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Marco della luna:D
TARGET 2: NON ESISTE LA MONETA UNICA

Posted on 24/01/2015 by admin
TARGET 21: NON ESISTE LA MONETA UNICA​
Il funzionamento e la stessa esistenza2 della piattaforma per pagamenti bancari internazionali detta Target23, dimostrano che tutto il denaro sui conti correnti bancari, anche se denominato “euro”, non è l’euro, e non è creato dalla BCE, ma dalle banche dei singoli paesi aderenti. “Euro” è solo l’etichetta applicata a realtà giuridico-monetarie diverse tra loro per indurre la gente a pensare che siano un’unica cosa.
Queste ragioni si aggiungono a quelle già comunemente addotte per negare che l’euro sia una moneta e che sia una moneta unica4.
Confermano inoltre la teoria, già ampiamente dimostrata5, che la liquidità, gli attivi dei conti correnti, siano generati dall’attività di prestito delle banche commerciali, e solo in minima parte dalle banche centrali.
Innanzitutto, dicevo, la moneta che si trova registrata sui conti correnti non è l’euro della BCE, ma un’altra cosa. Infatti, se fosse l’euro “vero”, l’euro-valuta legale della BCE, per fare un bonifico di 1.000 euro dal mio conto corrente italiano a quello del mio fornitore in Germania, la mia banca opererebbe esattamente come quando fa un bonifico a un altro conto corrente italiano, a un altro conto corrente ABI, anziché passare per Target2, cioè chiedere alla Banca d’Italia di prestarle 1.000 euro della BCE (e la Banca d’Italia lo fa indebitandosi verso la BCE), con cui viene eseguito l’accredito sul conto corrente tedesco.
Il che dimostra che gli “euro” segnati sui conti correnti italiani non sono euro veri (non sono cioè la valuta legale), non sono emessi dalla BCE, sono diversi anche dagli “euro” segnati sui conti correnti tedeschi (greci, spagnoli, finlandesi…): gli euro sui conti correnti italiani sono gli euro… dell’ABI, cioè creati dal sistema bancario italiano, e non sono accreditabili su conti correnti non italiani.
Abbiamo due riprove della veridicità di ciò.
La prima, diretta: se voglio pagare un debito estero usando gli “euro” che ho sul mio conto corrente, devo passare per il meccanismo suddescritto; se invece voglio pagarlo con euro-banconote o euro-spiccioli (cioè euro-valuta legale), posso pagarlo direttamente, versandoli sul conto corrente estero del mio creditore in una banca del suo paese. Ergo gli euro del cc sono una cosa diversa, per natura giuridica, dagli euro-valuta legale.
La seconda, indiretta: Target 2 è adoperato per i pagamenti anche da paesi che non usano l’euro, ergo Target 2 è strutturata per trattare valute anche diverse dall’euro.
Si conferma quindi che il grosso del money supply, circa il 97%, è generato con strumenti essenzialmente contabili dai vari sistemi delle banche commerciali. Vi sono tanti (pseudo) euro quanti sono i paesi partecipanti all’Eurozona, e ciascuno di essi ha circolazione limitata al paese del sistema bancario che lo ha generato; e in più vi è l’euro vero, la valuta legale, cioè quello creato dal Sistema Europeo delle Banche Centrali – l’unico che circoli, che sia accettabile, in tutta l’Eurozona, tanto in forma scritturale, che in forma cartacea o metallica.
Il che ha diverse implicazioni.
Innanzitutto, gli euro che ho sul mio conto corrente sono una cosa giuridicamente diversa dagli euro che si trovano sui conti correnti degli altri paesi dell’Eurozona, anche se hanno la medesima denominazione – imposta evidentemente per creare un’illusione di identità nell’opinione pubblica.
Dissolta tale illusione, appare evidente che non solo non esiste una moneta unica, ma siamo lontanissimi da un’unione monetaria e da un’integrazione bancaria europee, e che le tesi che essa si stia realizzando o si possa realizzare sono mistificazioni di mala fede.
In secondo luogo, Target 2 conferma che la massa monetaria non è creata dalla BCE, ma dai sistemi delle banche commerciali.
In terzo luogo, appare evidente anche che il money supply denominato in euro non è creato unico per l’intera Eurozona, ossia che non c’è un money supply unitario per la c.d. UEM, bensì paese per paese in forma di rilascio di prestiti di banche commerciali denominate “euro” sebbene, nella realtà giuridica, consistano non in euro (reali-legali), ma in promesse di euro reali-legali, emessi dalla BCE. Naturalmente, gli euro veri, oggetto delle promesse suddette, non esistono se non in minima parte, dato che, come già ricordato, il money supply consiste per il 97% circa in euro-promesse, e solo per il 3% in euro veri.
In quarto luogo, quelle cose che la banca ti presta (nel mutuo, nel fido, nello sconto, nell’anticipazione) non sono, giuridicamente, euro, anche se falsamente sono denominati “euro”, e tu quindi puoi chiedere al giudice di dichiarare che non sono euro, o perlomeno non sono il vero euro, la moneta legale, l’unica riconosciuta dalla Stato.
Ma che cosa sono, giuridicamente, gli “euro” sui conti correnti? Non sono il vero euro, la moneta legale, l’unica riconosciuta dalla Stato. Non sono soldi, sono saldi. Sono saldi attivi di un rapporto debito-credito: credito per il correntista, debito verso la banca. Debito di che cosa? Debito di euro veri. Se io ho un attivo di conto corrente di 1.000 euro, vuol dire che la banca, a mia richiesta, mi deve dare euro-banconote per 1.000 euro. E se io bonifico a te questi 1.000 trasferendoli sul tuo conto corrente, ciò che avviene è che il rapporto debito-credito di 1.000 rimane, ma cambiano il debitore (che diventa la tua banca in luogo della mia) e il creditore (che diventi tu invece di me). Questa sostituzione può avvenire direttamente soltanto tra banche del medesimo sistema bancario. Evidentemente, le banche di un paese non accettano, senza la garanzia delle banche centrali e gli euro veri della BCE, di sostituirsi alla banca di un altro paese in questo rapporto di debenza. In sostanza, quindi, tutto questo discorso arriva a un approdo concettuale molto semplice: l’euro non esiste, se non come cartamoneta, conio e come moneta delle banche centrali; tutto il resto è promessa di euro emessa dalle banche ordinarie, che tra loro se la accreditano come se fosse euro, e ciascuna se la contabilizza come se fosse euro.
Corollario del fatto che l’euro vero è solo quello della Banca centrale europea e quindi la carta moneta, mentre sui conti correnti bancari un euro solo apparente, perché è illegittimo costringere allo uso del nome euro, cioè dell’euro apparente, proibendo quello dell’euro vero, cioè della carta moneta. È un costringere la gente a spogliarsi del vero e a darlo in cambio del falso. E’ un privarla del diritto all’uso dell’unica vera moneta, della moneta legale.
Analogamente è illegittimo istituire controlli e deterrenti al deposito e al ritiro o peggio all’uso, di euro veri, cartacei. Sono tutte operazioni nell’interesse dei banchieri privati quali creatori esclusivi dell’euro apparente – operazioni per rafforzare l’illusione e nascondere la realtà.
24.01.15 Marco Della Luna
P.S. Non affronto, in questo articolo, riservandola per altri, la problematica di come veramente funzioni Target2 e dei suoi effetti reali.
1Target” è l’acronimo di Trans-European Automated Real-time Gross settlement Express Transfer system


2Le basi legali di Target2 si trovano in https://www.ecb.europa.eu/ecb/legal/1003/1349/html/index.en.html

