"ANDRA' TUTTO BENE" E' GIA' STATO DETTO?

Bene. Noi ce ne stiamo qui con le limitazioni alla libertà personale
ed una delle ragioni sono l'occupazione dei "posti letto".

Bene. Sapete cosa è successo all'ospedale di Lecco ?

Perchè mi è stato detto proprio da uno di loro
"siamo un'azienda e dobbiamo far quadrare il bilancio"

Hanno convertito un'intero reparto di mezzo piano ad "hospice".
Dove si paga..........


"La medicina vive la tentazione di una onnipotenza che la fa ritirare quando non c'è più nulla da fare.
Qui invece c'è la dimensione della cura che ricorda che quando non c'è più la possibilità di guarire c'è quella di accompagnare verso la fine".

Così ha sintetizzato una delle mission dell'hospice, guardando con favore alla nuova struttura aperta all'interno dell'ospedale Manzoni di Lecco.


10 posti in altrettante stanze singole, con spazi riservati ai parenti,
in un ambiente confortevole, delicato, che incute un senso di rilassatezza e di pace,
predisposte con televisore, software di intelligenza artificiale modello Alexa che si attiva su indicazione del degente,
e poi aree di convivialità de altre più intime.

Quest'oggi l'hospice Resegone è stato ufficialmente aperto, alla presenza di tutte le autorità locali e gli enti che in questi mesi si sono date da fare per la sua realizzazione.

"Oggi è un giorno importante" ha detto il dottor Scaccabarozzi
"completiamo una rete locale di cure palliative con un hospice voluto all'interno dell'ospedale.
A causa di una estrema fragilità sia clinica che sociale le persone potranno restare a morire nella struttura che li ha accolti,
in un contesto accudente, in grado di controllare i sintomi disturbanti che determinano una importante sofferenza,
coinvolgendoli con i loro famigliari nelle scelte dei trattamenti, garantendone il benessere emotivo,
la vicinanza dei loro cari in spazi dedicati, con conforto religioso e spirituale per dare dignità al percorso di fine vita".



Vi faccio presente che esattamente a 100 metri - CENTO METRI - si trova l'Istituto Airoldi e Muzzi
nato come ospizio per le persone indegenti, sviluppatosi nel corso di decenni con 3 costruzioni
adibite a casa di riposo con lauta retta di degenza. Ed un'altro Hospice esiste ad Airuno.



Eh già, noi però contiamo i posti letto occupati, per le restrizioni covid.
 
Due pesi. Due misure.
E adesso?


Bando ai trionfalismi di chi, dalla parte dell’Ucraina,
pensa che le forze armate russe si siano “impantanate”,
stiamo assistendo a un cambio di passo.

Dal colpo di mano si passa alla guerra di conquista.

Nella guerra di conquista, il ricorso al bombardamento massiccio di aree urbane,
i maggiori centri di resistenza ucraini, sarà pressoché inevitabile.

Molto probabilmente arriverà la risposta alla domanda degli osservatori occidentali
(come in questa analisi del centro studi britannico Rusi)
sull’assenza quasi completa dell’aviazione russa dai cieli dell’Ucraina.

Una delle risposte è nella carenza di ordigni di precisione (PGM):

“Durante le operazioni militari sulla Siria, solo gli Su-34 (aereo d’attacco e bombardamento a medio raggio, ndr)
hanno fatto un uso regolare dei PGM e anche questi aerei specializzati nei raid di precisione
hanno fatto spesso uso di bombe e razzi non guidati.
Ciò non indica solo una familiarità molto limitata con i PGM fra gli equipaggi russi,
ma rafforza anche la teoria, ampiamente accettata, che le scorte dei PGM aerei in Russia siano assai scarse.
Anni di operazioni di guerra in Siria possono aver ulteriormente consumato queste scorte
e può voler significare che il grosso dei 300 aerei dell’aviazione russa concentrati nell’area ucraina,
abbia solo bombe e razzi non guidati a disposizione per gli attacchi al suolo”.


Brutto dirlo, ma quando un pubblico occidentale
vede la distruzione di città abitate da popolazioni asiatiche e islamiche raramente si commuove.

