si può mangiare tutto, ci sono cose “buone” e altre no, non si può divorare l’altro, non si può mangiare la Cosa.
Proprio questo tabù è mancante del discorso anoressico-bulimico:
l’anoressica non mangia niente, “mangia il niente” come dice Lacan, si sottrae alla tavola dell’Altro, mentre la bulimica mangia tutto in modo indifferenziato e senza l’Altro, per poi eliminarlo evidenziandone l’inconsistenza.
Queste pratiche sono svolte solitamente in privato, per sottrarsi alla legge della convivialità che rende evidente la perversione di questo meccanismo.
Per questo tipo di patologia l’evidenza è che il Cibo-Madre è solo parzialmente perduto, perché c’è un difetto della funzione della legge paterna che rende possibile un immaginario rapporto fusionale con la madre divorante, la “madre coccodrillo” di Lacan. Il discorso anoressico-bulimico mira a mangiare proprio il vuoto della Cosa, il fantasma del seno materno, l’oggetto della pulsione.
L’influenza dei fattori sociali va quindi oltre la semplice influenza dei mass media. La società contemporanea si presenta, infatti, debole della legge paterna, funzione che permette l’esistenza della mancanza e quindi del desiderio, che può esistere solo perché qualcosa è stato perso.
Nella società attuale manca proprio questo elemento, essendo pervasa dall’illusione che tutto si può, anzi si deve cercare di avere ed apparire, con un’adesione che rende l’individuo serializzato.
 
Il desiderio per sua natura si pone “al di qua” della domanda, perché in quanto mancanza a essere non può essere saturato con la soddisfazione del bisogno, infatti, il desiderio è quello di mancare all’Altro
 
Allo stesso modo, nella bulimia c’è la ricerca di compensare la carenza d’amore dell’altro, inglobando compulsivamente l’oggetto reale identificato col cibo
 
il discorso anoressico-bulimico si esprime tramite la via estetica e la via morale.


“… Devo assolutamente andare da mia madre, farle le pulizie e la spesa … Poi devo sbrigare le faccende a casa mia; dovrei fare il bucato e stirare …
 
È la crisi bulimica che mostra l’esistenza inestinguibile della pulsione. C’è in questa posizione un’identificazione completa col fallo immaginario, che porta con sé l’evidenza della dipendenza dal cibo materno, una pulsione senza desiderio perché l’Ideale è stato infranto. Questa fame smisurata è provata anche dall’anoressica, che però riesce a controllarla. È un godimento che anela a mangiare tutto fino ad inglobare il reale pulsionale, perché è privo del limite che può essere imposto solo dalla Legge.
 
Nell’anoressia-bulimia lo sguardo della madre, che permette al bambino di riconoscere la sua immagine, non è stato uno sguardo gratificante e simbolico, ma giudicante.
 
In quello sguardo c’è stato qualcosa che non avrebbe dovuto esserci, qualcosa di troppo o troppo poco che il soggetto cercherà di livellare. L’immagine di se che il bambino si forma è, infatti, strettamente correlata a quella che i genitori gli rimandano.
 

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