3Se io voglio pagare una fornitura che importo da un fornitore tedesco, devo chiedere alla mia banca di chiedere alla banca centrale italiana di chiedere in prestito la somma dalla BCE, e di metterla a disposizione della banca centrale tedesca in modo che questa la accrediti al conto corrente della banca commerciale del mio fornitore. Se l’Italia esposta consistentemente più di quanto esporta, succede che la banca centrale italiana accumula debiti crescenti verso la BCE, mentre le banche centrali dei paesi da cui importiamo aumentano corrispondentemente i propri crediti verso la BCE. Così è successo: alla fine del 2011 le banche centrali dei PIIGS avevano accumulato debiti verso la BCE per 600 miliardi, e la banca centrale tedesca un credito di 800 miliardi. Praticamente, la BCE finanzia le esportazioni della Germania e dell’Olanda, favorendo il progressivo indebitamento dei paesi meno competitivi; così ha creato una mina monetaria colossale. Per una descrizione del funzionamento, vedi: Il Meccanismo Target2

4Queste ragioni sono: l’euro è in essenza un sistema di blocco dei rapporti di cambio delle monete dei paesi aderenti; non esiste un bilancio comune, non esiste un sistema di trasferimenti nell’Eurozona per compensare gli squilibri delle bilance commerciali interstato, non esiste una comune banca centrale di emissione che faccia da prestatore di ultima istanza e garantisca l’acquisto dei titoli del debito pubblico; le varie monete nazionali esistono ancora, sebbene denominate tutte “euro”, perché ciascuna poggia sui titoli del debito pubblico nazionale, e ciascun debito pubblico nazionale riceve un suo proprio rating, paga un suo proprio rendimento, è soggetto a un possibile default separato dagli altri.

5 Tra gli altri, èstato dimostrato scientificamente dal prof. Richard Werner dell’Università di Southampton mediante un esperimento, che è stato filmato da una troupe televisiva. Su International Review of Financial Analysis – 36 (2014), Werner ha pubblicato un paper su questo esperimento, col titolo Can banks individually create money out of nothing? – The theories and the empirical evidence (Possono le banche creare denaro dal nulla? Teorie e prove empiriche.
 
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QUELLO CHE SUI LIBRI DI SCUOLA NON TROVERAI (parte III)
wlady | 05-04-2015 Categoria: Storia [Cultura]



Risorgimento.jpg
LA TRUFFA DELL'UNITA' D'ITALIA:
DAL LADRO GARIBALDI AI ROTHSCHILD
di Enrico Novissimo per collana eXoterica 24/02/2012
Il processo di Unità di Italia ha visto come protagonisti una sfilza di uomini più o meno celebri, i cosiddetti padri del Risorgimento. Dal nord al sud Italia ogni piazza o via principale si fregia di nomi illustri: Garibaldi, Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele etc.

Il popolo viene indottrinato fin dalla più tenera età a considerare costoro dei veri eroi, gli artisti li raffigurano esaltando il loro valore in maniera da rafforzare il mito che li circonda. Innumerevoli sono infatti le opere d’arte che ritraggono l’eroe dei due Mondi ora a cavallo…ora in piedi che impugna alta la sua spada, alcune volte indossa la celebre camicia rossa…altre volte si regge su un paio di stampelle come un martire.



Tuttavia un ritratto che di certo non vedremo mai vorrebbe il Gran Maestro massone, Giuseppe Garibaldi, privo dei lobi delle orecchie. E dire che nessuna raffigurazione potrebbe essere più realistica poiché al nostro falso eroe furono davvero mozzate le orecchie, la mutilazione avvenne esattamente in Sud America, dove l’intrepido Garibaldi fu punito per furto di bestiame, si vocifera che fosse un ladro di cavalli. Naturalmente nessuna fonte ufficiale racconta questa vicenda.

È dunque lecito chiedersi quante altre accuse infanghino le gesta degli eroi risorgimentali? Quante altre macchie vennero lavate a colpi d’inchiostro da una storiografia corrotta e pilotata? Ma soprattutto quale fu il ruolo dei banchieri Rothschild nel processo di Unità d’Italia?

La Banca Nazionale degli Stati Sardi era sotto il controllo di Camillo Benso conte di Cavour, grazie alle cui pressioni divenne una autentica Tesoreria di Stato. Difatti era l’unica banca ad emettere una moneta fatta di semplice carta straccia. Inizialmente la riserva aurea ammontava ad appena 20 milioni ma questa somma ben presto sfumò perché reinvestita nella politica guerrafondaia dei Savoia. Il Banco delle Due Sicilie, sotto il controllo dei Borbone, possedeva invece un capitale enormemente più alto e costituito di solo oro e argento, una riserva tale da poter emettere moneta per 1.200 milioni ed assumere così il controllo dei mercati.

Cavour e gli stessi Savoia avevano ormai messo in ginocchio l’economia piemontese, si erano indebitati verso i Rothschild per svariati milioni e divennero in breve due burattini nelle loro mani. Fu così che i Savoia presero di mira il bottino dei Borbone. La rinascita economica piemontese avvenne mediante un operazione militare espansionistica a cui fu dato il nome in codice di Unità d’Italia, un classico esempio di colonialismo sotto mentite spoglie. L’intero progetto fu diretto dalla massoneria britannica, vero collante del Risorgimento. Non a caso i suddetti eroi furono tutti rigorosamente massoni.

La storia ufficiale racconta che i Mille guidati da Giuseppe Garibaldi, benché disorganizzati e privi di alcuna esperienza in campo militare, avrebbero prevalso su un esercito di settanta mila soldati ben addestrati e ben equipaggiati quale era l’esercito borbonico. In realtà l’impresa di Garibaldi riuscì solo grazie ai finanziamenti dei Rothschild, con i loro soldi i Savoia corruppero gli alti ufficiali dell’esercito borbonico che alla vista dei Mille batterono in ritirata, consentendo così la disfatta sul campo.


Dunque non ci fu mai una vera battaglia, neppure la storiografia ufficiale ha potuto insabbiare le prove del fatto che molti ufficiali dell’esercito borbonico furono condannati per alto tradimento alla corona. Il sud fu presto invaso e depredato di ogni ricchezza, l’oro dei Borbone scomparve per sempre. Stupri, esecuzioni di massa, crimini di guerra e violenze di ogni genere erano all’ ordine del giorno. L’unica alternativa alla morte fu l’emigrazione.

Il popolo cominciò a lasciare le campagne per trovare altrove una via di fuga. Ben presto il malcontento generale fomentò la ribellione dei sopravvissuti, si trattava di poveri contadini e gente di fatica che la propaganda savoiarda bollò con il dispregiativo di “briganti”, così da giustificarne la brutale soppressione.

A 150 anni di distanza si parla ancora di questione meridionale. Anche i più distratti scoveranno diverse analogie con quella che oggi viene invece definita questione palestinese. Stesse tecniche di disinformazione, stesse mire espansionistiche e soprattutto stesse famiglie di banchieri.
Solo che un tempo gli oppressi erano chiamati briganti…oggi invece sono i cattivi terroristi.

di Enrico Novissimo x collana eXoterica

Fonte ufficiale: http://edizionisicollanaexoterica.blogspot.it/

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Quello che sui libri di scuola non troverai mai! (Parte II)
Come e perché l’Inghilterra decise la fine delle Due Sicilie: La vera storia della spedizione dei mille.