Diverso è il bombardamento di città europee, a due ore di aereo da noi.

I ceceni, soprattutto nel periodo della Guerra al Terrorismo (dopo l’11 settembre)
ed a maggior ragione dopo le loro prese di ostaggi al teatro Dubrovka di Mosca (2002)
e dopo la strage della scuola di Beslan (2004),
non suscitavano affatto le simpatie dell’opinione pubblica occidentale.

Men che meno hanno suscitato compassione ed empatia i bombardamenti sulle città siriane,
iniziati subito dopo che l’Isis aveva mostrato il volto più feroce del terrorismo islamico.

In quel periodo, anzi, la Russia era vista come la potenza che “sapeva combattere i jihadisti”.

L’opinione pubblica non è determinante per la vittoria militare di un conflitto,
ma renderà difficile o impossibile ai russi vincere la pace,
che sarà il compito più arduo che il Putin dovrà affrontare.
 
I "progressisti" cinesi...forse.



Giochiamo a “chi scopre la differenza?”.

Anno 1931.

Con un Regio decreto (n.1227), il Governo Mussolini
inserisce la cosiddetta clausola di fedeltà al fascismo nel giuramento dei docenti di ruolo
e degli incaricati nei Regi istituti d’istruzione superiore.

L’incipit modificato del testo del giuramento recita:
“Giuro di essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime Fascista”.

La sanzione per chi si fosse rifiutato di pronunciare la nuova formula del giuramento
sarebbe stata la perdita della cattedra e dei connessi diritti alla liquidazione e alla pensione.


Anno 2022.

Valery Gherghiev, uno dei più grandi direttori d’orchestra al mondo, russo e amico di Vladimir Putin,
avrebbe dovuto dirigere alla Scala di Milano La dama di picche, opera in tre atti e sette scene
composta da Pëtr Il’ič Čajkovskij con libretto di Modest Il’ič Čajkovskij, fratello minore del compositore,
ispirata a un racconto di Aleksandr Puškin, del 1834.


Ma Valery Gherghiev non ci sarà perché, nel frattempo,

è stato rimosso dall’incarico su esplicita richiesta de
l sindaco (progressista) di Milano, Beppe Sala.


La motivazione del “licenziamento”?

Richiesto di condannare l’invasione russa dell’Ucraina, Valery Gherghiev sarebbe rimasto in silenzio.


Qual è la differenza tra i due episodi citati?



Oggi che il nemico pubblico numero uno dell’Occidente si chiama Vladimir Putin e sta a Mosca,

la marea del politicamente corretto è tornata a montare.


Le “camicie nere” della democrazia hanno avviato il repulisti: manca solo l’olio di ricino.


Si voleva un’abiura da Gherghiev, come ai tempi di Giordano Bruno.
 
E il libero pensiero?

Che vada a ramengo.

Come da tempo capita alla secolare tradizione occidentale propugnatrice della tolleranza
– da Montaigne a Pierre Bayle, da Baruch Spinoza a John Locke, a John Stuart Mill
per la quale “le opinioni non sono azioni”.

Coloro che oggi marcano un dissenso rispetto alle scelte politiche e strategiche
adottate dai Paesi del blocco occidentale nella gestione della crisi russo-ucraina
sono accusati di intelligenza col nemico.


Come se non bastasse, è cominciata una sorta di damnatio memoriae
per tutto ciò che evochi in qualche modo la Madre Russia.

Anche nelle sue espressioni più nobili.

Persino l’incolpevole Fëdor Dostoevskij c’è andato di mezzo.

La vicenda, che sarebbe tragica se non fosse comica,
nella quale è stato tirato in ballo il nome del gigante della letteratura di tutti i tempi
l’ha raccontata bene sul nostro giornale Aldo Rocco Vitale.


Il dramma autentico è che vi sono in circolazione troppi fanatici da bar dello sport

destinati a infoltire le schiere dell’esercito di riserva del “politicamente corretto”.



Un potere alla luce del sole costruito su una menzogna:

dirsi tolleranti quando si è congenitamente intolleranti.


