Val
Torniamo alla LIRA
Ci siamo: il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è sulla rampa di lancio.
Dopo la sua approvazione in Consiglio dei ministri, bucherà la stratosfera parlamentare fra oggi e domani
e raggiungerà il pianeta Bruxelles nel fine settimana.
Si può dire, per semplicità, che il piano è composto, per una parte, da interventi di spesa e, per un’altra, da riforme normative strutturali.
Per adesso limitiamoci ai primi, dato che le seconde sono ancora da definire.
Il loro ventaglio è ampio:
dalla sanità alla ricerca,
dalle strade alle ferrovie,
dalla scuola alla digitalizzazione,
dall’energia solare alla banda larga, per un totale di 220 miliardi.
Due volte, più o meno, la cifra che con il Piano Marshall gli Stati Uniti destinarono alla ricostruzione italiana alla fine della guerra.
Tutto bene, allora?
Per la verità, accanto a molte luci, ci sono anche ombre.
Al di là di alcuni progetti marginali sui quali si può discutere, complessivamente il piano è ben costruito,
equilibrato nella ripartizione, dettagliato.
Individua perfino il numero di stazioni ferroviarie da ammodernare, di asili da costruire, di scuole da rifare.
Roba seria, insomma, niente di paragonabile con quello buttato giù dal governo precedente.
Inoltre e finalmente, privilegia la spesa produttiva,
quella che in teoria crea ulteriore ricchezza, lavoro, investimenti di privati, incrementa il Pil e la produzione.
A questo proposito, tuttavia, è opportuno non farsi illusioni:
sebbene la spesa prescelta sia quasi tutta qualificabile come produttiva,
è da tenere presente che il moltiplicatore Keynesiano, che si collega proprio a questo tipo di spesa,
è più un mito infiocchettato col nastro marxista per giustificare il centralismo e l’economia di stato, che una verità assoluta.
Nei prossimi anni capiremo se il moltiplicatore si è davvero “attivato”.
È possibile che alla fine, quando faremo i conti, la sorpresa sia amara........
“Che cielo ti salvi dalla guazza e dagli assassini”, disse il Grillo parlante a Pinocchio
in procinto di entrare nella foresta per poi incontrare il Gatto e la Volpe.
Dopo la sua approvazione in Consiglio dei ministri, bucherà la stratosfera parlamentare fra oggi e domani
e raggiungerà il pianeta Bruxelles nel fine settimana.
Si può dire, per semplicità, che il piano è composto, per una parte, da interventi di spesa e, per un’altra, da riforme normative strutturali.
Per adesso limitiamoci ai primi, dato che le seconde sono ancora da definire.
Il loro ventaglio è ampio:
dalla sanità alla ricerca,
dalle strade alle ferrovie,
dalla scuola alla digitalizzazione,
dall’energia solare alla banda larga, per un totale di 220 miliardi.
Due volte, più o meno, la cifra che con il Piano Marshall gli Stati Uniti destinarono alla ricostruzione italiana alla fine della guerra.
Tutto bene, allora?
Per la verità, accanto a molte luci, ci sono anche ombre.
Al di là di alcuni progetti marginali sui quali si può discutere, complessivamente il piano è ben costruito,
equilibrato nella ripartizione, dettagliato.
Individua perfino il numero di stazioni ferroviarie da ammodernare, di asili da costruire, di scuole da rifare.
Roba seria, insomma, niente di paragonabile con quello buttato giù dal governo precedente.
Inoltre e finalmente, privilegia la spesa produttiva,
quella che in teoria crea ulteriore ricchezza, lavoro, investimenti di privati, incrementa il Pil e la produzione.
A questo proposito, tuttavia, è opportuno non farsi illusioni:
sebbene la spesa prescelta sia quasi tutta qualificabile come produttiva,
è da tenere presente che il moltiplicatore Keynesiano, che si collega proprio a questo tipo di spesa,
è più un mito infiocchettato col nastro marxista per giustificare il centralismo e l’economia di stato, che una verità assoluta.
Nei prossimi anni capiremo se il moltiplicatore si è davvero “attivato”.
È possibile che alla fine, quando faremo i conti, la sorpresa sia amara........
“Che cielo ti salvi dalla guazza e dagli assassini”, disse il Grillo parlante a Pinocchio
in procinto di entrare nella foresta per poi incontrare il Gatto e la Volpe.