http://ningishzidda.altervista.org/

Fonti
wlady
 
Il favore di Padoan alle banche d’affari. Privilegiate in caso di default Italia
Pubblicato su 6 Aprile 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in ECONOMIA
Adusbef e Federconsumatori, sulla base di un articolo di Gli Stati Generali, denunciano una clausola della legge di Stabilità che comporta il versamento di garanzie in soldoni alle grandi banche d’affari con cui il Paese ha sottoscritto derivati per 160 miliardi
Nella legge di Stabilità c’è una norma che potrebbe comportare l’obbligo per l’Italia di versare miliardi di euro su conti esteri come garanzia per le grandi banche d’affari con cui il Paese a metà anni novanta ha sottoscritto derivati per un valore di 160 miliardi di euro. A denunciarlo sonoAdusbef e Federconsumatori, facendo riferimento a un articolo pubblicato dl portale Gli Stati Generali che ha rivelato le implicazioni di quanto previsto dall’articolo 33 del ddl ora all’esame della commissione Bilancio della Camera. Quell’articolo stabilisce infatti che il Tesoro sia autorizzato “a stipulare accordi di garanzia in relazione alle operazioni in strumenti derivati. La garanzia è costituita da titoli di Stato di Paesi dell’area dell’euro denominati in euro oppure da disponibilità liquide (…)”. Si tratta in pratica, spiegano Gli Stati Generali, di una clausola “che obbliga la parte su cui grava la perdita potenziale a garantire i pagamenti futuri sui contratti derivati attraverso un deposito di garanzia“. E oggi la parte “debitrice” è lo Stato italiano, perché il valore di mercato dei derivati, agli attuali tassi di interesse, è negativo per chi li ha in pancia. Morale: Roma, se la norma passasse, sarebbe tenuta a mettere sul piatto una somma a garanzia degli impegni presi con Morgan Stanley, Jp Morgan, Deutsche Bank e altre banche negli anni novanta. Quando il ministero dell’Economia, allora guidato da Carlo Azeglio Ciampi, ha fatto man bassa di derivati per portare il deficit all’interno dei severi parametri imposti ai Paesi che aspiravano a entrare nell’Eurozona.
Il “quantum” del deposito è difficile da calcolare, anche perché l’articolo della legge di Stabilità rimanda a un futuro decreto attuativo. Si parla comunque di una percentuale delle perdite potenziali. In un caso reso noto l’anno scorso da Repubblica e Financial Times, un pacchetto di otto contratti derivati dal valore nozionale di 31,7 miliardi presentava nel 2012, quando furono ristrutturati a caro prezzo, perdite potenziali per 8,1 miliardi. Un quarto del totale. Dopo quell’allarme, ricorda il comunicato diffuso mercoledì, le associazioni per i diritti dei consumatori hanno presentato esposti-denunce a 10 Procure della Repubblica chiedendo anche di “sequestrare i contratti derivati i quali, analogamente a Santorini e Alexandria del Monte dei Paschi di Siena, sono stati ristrutturati con perdite rilevanti per lo Stato”. La Procura di Roma “aprì un’inchiesta affidata al Pm Nello Rossi, di cui non si è saputo più nulla”.
Ora, invece, spunta una norma che non solo porterebbe miliardi nelle casse delle banche di investimento, ma attribuirebbe loro anche un privilegio del tutto inedito: gli istituti diventanocreditori privilegiati dello Stato italiano, con la possibilità di rivalersi sui depositi di garanzia nel caso di un default sovrano. Mentre gli altri creditori, come tutti i piccoli risparmiatori italiani e le banche italiane che possiedono Btp, dovrebbero mettersi in fila. Il Regolamento europeo sui derivati entrato in vigore nel 2012, peraltro, esclude che una clausola del genere (in gergo Double way credit support annex) si possa applicare a contratti sottoscritti da Stati sovrani. Nella relazione illustrativa, spiega ancora Gli Stati Generali, il Tesoro scrive che “tale pratica operativa è già stata adottata da altri emittenti sovrani: ad esempio, è già attiva da tempo in Svezia, Portogallo e Danimarca ed è stata di recente introdotta dalla Bank of England”. Ma sono casi ben diversi: per Lisbona è stata una resa in una situazione di grave crisi, per Svezia e Danimarca un modo per risparmiare sugli oneri finanziari. Al contrario per l’Italia, oberata da un debito che l’anno prossimo toccherà il 133,8% del pil, equivarrebbe a dare un pessimo segnale sulla propria affidabilità creditizia.
Secondo Gli Stati Generali, però, quell’articolo (comparso quasi uguale anche nel collegato alla Stabilità 2014, ma poi stralciato) è caldeggiato dallo stesso Tesoro e in particolare dalla responsabile della direzione Debito pubblico Maria Cannata, che in via XX Settembre lavora fin dagli anni Novanta. Cioè l’epoca della sottoscrizione dei derivati. Le argomentazioni tecniche riportate nella Relazione fanno riferimento alle nuove regole di Basilea che obbligano le banche a considerare nei requisiti di capitale “le esposizioni creditizie generate da posizioni in strumenti derivati”. Una norma che “potrebbe tradursi in un disincentivo nell’acquisto di titoli pubblici italiani con un impatto negativo sulla domanda che a sua volta può generare incrementi nei tassi”. In più sulle somme in deposito “sarà possibile negoziare con ogni controparte uno spread sui tassi monetari e, in caso questi ultimi siano negativi, un floor a zero”. Per cui “è verosimile pensare che possa esserci saldo positivo per lo Stato”. Peccato che per ottenerlo bisognerà dare in pegno la liquidità del Tesoro.

Fonte: Il Fatto Quotidiano
Tratto da:cogito ergo sum?penso dunque sono | 

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Il favore di Padoan alle banche d’affari. Privilegiate in caso di default Italia
Pubblicato su 6 Aprile 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in ECONOMIA
Adusbef e Federconsumatori, sulla base di un articolo di Gli Stati Generali, denunciano una clausola della legge di Stabilità che comporta il versamento di garanzie in soldoni alle grandi banche d’affari con cui il Paese ha sottoscritto derivati per 160 miliardi
Nella legge di Stabilità c’è una norma che potrebbe comportare l’obbligo per l’Italia di versare miliardi di euro su conti esteri come garanzia per le grandi banche d’affari con cui il Paese a metà anni novanta ha sottoscritto derivati per un valore di 160 miliardi di euro. A denunciarlo sonoAdusbef e Federconsumatori, facendo riferimento a un articolo pubblicato dl portale Gli Stati Generali che ha rivelato le implicazioni di quanto previsto dall’articolo 33 del ddl ora all’esame della commissione Bilancio della Camera. Quell’articolo stabilisce infatti che il Tesoro sia autorizzato “a stipulare accordi di garanzia in relazione alle operazioni in strumenti derivati. La garanzia è costituita da titoli di Stato di Paesi dell’area dell’euro denominati in euro oppure da disponibilità liquide (…)”. Si tratta in pratica, spiegano Gli Stati Generali, di una clausola “che obbliga la parte su cui grava la perdita potenziale a garantire i pagamenti futuri sui contratti derivati attraverso un deposito di garanzia“. E oggi la parte “debitrice” è lo Stato italiano, perché il valore di mercato dei derivati, agli attuali tassi di interesse, è negativo per chi li ha in pancia. Morale: Roma, se la norma passasse, sarebbe tenuta a mettere sul piatto una somma a garanzia degli impegni presi con Morgan Stanley, Jp Morgan, Deutsche Bank e altre banche negli anni novanta. Quando il ministero dell’Economia, allora guidato da Carlo Azeglio Ciampi, ha fatto man bassa di derivati per portare il deficit all’interno dei severi parametri imposti ai Paesi che aspiravano a entrare nell’Eurozona.
Il “quantum” del deposito è difficile da calcolare, anche perché l’articolo della legge di Stabilità rimanda a un futuro decreto attuativo. Si parla comunque di una percentuale delle perdite potenziali. In un caso reso noto l’anno scorso da Repubblica e Financial Times, un pacchetto di otto contratti derivati dal valore nozionale di 31,7 miliardi presentava nel 2012, quando furono ristrutturati a caro prezzo, perdite potenziali per 8,1 miliardi. Un quarto del totale. Dopo quell’allarme, ricorda il comunicato diffuso mercoledì, le associazioni per i diritti dei consumatori hanno presentato esposti-denunce a 10 Procure della Repubblica chiedendo anche di “sequestrare i contratti derivati i quali, analogamente a Santorini e Alexandria del Monte dei Paschi di Siena, sono stati ristrutturati con perdite rilevanti per lo Stato”. La Procura di Roma “aprì un’inchiesta affidata al Pm Nello Rossi, di cui non si è saputo più nulla”.
Ora, invece, spunta una norma che non solo porterebbe miliardi nelle casse delle banche di investimento, ma attribuirebbe loro anche un privilegio del tutto inedito: gli istituti diventanocreditori privilegiati dello Stato italiano, con la possibilità di rivalersi sui depositi di garanzia nel caso di un default sovrano. Mentre gli altri creditori, come tutti i piccoli risparmiatori italiani e le banche italiane che possiedono Btp, dovrebbero mettersi in fila. Il Regolamento europeo sui derivati entrato in vigore nel 2012, peraltro, esclude che una clausola del genere (in gergo Double way credit support annex) si possa applicare a contratti sottoscritti da Stati sovrani. Nella relazione illustrativa, spiega ancora Gli Stati Generali, il Tesoro scrive che “tale pratica operativa è già stata adottata da altri emittenti sovrani: ad esempio, è già attiva da tempo in Svezia, Portogallo e Danimarca ed è stata di recente introdotta dalla Bank of England”. Ma sono casi ben diversi: per Lisbona è stata una resa in una situazione di grave crisi, per Svezia e Danimarca un modo per risparmiare sugli oneri finanziari. Al contrario per l’Italia, oberata da un debito che l’anno prossimo toccherà il 133,8% del pil, equivarrebbe a dare un pessimo segnale sulla propria affidabilità creditizia.
Secondo Gli Stati Generali, però, quell’articolo (comparso quasi uguale anche nel collegato alla Stabilità 2014, ma poi stralciato) è caldeggiato dallo stesso Tesoro e in particolare dalla responsabile della direzione Debito pubblico Maria Cannata, che in via XX Settembre lavora fin dagli anni Novanta. Cioè l’epoca della sottoscrizione dei derivati. Le argomentazioni tecniche riportate nella Relazione fanno riferimento alle nuove regole di Basilea che obbligano le banche a considerare nei requisiti di capitale “le esposizioni creditizie generate da posizioni in strumenti derivati”. Una norma che “potrebbe tradursi in un disincentivo nell’acquisto di titoli pubblici italiani con un impatto negativo sulla domanda che a sua volta può generare incrementi nei tassi”. In più sulle somme in deposito “sarà possibile negoziare con ogni controparte uno spread sui tassi monetari e, in caso questi ultimi siano negativi, un floor a zero”. Per cui “è verosimile pensare che possa esserci saldo positivo per lo Stato”. Peccato che per ottenerlo bisognerà dare in pegno la liquidità del Tesoro.