La vicenda della crisi ucraino-russa, in ordine cronologico, è solo l’ultima manifestazione di una contraddizione in termini.

La storia repubblicana, in particolare degli ultimi decenni,
è costellata di episodi nei quali la natura autoritaria dei finti liberali si è palesata in tutta la sua virulenza.


Il pericolo dell’inverarsi della profezia vaticinata da Ray Bradbury nel suo Fahrenheit 451
è incessantemente dietro l’angolo, pronta a rispuntare alla prima occasione.


Se si comincia a censurare

l’arte,

la letteratura,

il pensiero critico,


bisognerà andare a nascondersi nei boschi a imparare a memoria le opere del passato

che il regime del “Bene” vorrebbe cancellare, per tramandarle agli uomini liberi delle future generazioni.
 
Già il verbo “cancellare” affiancato alla parola “conoscenza” stride;

peggio,

l’espressione oggi molto in voga tra i progressisti Cancel culture invece genera un mostro:

un nazismo senza Adolf Hitler.


Quelli che si auto-elogiano definendosi “costruttori di ponti” nella realtà sono l’esatto contrario:

distruttori di ponti con la storia.



A sentire i benpensanti che ce l’hanno con Vladimir Putin
dovremmo azzerare gli effetti che la vasta tradizione letteraria russa ha prodotto in noi occidentali.

Ed anche la musica dei grandi compositori russi dovrebbe subire la medesima sorte.

Se una tale follia prendesse piede nello svolgersi della vita sociale,
questo non sarebbe più il nostro mondo ma quello di Matrix.


Se l’odierno Occidente, traviato dall’ideologia progressista,
non sa offrire niente di meglio che un puteolente impasto di moralismo bigotto e di stupidità tracotante,
mille volte preferibile sarebbe tornare agli antichi lidi dove libertà, buonsenso e ragionevolezza avevano diritto di cittadinanza.

Nessuno, a eccezione degli Stati d’Israele e della Romania, osò mettere al bando la musica di Richard Wagner,
tacciata a sproposito di essere servita da colonna sonora alle armate del Terzo Reich,
e neppure immaginò di zittire grandi direttori d’orchestra quali furono Herbert von Karajan e Wilhelm Furtwängler
(quest’ultimo a nostro avviso il più convincente interprete del repertorio wagneriano)
che pure si esibirono alla presenza del Führer.


Cosa sarebbe stato l’Occidente se, le potenze alleate, nel 1945,
avessero decretato il divieto d’insegnamento nei conservatori di tutto il mondo
della sublime musica di Ludwig van Beethoven, tedesco della Renania?

L’inno alla gioia, nella partitura dell’immortale Nona, non sarebbe mai divenuto l’inno dell’Unione europea.

Oggi, se tutto ciò che richiama all’immaginario collettivo la patria di Čajkovskij e Dostoevskij diviene oggetto di censura,
ci toccherà persino imparare a memoria la ricetta dell’insalata russa, visto che a una tale prelibatezza, Putin o non Putin, non rinunciamo.


Il regime del pensiero unico politicamente corretto di questo Occidente raffazzonato
ha impiegato poco a imporre i suoi diktat.


E, come sempre, i politici italiani sono stati i più zelanti nell’ubbidire agli ordini impartiti dal centro di comando eurocratico.


Evidentemente la pratica repressiva,

esercitata mediante le limitazioni alla libertà individuali legittimate dallo stato d’eccezione nel periodo della pandemia, è servita.


Oggi è più facile colpire il dissenso in nome del pensiero unico politicamente corretto.


Nondimeno, in barba alle intimidazioni,
agli anatemi lanciati dagli utili idioti del potere
ed alle messe all’indice da parte degli allineati al politicamente corretto,
continueremo a esercitare un pensiero critico divergente, eterodosso, se necessario eretico,
rispetto alle scelte assunte dai Paesi del blocco occidentale riguardo alla postura
e alle misure da assumere nei confronti della leadership russa.


Non è il pacifismo sulfureo della sinistra radicale veteromarxista
ad averci contagiato.


