Il comportamento mite del capibara e la bontà delle sue carni hanno indotto le popolazioni intorno al fiume
Paraná, nel
Brasile meridionale, in
Uruguay e nell'
Argentina settentrionale, a catturarlo per servirsene come animale da compagnia e occasionalmente per cibarsene. La sua carne è simile a quella del
maiale per aspetto e sapore. Viene anche cacciato per la pelle e le setole, usate in pelletteria.
Nel
XVIII secolo la
Chiesa cattolica, per venire incontro alle esigenze degli
indios del Sud America, decise di omologare la carne di capibara al pesce e di consentirne il consumo durante la
Quaresima. Il pretesto di una tale decisione fu la considerazione che il capibara passa la maggioranza del suo tempo in acqua, tuttavia le ragioni di una tale decisione furono eminentemente politiche. I capibara venivano infatti cacciati dai coloni europei perché devastavano le piantagioni, senza però che fossero utilizzati o consumati in alcun modo: il pelo è troppo rado per farne pellicce, le pelli troppo spugnose, la carne grassa ed insipida. Tuttavia erano apprezzati dagli indios, che li avevano sempre cacciati per cibarsene e godevano ora di questa abbondanza gratuita. La stessa abbondanza di capibara uccisi ed inutilizzati rendeva però il precetto del
digiuno quaresimale imposto dalla dottrina cattolica poco sopportabile e poco comprensibile alla cultura degli indios convertiti; i Gesuiti missionari suggerirono quindi alla Chiesa, al fine di evitare rivolte ed apostasie, di consentire il consumo della carne del roditore. Il suggerimento fu accolto rendendo il capibara una delle più inusuali deroghe alla regola di astinenza dalle carni