Fonte: Il Fatto Quotidiano
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della democrazia
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feb15

Abbiamo vissuto sotto le nostre possibilità! La crisi economica è semplicemente una truffa

Categorie: Contabilità pubblica, In Evidenza
di Marco Mori



[URL="http://www.studiolegalemarcomori.it/abbiamo-vissuto-nostre-possibilita-crisi-economica-spiegata-facile-semplicemente-truffa/#"]72[/URL]

Il campanaccio della propaganda mediatica continua a suonare e lo fa con forza inaudita, così accade che concetti semplicissimi diventano complessi quanto la fisica quantistica.
Ci continuano a dire che abbiamo vissuto sopra le nostre possibilità. Signori, questa è semplicemente una gigantesca …..zzata!
Cerchiamo di capire come facciamo a trovarci i soldi in tasca visto che qualcuno (le banche) vorrebbe farci credere che la creazione monetaria sia un fenomeno metafisico. Ogni singola moneta che rimane nelle nostre tasche accatonandosi nei risparmi è dovuta alla spesa pubblica italiana o estera. Anche le banche commerciali in verità creano moneta, ma ovviamente al prezzo di salati interessi. Ergo ogni prestito alza la base monetaria solo temporaneamente ma non consente per definizione la creazione di risparmio. Infatti il risparmio in questo caso, costituito dagli interessi sui prestiti, si accantona unicamente nelle casse delle banche e viene drenato dalla collettività. In ogni caso per ripagare gli interessi alle banche commerciali serve che qualcuno crei fisicamente questa moneta, gli interessi si ripagano solo con il deficit dello Stato oppure non si ripagheranno mai.
Esempio facile. Anno zero di una comunità che passa dal baratto alla moneta. Lo Stato mette in circolazione dieci monete e non applica alcuna tassazione. In un’economia chiusa a quanto ammonteranno i risparmi dei cittadini a fine anno? Alle dieci monete emesse ed immesse dallo Stato.
Dopo dieci anni con questa politica il risparmio privato sarà di 100 monete. Lo Stato avrà un debito sovrano di 100 monete. Che cos’è il debito sovrano? Il dato contabile che rappresenta la quantità di moneta immessa da una Nazione che, udite udite, non può che essere più alto man mano che l’economia si sviluppa e cresce.
Bene. Che succede se lo Stato, improvvisamente, comincia a tassare più di quanto spende? Che piano piano si riprende la moneta emessa e ci sottrae risparmi.
Sapete cosa succede in Italia dal 1992? Esattamente quanto annunciavo nell’esempio. Il paese (per i vincoli imposti dai Trattati UE) tassa più di quanto spende, ovvero è in avanzo primario. Ogni anno sottrae moneta dai nostri risparmi in spregio all’obbligo costituzionale di incoraggiare e tutelare il risparmio in ogni sua forma imposto dall’art. 47 Cost. Come in un corpo a cui viene sottratto sangue, un’economia a cui sottraete moneta, inizia a soffrire e poi muore.
Se uno Stato tassa più di quanto spende potrebbe comunque creare (in via ipotetica) risparmio in un’economia aperta attraverso le esportazioni. Per fare questo occorre, in primo luogo, che i prezzi della produzione siano competitivi (deflazione) e che gli altri paesi siano disposti ad aumentare la loro base monetaria in misura sufficiente da sostenere il nostro export. Insomma a livello globale, il modello non è diverso da quello di un’economia chiusa, per creare risparmio occorre che il saldo complessivo tra spesa e tassazione mondiale sia positivo in favore della spesa: “ovvero il mondo deve complessivamente spendere più di quanto si tassa”. Il solo limite reale del pianeta è quello delle risorse naturali e non la moneta.
Oggi ci siamo bevuti il cervello ed abbiamo codificato limiti virtuali che impongono che ogni anno lo Stato dreni moneta dall’economia reale. Una simile politica uccide il paese, non perché abbiamo vissuto sopra le nostre possibilità, ma esattamente per il contrario. L’assenza di moneta impedisce la piena occupazione e la produzione risulta sottodimensionata rispetto alle concrete capacità nazionali. Questo significa vivere sotto le capacità produttive di una nazione e non al di sopra. L’Italia è come una Ferrari obbligata a circolare in prima.
La crisi è pacificamente una truffa, un atto criminale. Ad un certo punto nella storia si è fatta passare l’idea che la politica monetaria dovesse essere ad appannaggio di banchieri privati che potevano sostituirsi agli Stati, creando moneta dal nulla al loro posto. In Italia ciò è avvenuto con il divorzio tra Banca d’Italia e tesoro del 1981. Da allora il debito non è più sovrano ed il suo rifinanziamento dipende dai mercati speculativi. Che pur ottenendo moneta dal nulla decidono a loro piacimento cosa comprare e quanto comprare, imponendo decisioni politiche agli Stati: ovvero le decantate riforme.
Cosa sono queste riforme? Facile! Nel nome del dogma che abbiamo vissuto sopra le nostre possibilità, dobbiamo smantellare la democrazia costituzionale ed ogni diritto imposto.
Ecco che la truffa più semplice della storia non viene in alcun modo vista. Ovviamente chi crea denaro dal nulla ha anche comprato i media che quindi pompano la tesi anti Stato.
Attenzione, è vero che in un’economia globale, specialmente se si ha bisogno di prodotti stranieri, occore avere qualcosa da dare in cambio. Le fluttuazioni tra valute di paesi diversi dipendono anche da questo. La soluzione per mantenere alto il valore della propria moneta dipende da variabili economiche ma anche da variabili extraeconomiche. Come insegnano gli USA anche le corazzate mantengono alto il valore di una moneta, consentendone la creazione in quantità immense.
Non scomodando le forze armate, il metodo a disposizione di uno Stato per mantenere il valore della moneta è la leva fiscale. Ovvero se ho immesso troppa moneta ne dreno un po’ con il prelievo fiscale, con buona pace degli ignoranti che affermano che le tasse servono a pagare i servizi. Le tasse servono a fare politica monetaria, servono a mantenere alto il valore della moneta evitando spinte inflazionistiche.
Proprio in questo passaggio si è inserita la truffa posta in essere dal sistema bancario privato. Esiste infatti un metodo alternativo al prelievo fiscale per ridurre le spinte inflazionistiche. Ovvero il far pagare interessi sulla moneta emessa attraverso il tasso di sconto. Ovviamente tassare è assai impopolare per un Governo. Al contrario vendere le proprie obbligazioni a privati a tassi più alti, specialmente nel 1981, passava completamente inosservato.
Ecco la scelta più importante della storia. Non contengo le spinte inflazionistiche (peraltro create ad hoc con la falsa crisi petrolifera) aumentando le tasse, ma vendo le mie obbligazioni sui mercati, conferendogli anche il potere di creare moneta dal nulla al fine di non avere limiti nella domanda di titoli. Gli effetti sulle tasche degli italiani diventano indiretti e nessuno lo nota con la semplicità che sarebbe avvenuta aumentando la tassazione. Ecco come i politici sono caduti nella trappola del sistema bancario che , appena preso il controllo della moneta, ha immediatamente iniziato l’offensiva alle sovranità nazionali per arrivare ad espandere il proprio potere dall’economia alla società nel suo complesso.
La crisi nell’economia reale oggi c’è perché la finanza ci obbliga a vivere sotto le nostre possibilità di produzione per ripagare debiti virtuali inesistenti. La crisi è una truffa che qualsiasi PM minimamente consapevole dovrebbe rilevare domani.
Molto più complesso il rilievo di artifici e raggiri nel comportamento di una Vanna Marchi qualunque rispetto a notarlo in quello che fanno le banche oggi.
Pochi vecchi rimbambiti controllano i nostri destini sull base della carta igienica di cui si sono attribuiti la proprietà all’atto dell’emissione.
Questo tacito accordo tra banchieri e politici è la corruzione che dobbiamo spazzare via per salvare paese e mondo, sovranità è la parola chiave nel rispetto della Costituzione (artt. 1-11).
Ricordiamo alle Procure quindi di applicare l’art. 246 c.p.: “Il cittadino, che, anche indirettamente, riceve o si fa promettere dallo straniero, per sé o per altri, denaro o qualsiasi utilità, o soltanto ne accetta la promessa, al fine di compiere atti contrari agli interessi nazionali, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa (omissis…)”.
Sveglia gente! La finanza è un gigante dai piedi d’argilla. Se siamo uniti è finita per loro. Il loro dominio passa solo per la nostra ignoranza.