Purtroppo, sono i fatti che si sono incaricati di darci ragione.

Non c’è gloria nel dire: l’avevamo detto.

Eppure, è così che è andata.

Tentare la prova muscolare con la Russia putiniana,
senza avere la forza di portarla fino alle estreme conseguenze,
si sta rivelando un suicidio per l’Occidente e una rovina per l’Ucraina.


Niente ci distoglie dalla convinzione che una forte azione diplomatica con il Cremlino,
leale,
a viso aperto,
pronta ad accogliere le ragioni dell’interlocutore,
condotta e conclusa prima che si scatenasse l’inferno,
avrebbe fermato il treno della guerra.


Se a dirlo si passa per disfattisti e nemici della patria, è semplicemente ignobile. Vile.


E coloro che a chiacchiere dicono di voler difendere l’altrui libertà di pensiero e d’espressione

negandola a chi gli è vicino

sono soltanto degli ipocriti

che nascondono la camicia nera sotto un elegante blazer.


La soluzione del gioco “scopri la differenza” è: nessuna differenza.
 
Armamenti, energia, finanza.

Sono queste tre oligarchie a controllare gli Usa, determinando la loro politica.

Che oggi schiaccia l'Europa sotto il peso delle sanzioni imposte alla Russia,
provocata per anni fino all’esplosione della resa di conti con il regime anti-russo di Kiev,
imbottito di manovalanza sfacciatamente neonazista.

Lo sostiene Michael Hudson, professore emerito di economia all’Università del Missouri-Kansas City,
nonché alfiere internazionale della Modern Money Theory.

Pochissime, nel mondo anglosassone, le voci indipendenti e non silenziate dalla “nebbia di guerra”
diffusa in modo orwelliano per criminalizzare Putin.

Tra queste l’economista canadese Michel Chossudovsky, fondatore di “Global Research”
(preoccupato per gli sviluppi dello scontro Russia-Nato)
e l’ex viceministro di Reagan, Paul Craig Roberts, che si augura che il Cremlino riesca a “bonificare” rapidamente l’Ucraina,
strumentalizzata da Washington per servire i peggiori interessi sulla pelle degli ucraini, dei russi e degli stessi europei.


Quali sono questi interessi americani che vogliono la guerra ?

E’ Hudson a entrare nei dettagli.

«La domanda da porsi è:

cosa sta cercando di cambiare o “risolvere” la Nuova Guerra Fredda di oggi?».


Dal 1991, la forza di aggressione è stata ininterrottamente incarnata dagli Usa,
che non hanno “smontato” la Nato (nonostante la fine del Patto di Varsavia)
ed hanno seminato terrore e morte in molte aree del mondo in nome della “sicurezza nazionale”,
espressione «utilizzata per interessi speciali che non devono essere nominati».

Di fatto, «la Nato è diventata l’organismo europeo di politica estera, fino al punto di dominare gli interessi economici interni».

Aggiunge Hudson:

«Il recente incitamento alla Russia, attraverso l’espansione della violenza etnica anti-russa da parte del regime neonazista ucraino»,
insediato con il “golpe Maidan” del 2014, ha centrato il bersaglio: «Forzare una resa dei conti».


Il movente, però è economico:

tenere legati a sé i membri Nato e altri satelliti dell’area del dollaro,

«poiché questi paesi hanno visto le loro maggiori opportunità di guadagno risiedere nell’aumento del commercio e degli investimenti con Cina e Russia».


Per capire esattamente quali obiettivi e interessi degli Stati Uniti sono minacciati – prosegue Hudson –
è necessario comprendere l politica statunitense e il suo “blob”, cioè la pianificazione centrale del governo,

«che non può essere spiegata guardando alla politica apparentemente democratica», cioè l’alternanza tra repubblicani e democratici.


Secondo Hudson, è più realistico considerare la politica economica ed estera degli Stati Uniti

«in termini di complesso militare-industriale, di petrolio e gas (e minerario) e di complesso bancario e immobiliare».


I deputati-chiave che siedono in Parlamento?

«Non rappresentano i loro Stati e distretti, quanto piuttosto gli interessi economici e finanziari dei loro principali contributori elettorali».



Ovvero: i tre grandi blocchi d’interesse che oggi avrebbero forzato l’Occidente verso la tragedia cui stiamo assistendo.

Tre entità che, secondo Hudson, «hanno acquisito il controllo del Senato e del Congresso

per inserire i propri responsabili politici nel Dipartimento di Stato e nel Dipartimento della Difesa».
 
Chi sono, questi tre soggetti?

«Il primo è il Military-Industrial Complex (Mic): i produttori di armi come Raytheon, Boeing e Lockheed-Martin».


Per Hudson, «la loro base economica è la rendita monopolistica,
ottenuta soprattutto dalla vendita di armi alla Nato, agli esportatori di petrolio del Vicino Oriente e ad altri paesi».

Attenzione:
«Le azioni di queste società sono aumentate immediatamente dopo la notizia dell’attacco russo,
guidando un’impennata del mercato azionario»,

sapendo che il Pentagono «fornirà un ombrello di “sicurezza nazionale”
garantito per i profitti del monopolio per le industrie belliche».

Il cartello delle armi, ricorda Hudson, è tradizionalmente rappresentato – alle Camere –
da politici di Washington e della California, oltre agli Stati del Sud.

In questi giorni, si brinda:

l’escalation militare in corso

«promette un aumento vertiginoso delle vendite di armi alla Nato e ad altri alleati degli Usa».

Esempio: «La Germania ha rapidamente accettato di aumentare la spesa per le armi a oltre il 2% del Pil».



Il secondo grande blocco oligarchico, prosegue l’economista,
è il settore dell’estrazione di petrolio e gas, cui si aggiunge l’estrazione mineraria (Ogam).


«Come il settore bancario e immobiliare, che cerca di massimizzare la rendita economica per acquistare alloggi e altri beni,
l’obiettivo del settore Ogam è massimizzare il prezzo della sua energia e delle materie prime».

Non a caso,
«il monopolio del mercato petrolifero dell’area del dollaro e l’isolamento dal petrolio e dal gas russi
è stata una delle principali priorità degli Stati Uniti da oltre un anno,
poiché l’oleodotto Nord Stream 2
minacciava di collegare più strettamente l'economia dell'Europa occidentale e quella russa».



Chi sono i principali lobbysti dell’Ogam?

Soprattutto i senatori del Texas, spiega Hudson.


Sicché,

«l’amministrazione Biden ha sostenuto l’espansione delle perforazioni offshore», ma anche «la rinascita del fracking statunitense».

Fuori dai confini,

«l’estensione della politica estera mira a impedire ai paesi stranieri di competere sui mercati mondiali,
dove siano più convenienti dei fornitori statunitensi».

Ergo:

«L’isolamento della Russia (e dell’Iran) dai mercati occidentali ridurrà l’offerta di petrolio e gas,
facendo aumentare di conseguenza i prezzi e i profitti aziendali».



Il terzo grande gruppo oligarchico, è il settore simbiotico “Finance, Insurance and Real Estate” (Fire).

Di fatto,
«è il moderno successore del capitalismo finanziario della vecchia aristocrazia fondiaria post-feudale europea, che vive di rendite fondiarie».


Cifre enormi:

«Circa l’80% dei prestiti bancari statunitensi e britannici sono al settore immobiliare»,

che agisce

«gonfiando i prezzi dei terreni per creare plusvalenze, esenti dalle tasse».


Questo blocco bancario e immobiliare incentrato su Wall Street, osserva Hudson,

è ancora più ampiamente basato sul supporto politico dei parlamentari lobbysti.


Chuck Schumer, senatore di Wall Street ora a capo del Senato, è stato «sostenuto a lungo da Joe Biden»,

a sua volta protettore storico «dell’industria delle carte di credito».


A livello nazionale,

«l’obiettivo di questo settore è massimizzare la rendita fondiaria e le plusvalenze derivanti dall’aumento della rendita fondiaria».