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Ida Magli: "L'Europa è un continente inventato, è il trionfo della massoneria"




Nel 2015 compirà 90 anni, gli ultimi 20 passati ad attaccare l'idea e la realizzazione dell'Europa unita. Lei è Ida Magli, la celebre antropologa che 17 anni fa, con il saggio Contro L'Europa, suscitò parecchio scalpore. Ora torna a ribadire le sue accuse in una lunga intervista concessa ad Italia Oggi.


C'è chi considera la Maglia una Cassandra, chi invece - per mutuare un termine renziano - una sorta di gufo. Di sicuro, lei, le idee le ha chiare. Tempo fa la Magli chiedeva a gran voce lo stop all'unificazione, ma "oggi - spiega - è difficile. A causa dell'ignoranza tecnica dei politici che, mi creda, è brutale". Secondo l'antropologa, infatti, "c'è un'indifferenza a qualsiasi fatto che possa far ripensare a quello che hanno progettato. Sento citare di nuovo Romano Prodi", ossia "il responsabile del nostro ingresso nella moneta unica". E oggi, continua, "con l'euro siamo tutti più poveri".







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Etichette: berlusconi, euro, europa, grillo, massoneria, politici, renzi
 
77 MILIONI DI EURO IN UN ATTIMO? ECCO COME FANNO COOP E POLITICI CON UN SOLO APPALTO.

apr 06, 2015 Nessun Commento 6 Visite http://www.facebook.com/share.php?u...ME+FANNO+COOP+E+POLITICI+CON+UN+SOLO+APPALTO.https://plus.google.com/share?url=h...me-fanno-coop-e-politici-con-un-solo-appalto/http://twitter.com/home?status=RUBA...me-fanno-coop-e-politici-con-un-solo-appalto/http://pinterest.com/pin/create/boo...ME+FANNO+COOP+E+POLITICI+CON+UN+SOLO+APPALTO.http://www.linkedin.com/shareArticl...i+96+previsti+dalla+base+d’asta.+E+[…]



Expo, storia dell’appalto zero: due anni di ritardo e costi raddoppiati





Era il primo, quello per ripulire l’area su cui costruirire. Vinse la coop rossa Cmc di Ravenna con un ribasso del 42,8%. Poi però i costi sono aumentati del 117,9%, da 52 a 127 milioni, molti più dei 96 previsti dalla base d’asta. E i lavori non sono ancora finiti.
È l’appalto più pazzo di Expo: il primo assegnato, l’ultimo a essere finito; e a costi raddoppiati. Sotto gli sguardi severi e preoccupati della Procura di Milano, dell’Autorità anticorruzione e dell’Avvocatura dello Stato. Si chiama “rimozione delle interferenze” e riguarda il lavoro preliminare, la “pulizia” dell’area, per poi poterci costruire sopra l’Expo con tutte le sue strutture e i suoi padiglioni. È come pulire per bene la tavola, per poi stenderci sopra una bella tovaglia e infine apparecchiare con piatti, posate e bicchieri. Come fai ad apparecchiare se non hai ancora finito di pulire sotto la tovaglia? Eppure è quello che sta succedendo, nella storia più incredibile di Expo. Una vicenda esemplare, che permette di capire com’è andata la preparazione dell’esposizione universale e merita di essere raccontata.

L’appalto zero dell’esposizione universale viene bandito il 3 agosto 2011. Tre anni, quattro mesi e tre giorni dalla vittoria di Milano contro Smirne: tempo tutto impiegato dalla politica a litigare su chi doveva avere il controllo dell’evento. Finalmente, il 20 ottobre 2011 l’appalto viene assegnato alla Cmc, la Cooperativa muratori & cementisti di Ravenna che vince la gara al massimo ribasso. La base d’asta era di 96,8 milioni di euro, ma la coop romagnola trionfa offrendo soltanto 58,5 milioni, con un ribasso da brivido del42,83 per cento. “Con margini così tirati”, si chiede subito il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, “come fa un’impresa a rientrare anche solo dei costi?”.

La Cmc s’impegna a terminare i lavori in 725 giorni, entro il 5 novembre 2013. Invece i lavori sono ancora in corso. E l’azienda voleva finirli soltanto il 28 settembre 2015: quasi due anni dopo il termine previsto e a Expo quasi finito, visto che i cancelli della manifestazione si chiuderanno il 31 ottobre. Scende subito in campo la Procura di Milano, che nel maggio 2012 sequestra i documenti sulla gara, ipotizzando che possa esserci stata una turbativa d’asta. Di certo, i costi sono lievitati, fino a mangiarsi del tutto il ribasso con cui la gara è stata vinta. Da 58,5 milioni sono arrivati a 127,5con 28 “proroghe per forza maggiore”, 302 “proroghe per varianti riconosciute” e tre passaggi cruciali, come le cadute di Cristo sul Golgota. Eccoli.

Le richieste di soldi e l’atto di sottomissione
Non è passato neppure un annetto da quando ha vinto l’appalto e la Cmc chiede il primo rabbocco: vuole altri 28 milioni. Li giustifica con la necessità di smaltire i terreni in discarica. Sì, perché l’area risulta contaminata anche da idrocarburi e metalli pesanti. E pensare che uno dei motivi per cui era stata scelta per farci l’Expo, nel 2008, dall’allora sindaco Letizia Moratti, era “che i terreni non hanno bisogno di bonifica”. Le richieste della Cmc trovano qualche resistenza. Il direttore lavori del cantiere firma una relazione in cui afferma di ritenere giustificati extracosti per soli4,3 milioni. L’ufficio legale di Expo nota che “non può non osservarsi che non ricorrono i presupposti della imprevedibilità e della inevitabilità”. Eppure il 19 dicembre 2012 Expo spa firma un “Atto aggiuntivo n.1” che riconosce alla Cmc i 28,1 milioni richiesti, facendo salire a 86,6 milioni la cifra dell’appalto, vinto offrendone 58,5. Se ne va gran parte del ribasso d’asta. E il termine di fine lavori è spostato al 6 giugno 2014. Expo ammette, in un documento, che “l’andamento dell’appalto è stato caratterizzato da importanti variazioni nelle quantità di terre e/o rifiuti rinvenuti nei terreni”. Sapete perché? Per “l’indisponibilità delle aree da parte della stazione appaltante al momento dell’indizione della gara”: insomma Expo “non ha avuto a disposizione le aree al momento della gara” e ha fatto il bando prima di poter vedere che cosa c’era davvero da fare.

Un anno dopo, siamo da capo. Cmc chiede altri 10 milioni. Il 25 ottobre 2013 sottoscrive un “Atto di sottomissione n.1” (sublime, il linguaggio burocratico degli appalti) con il quale fa salire a 96,5 milioni i soldi pretesi: così azzera del tutto il ribasso d’asta iniziale. Fa anche salire i giorni di lavoro, che diventano 1.027, con consegna dunque al 3 settembre 2014. Per “ulteriori variazioni progettuali in corso d’opera”, anche perché nel frattempo l’area era diventata un sovrapporsi di cantieri e la tavola doveva essere pulita mentre già cominciavano ad arrivare i piatti e anche qualche antipastino.

Consegna oltre i termini, premio di accelerazione
Ma non è finita qui. A luglio 2014, terza svolta: iniziano i procedimenti per formalizzare una “Perizia di variante n.3”, corredata dall’“Atto aggiuntivo n.2”. Sembra complicato, ma in fondo è semplice: sono nuovi soldi chiesti da Cmc. Altri 31 milioni di euro, che fanno lievitare la cifra totale a ben 127,5 milioni: più del doppio di quanto offerto per vincere la gara. Con una chicca: la “Perizia prevede anche il riconoscimento di un premio di accelerazione”. Avete letto bene: “premio di accelerazione”. In effetti se lo sono meritato, visto che i lavori, che dovevano essere finiti nel 2013, ora avrebbero come nuovo termine quello del 26 giugno 2015: un po’ troppo in là, visto che Expo apre i cancelli il1° maggio. Ecco allora che Cmc s’impegna, bontà sua, a finire 86 giorni prima, il 31 marzo 2015, e per questo si guadagna il “premio di accelerazione”. Nel frattempo è entrato in partitaRaffaele Cantone, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac): a lui vengono mandati, per controllo, tutti gli atti di Expo. Gli arrivano così, nell’estate 2014, anche la “Variante n.3” e l’“Atto aggiuntivo n.2”. Cantone annusa che qualcosa non va: non sono soltanto piccole variazioni all’appalto, ma contengono “elementi di natura transattiva”. Chiede dunque che intervenga l’Avvocatura dello Stato, in quel momento retta daGiuseppe Fiengo, il quale affida il caso all’avvocato dello Stato Pierluigi Di Palma. Il suo parere arriva il 7 gennaio 2015. È una solenne bocciatura: ritiene di “non potersi esprimere parere positivo in ordine all’ipotesi di variante e di secondo atto aggiuntivo” (probabilmente anche il primo atto aggiuntivo sarebbe stato bocciato, ma Cantone non era ancora arrivato all’Anac e nessuno aveva chiesto il parere dell’Avvocatura dello Stato). Come sbloccare la situazione?Il 13 gennaio 2015 il consiglio d’amministrazione di Expo chiede all’amministratore delegatoGiuseppe Sala di avviare, come segnalato da Anac e Avvocatura dello Stato, un vero e proprio atto transattivo. E qui Sala spicca il volo: decide “di avvalersi espressamente della facoltà di deroga”, a “superamento delle osservazioni rese dall’Avvocatura generale dello Stato”. Avanti tutta. I termini restano più o meno quelli dell’Atto aggiuntivo n.2 e della Variante n.3, ma scritti in un documento che ora si chiama “Atto transattivo”, per non far arrabbiare troppo Cantone.

Nascondi l’amianto sotto il tappeto
Intanto la Cmc formalizza le sue richieste. In una email del 17 gennaio chiede che entro dieci giorni le siano pagati i lavori che ritiene fatti in più e le siano dati più giorni per finire i lavori. In seguito chiede che siano pagati a parte lo “smaltimento dei rifiuti e delle terre da scavo” e le “bonifiche di amianto e di altre sostanze inquinanti”. Bisogna infatti rimuovere “manufatti contenenti amianto o fibre minerali artificiali”, con “nuovi e non previsti comparti di bonifica” e con “amianto occulto ritrovato in aree non contrattuali”. Amianto? Sì, il terreno che non aveva bisogno di bonifiche contiene anche amianto. Ma niente paura, Sala aveva già disposto, con il provvedimento numero 5 dell’8 agosto 2013, il passaggio dei terreni Expo dalla “Tabella A” alla “Tabella B” del Testo unico ambientale: significa che sono abbassate le soglie di rigore nei controlli ambientali, in forza del fatto che sono terreni da utilizzare per un “evento temporaneo”. Le bonifiche sono rimandate, lo sporco nascosto sotto il tappeto. Il termine lavori chiesto da Cmc è il 28 settembre 2015, a Expo quasi finito. Troppo. Così “il termine di ultimazione naturale dei lavori” viene aggiustato al 26 giugno 2015, comunque a Expo già iniziato. Alla fine, la transazione viene chiusa alla cifra di 127,5 milioni, ben 69 milioni in più dell’offerta iniziale. E la data di consegna? “In considerazione dell’improrogabile necessità di garantire la completa fruibilità delle infrastrutture al 1 maggio 2015”, data d’apertura, “si concorda tra le parti il nuovo termine di ultimazione delle opere al 10 aprile 2015”, 76 giorni prima di quanto stabilito in precedenza. Con minaccia finale: “l’appaltatore riceverà l’importo transattivo solo se a quella data” avrà “ultimato tutti i lavori”. Altrimenti, “allo spirare della mezzanotte del 10 aprile correranno le penali”. Tutti in cantiere, dunque, a mezzanotte di venerdì 10: per vedere come finisce la storia dell’appalto più pazzo di Expo.

da il Fatto Quotidiano del 5 aprile 2015

Fonte: GrandeCocomero
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Kudasai
Mentre lo cercavano ovunque, Putin guidava una rivoluzione silenziosa

aprile 6, 2015 2 commenti

PolitRussiaReseau International 5 aprile 2015Sono sempre sorpreso dalle teorie cospirative sul nostro presidente. Putin è un uomo politico unico, è estremamente sincero; sincero per quanto possibile date le limitazioni del capo di una superpotenza nucleare. Lo stile comunicativo di Putin ha inevitabilmente un forte impatto sul lavoro dei suoi subordinati. Così, quando Peskov disse in diretta su Eco di Mosca che “L’ordine del giorno è ormai molto fitto, soprattutto per la crisi. Attualmente vi sono comunicazioni continue tra governo, imprese pubbliche e naturalmente banche, ci vuole tempo“, e ciò andrebbe considerato come il più affidabile. Non è necessario fare appello alle teorie del complotto quando economicamente in Russia e all’estero, vi sono cambiamenti realmente rivoluzionari. Perché i media vi prestano così poca attenzione? È un altro problema su cui torneremo. Allora cos’è successo nell’economia internazionale e russa durante la “scomparsa” dagli schermi televisivi di Putin?
1. La Cina ha annunciato la creazione di un proprio sistema di pagamento interbancario, analogo al SWIFT, entro la fine del 2015. Dicembre 2015 – gennaio 2016 sarà il momento in cui la guerra economica tra Stati Uniti e resto del mondo entrerà nella fase attiva.
2. Putin ha incaricato il Ministero delle Finanze e la Banca centrale di sviluppare un piano per finanziare la costruzione di centrali elettriche in Crimea. Secondo il Ministro dell’Energia Novak: “La Banca centrale in questo caso ci permette di eseguire un’operazione finanziaria per fornire liquidità alle banche creditrici… Una richiesta è stata presentata a Banca Centrale e Ministero delle Finanze per preparare e presentare un piano finanziario… per il pagamento degli interessi sui prestiti, per circa 80 miliardi di rubli”. Secondo la Costituzione (durante la colonizzazione occidentale negli anni ’90 – Kristina Rus) Putin (o Medvedev) non avrebbero avuto diritto d’impartire istruzioni alla Banca centrale. La banca centrale è indipendente ma si scopre che in realtà non lo è affatto. Se l’ordine del presidente viene eseguito come indicato da Novak (la Banca Centrale finanzia le banche che finanziano le società russa per la costruzione di centrali elettriche in Crimea), allora avremo ciò che i patrioti di tutti i tipi hanno a lungo chiesto: la Banca centrale che finanzia lo sviluppo economico del proprio Paese. Una rivoluzione. Una rivoluzione silenziosa. Inoltre, mutui e prestiti agricoli saranno sovvenzionati, un altro grande successo.
3. Dopo l’approvazione da parte del Governo, la Banca centrale del Kazakistan ha annunciato un piano per la de-dollarizzazione dell’economia entro la fine del 2016. L’obiettivo principale è sbarazzarsi dell’instabilità macroeconomica creata dalla valuta statunitense. Nazarbaev è un politico dalla grande intuizione e con seri legami con Pechino e Mosca. L’approvazione definitiva ed immediata della politica di de-dollarizzazione è un chiaro segnale della posizione del Kazakhstan nell’ambito dell’acuto scontro economico imminente.
4. Il 10 marzo 2015, il Presidente Putin ha incaricato la Banca centrale della Federazione russa e il governo a determinare la fattibilità della creazione di un’unione monetaria dell’UEE (Unione eurasiatica). RIA Novosti ha rivelato che la nuova valuta dell’UEE, Altyn (o Evraz) potrebbe apparire nel 2016.
5. Goldman Sachs, una delle maggiori banche degli Stati Uniti, controllore occulto della FED e “portfolio” dell’élite mondiale che Khazin chiama “agenti di Rothschild”, ha fatto una previsione… raccomandando l’acquisto di obbligazioni russe. Si, avete letto bene: acquistare obbligazioni russe! La massima banca degli USA consiglia l’acquisto di titoli del Paese che secondo Obama avrebbe l’economia “a pezzi!”
6. La Gran Bretagna desidera entrare nel capitale della Banca di investimenti infrastrutturali asiatica, l’istituzione finanziaria internazionale che la Cina ha fondato per contrapporsi e sostituire la Banca Mondiale controllata dagli Stati Uniti. Un affronto mondiale di Londra verso Washington. La reazione di Washington ricorda la reazione di uno zoticone razzista che sorprende la moglie inglese a letto con l’amichetto cinese: furiosa. Un alto funzionario dell’amministrazione Obama ha detto al Financial Times che l’iniziativa inglese di entrare nel piano del capitale cinese “non è il modo migliore di comportarsi con una potenza emergente“. “La potenza emergente” per gli Stati Uniti traditi è la Cina! La cosa interessante è che Londra non s’è presa nemmeno la briga di rispondere all’indignazione di Washington.
In questo contesto, è facile vedere quanto Putin sia occupato. Ha domato la Banca centrale e ha mantenuto i contatti internazionali e fatto sì che la Russia sia al vertice quando le tensioni nel conflitto economico globale saranno finite. Fin qui tutto bene. La vittoria sarà nostra.
Valuta dell’UEE e de-dollarizzazione
Viktoria Panfilova New Eastern Outlook 02/04/2015
L’unione monetaria è la conclusione logica del processo d’integrazione tra Russia, Kazakistan e Bielorussia nell’Unione economica eurasiatica (EEU), portando l’economia eurasiatica a nuovi livelli. La moneta unica, eventualmente chiamata Altyn, diverrà la base per la formazione di un mercato e forse anche di un’economia unificati. Il presidente russo Vladimir Putin avanzava la proposta di creare l’unione monetaria nel corso di una visita ad Astana. Il leader russo ritiene che l’introduzione della nuova moneta, il prossimo anno, proteggerà l’economia dell’UEE. Non è un’idea nuova, però. L’iniziativa d’introdurre una moneta unica appartiene al presidente kazako Nursultan Nazarbaev. Ne parlò per la prima volta nel 2003, sottolineando che dovrebbe essere la moneta sovranazionale dei Paesi dell’Unione doganale, Russia, Bielorussia e Kazakistan. Nazarbaev propose, allora, di chiamarla Altyn e furono ideati i prototipi delle banconote. Ma l’idea, anche se sostenuta dai leader dell’Unione doganale, fu in realtà promossa piuttosto debolmente. Inoltre, quando l’accordo fu firmato creando l’UEE nel maggio 2014, l’emissione della banconota fu rinviata al 2025, assieme all’istituzione della Banca Centrale dell’UEE. Così, i leader si occupano dell’attuazione degli accordi immediati. Alla fine del 2015 tutte le barriere nel mercato dei beni saranno rimossi. Dal 2016 si prevede che sarà creato un mercato unico per i beni medici e i farmaci. Saranno risolti i problemi sul mercato dell’alcool e si prevede che tutte le questioni del mercato dell’energia saranno risolte entro il 2019. E già dal 2025 verrà creato il mercato unico del petrolio e gas. La creazione di un mercato dei servizi finanziari è la fase finale. L’accordo sulla creazione di un organismo multifunzionale per la regolamentazione dei mercati finanziari si prevede sia firmato nel 2025, e solo dopo il completamento di queste fasi la moneta unica verrà introdotta. Così ha detto Saadat Asanseitova, direttore del Dipartimento per l’Integrazione della Commissione economica eurasiatica. La moneta unica dovrebbe aumentare il potenziale delle esportazioni totali dell’UEE. Allo stesso tempo, l’analista dei mercati dell’IFC Dimitrij Lukashev ritiene che l’introduzione dell’Altyn sia abbastanza fattibile. Russia, Bielorussia e Kazakistan ne hanno bisogno per allontanarsi da dollaro ed euro negli scambi interni, internazionali e per i piani d’investimento finanziario. Gli esperti non escludono che se la questione sia ripresa da Putin e che la creazione del mercato valutario sia accelerata. Tuttavia, il Kazakistan ha già iniziato a considerare la de-dollarizzazione della propria economia. Ma non è il momento di bandire il dollaro dal Kazakistan, non solo perché la popolazione ha i propri risparmi principalmente nella valuta statunitense, ma perché gli investitori stranieri non sono pronti a pagamenti in valute diverse dal dollaro. Tuttavia, la Banca nazionale sviluppa un piano specifico con il governo per ridurre la dollarizzazione dell’economia nel 2015-2016.
Il governatore della Banca Nazionale del Kazakistan, Kairat Kelimbetov, ha detto che il piano di de-dollarizzazione dell’economia nazionale ha tre direzioni principali. La prima per la stabilità macroeconomica, adottando misure per ridurre gradualmente l’inflazione. La Banca nazionale calcola che l’inflazione scenderà al 3-4% entro il 2020. La seconda è sviluppare i pagamenti elettronici e ridurre il fatturato in nero. La terza è rafforzare il tenge (moneta nazionale) sulle valute estere. Secondo Kelimbetov una serie di misure è prevista: divieto d’indicare i prezzi per beni, servizi o lavoro in valuta estera; l’introduzione di norme per pagamenti in contanti tra privati nelle operazioni su beni mobili e immobili; aumento delle garanzie dei depositi da 5 milioni a 10 milioni di tenge. In terzo luogo, diminuzione del tasso di remunerazione del risparmio al 3%. Secondo Kelimbetov il piano di de-dollarizzazione dell’economia nazionale comporta il lancio di diversi regolamenti per i pagamenti in contanti tra privati per le transazioni su beni mobili e immobili. Questi cambiamenti, secondo il capo della Banca nazionale, saranno introdotti gradualmente nella legislazione a medio termine. Riguardo la domanda se il Kazakistan potrà abbandonare completamente i pagamenti in dollari, Elena Kuzmina, a capo del settore per lo sviluppo economico degli Stati post-sovietici dell’Istituto di Economia RAS, pensa che oggi per il Kazakistan sia possibile sostituire gradualmente il dollaro con altre valute, soprattutto lo yuan. Un certo numero di accordi con la Cina sono stati firmati in yuan o cambio yuan-tenge, e inoltre vi è un accordo tra le banche nazionali dei due Paesi. Ma non riguarda tutte le operazioni valutarie ma un certo volume valutario. Inoltre, nel quadro dell’UEE, un certo numero di contratti commerciali e produttivi russo-kazaki sono stati firmati in rubli o in valuta estera. Tuttavia, la situazione con il forte calo del rublo russo ha gravemente compromesso la crescita di tale tendenza. “Un altro processo che potrebbe essere avviato dalle autorità del Kazakistan sarà diretto a privare il dollaro della funzione di moneta parallela. Inoltre, l’unica unità economica ufficiale nel Paese è il tenge. Danneggerebbe seriamente la popolazione poiché ha risparmi soprattutto in dollari. Inoltre, secondo gli economisti kazaki, se nel 2012 i depositi in valuta della popolazione erano il 38%, oggi sono già il 45%“, ha detto Elena Kuzmina. Sul commercio estero, il principale prodotto di esportazione del Kazakistan sono gli idrocarburi legati al dollaro nel mercato mondiale. Forse quando venduti alla Cina ciò avverrebbe in moneta nazionale. Ma il Kazakhstan vende idrocarburi non solo alla Cina, ma anche a Europa, Iran e Russia, e la maggior parte di beni e tecnologie industriali viene acquistata in occidente. Molto probabilmente le autorità kazake possono e perseguiranno le politiche de-dollarizzazione, contribuendo a rafforzare l’economia nazionale, in tal modo aiutando Cina e UEE (a condizione che l’unione gestisca le questioni economiche dichiarate nel trattato UEE). Ma farlo rapidamente e per di più in una sola volta, non è possibile né saggio (il dollaro è ancora la valuta mondiale). Elena Kuzmina ha notato che la de-dollarizzazione diventa gradualmente una tendenza mondiale. “Non è una iniziativa indipendente del Kazakistan o un qualsiasi altro Paese che promuove o guida la politica della de-dollarizzazione“, ha detto l’economista. I parlamentari kazaki sono divisi sul tema. Alcuni sono convinti che il Kazakistan debba abbandonare comunque dollaro ed euro nei pagamenti. I deputati hanno calcolato che una banconota da 100 dollari costa solo 14 centesimi. Ciò significa che i Paesi che depositano i loro conti in valuta statunitense lavorano per l’economia di un solo altro Paese: gli Stati Uniti.
Viktoria Panfilova è editorialista Nezavisimaja Gazeta e della rivista online “New Eastern Outlook“.
La debacle degli USA in Asia: il TTP dopo l’AIIB?
Dedefensa 4 aprile 2015
Mentre si leccano le gravi ferite raccolte con l’enorme disfatta subita con l’AIIB, la banca d’investimento lanciata dalla Cina, gli Stati Uniti ora affronterebbero una nuova disfatta sul teatro dell’Asia-Pacifico, riguardo al destino del cosiddetto Trattato di “libero commercio” Trans-Pacifico (TTP) che cercano d’imporre all’intera Asia-Pacifico, cioè a una serie di Paesi da cui la Cina è attentamente esclusa (Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Stati Uniti e Vietnam). Qui, ciò che interessa il blocco che impedisce la conclusione dei negoziati per il terzo anno consecutivo, non riguarda il contenuto del Trattato ma il funzionamento dei poteri negli Stati Uniti. Molti Paesi, tra cui Canada e Giappone, si sono rifiutati di definire l’accordo se il Congresso non voterà la Trade Promotion Authority (TPA) del presidente, versione speciale per la TPP del Fast Truck Authority, generalmente richiesta dal presidente per negoziare e concludere un trattato. (Si tratta di una legge che accorda al Congresso il diritto di votare “sì” o “no” quando sarà presentato il trattato, ma non il diritto di apportarvi emendamenti). La possibilità di ottenere la TPA sembra impossibile per il 2015, e anche per il 2016 (anno delle elezioni presidenziali), e così via. Ennesimo esempio dell’assolutamente paralizzante conflitto a Washington tra potere esecutivo e potere legislativo, tra presidente democratico odiato dai repubblicani e Congresso repubblicano. (Sul lato transatlantico del TTIP, nei negoziati l’UE ha visto qualcosa in tal senso? Avevamo evidenziato l’ostacolo fondamentale del FTA (cfr. 10 gennaio 2014 e 1 febbraio 2014). Sulla TTIP si veda Jacques Sapir, 4 aprile 2015). Altra conferma che paralisi ed impotenza del potere a Washington sono tra i più imponenti ed efficaci aspetti della decadenza-disintegrazione del potere degli Stati Uniti. Il sito WSWS.org del 4 aprile 2015 dà conto dello stato attuale dei negoziati, da cui prendiamo questi passaggi.
Dopo aver subito una sconfitta decisiva nel tentativo d’impedire ad altri Paesi di unirsi alla nuova Banca di investimenti infrastrutturali asiatica della Cina (AIIB), il governo degli Stati Uniti affronta crescenti difficoltà nella grande operazione per dominare la regione Asia-Pacifico: la cosiddetta Trans-Pacific Partnership (TPP). Nelle Hawaii, il mese scorso, l’ultimo round dei cinque anni di colloqui sul TPP tra i 12 governi interessati, è finito senza ulteriori accordi. Per il terzo anno consecutivo, la scadenza della Casa Bianca per un accordo finale sembra destinata ad essere violata nel 2015. Significativamente, il principale ostacolo questa volta non sono le distanze tra Stati Uniti e Giappone sui mercati dell’auto e agricolo, ma i dubbi sulla capacità del presidente Barack Obama di avere l’approvazione del Congresso a firmare l’accordo. (…) La volontà di questi Paesi nel fare le dovute concessioni agli Stati Uniti, è minata dal fallimento di Obama nel garantirsi il supporto per la Trade Promotion Authority (TPA), in modo da firmare il TPP e poi farlo ratificare dal congresso con un mero “sì” o “no”. Senza il TPA, il Congresso potrebbe imporre emendamenti all’accordo negoziato, annullandolo. Secondo Japan Times: “Diversi partner, tra cui Canada e Giappone, hanno pubblicamente dichiarato che non concluderanno i negoziali finché il Congresso non concederà la TPA all’amministrazione Obama. Con il profilarsi delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, un ulteriore ritardo rischia realmente di ritardare il TPP al 2017. Gran parte della resistenza del Congresso degli Stati Uniti è legata alle lobby protezionistiche delle industrie nazionali e dei sindacati...”
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora


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