A livello internazionale, invece, l’obiettivo del settore “Fire” è quello di

«privatizzare le economie straniere (soprattutto per assicurarsi il privilegio della creazione di credito nelle mani degli Stati Uniti)».


Si mira quindi a

«trasformare le infrastrutture governative ed i servizi di pubblica utilità in monopoli
in cerca di rendita per fornire servizi di base (come assistenza sanitaria, istruzione, trasporti, comunicazioni e informatica)
a prezzi massimi anziché a prezzi agevolati».

E Wall Street, ovviamente,

«è sempre stata strettamente fusa con l’industria petrolifera e del gas
(vale a dire: i conglomerati bancari Citigroup e Chase Manhattan dominati dai Rockefeller)».


Ecco quindi spiegato come

il Fire finanziario-immobiliare,

il Mic militare e

l’Ogam energetico

«sono i tre settori “rentier” che dominano l’odierno capitalismo finanziario postindustriale»
.


Le loro fortune reciproche «sono aumentate vertiginosamente».


E le mosse per escludere la Russia dal sistema finanziario occidentale,

insieme agli effetti negativi dell’isolamento delle economie europee dall’energia russa,

promettono di stimolare un afflusso di titoli finanziari dollarizzati.


«Questo è il motivo per cui né l’industria né l’agricoltura svolgono oggi un ruolo dominante, nella politica estera degli Stati Uniti».


La convergenza degli obiettivi politici dei tre grandi “rentier”

«travolge gli interessi del lavoro e persino quelli del capitale industriale».
 
Come ha spiegato lo stesso Biden,
l’attuale escalation militare orchestrata dagli Stati Uniti (“Provocare l’Orso”) non riguarda proprio l’Ucraina.


«Biden ha promesso dall’inizio che le truppe statunitensi non sarebbero state coinvolte,
ma ha chiesto per oltre un anno che la Germania impedisse al gasdotto Nord Stream 2
di rifornire la sua industria e le sue abitazioni con gas a basso prezzo»,

in modo che Berlino

«si rivolgesse ai fornitori statunitensi a prezzi molto più alti».



E così, dopo un anno di pressioni a vari livelli sui politici tedeschi,
la Germania non ha messo in funzione il super-gasdotto.

Uno degli obiettivi principali dell’odierna Nuova Guerra Fredda – sottolinea Hudson –
è quello di monopolizzare il mercato del gas:

già sotto Trump, la Merkel era stata costretta a promettere di spendere 1 miliardo di dollari
per costruire nuove strutture portuali per le navi-cisterna statunitensi.

Poi, l’avvicendamento alla Casa Bianca e il ritiro della Cancelliera hanno congelato l’investimento portuale,
lasciando la Germania senza alternative al gas russo.

Ed ecco dunque la stretta di oggi: obiettivo, «l’impennata dei prezzi del petrolio e del gas, soprattutto a scapito della Germania».



Oltre a creare profitti e guadagni sul mercato azionario per le compagnie petrolifere statunitensi – rileva Hudson –
l’aumento dei prezzi dell’energia sottrarrà gran parte del vigore all'economia tedesca.

Certo, il rincaro di benzina, riscaldamento e altri servizi danneggerà tutti,
anche i cittadini statunitensi, riducendo il loro tenore di vita.

«Ciò potrebbe spremere i proprietari di case e gli investitori emarginati, portando a un’ulteriore concentrazione della proprietà»,

accelerando le acquisizioni a danno di

«proprietari immobiliari in difficoltà, in altri paesi che devono far fronte all’aumento dei costi del riscaldamento e dell’energia».


Aumenteranno anche i prezzi dei generi alimentari, guidati dal grano:

Russia e Ucraina rappresentano il 25% delle esportazioni mondiali, nei cereali.

«Ciò comprimerà molti paesi del Vicino Oriente e del Sud del mondo con deficit alimentari,

peggiorando la loro bilancia dei pagamenti e minacciando l’insolvenza del debito estero».




E non è tutto:

le esportazioni russe di materie prime potrebbero essere bloccate dalla Russia
in risposta alle sanzioni e all’esclusione dallo Swift.

Questo

«minaccia di causare interruzioni nelle catene di approvvigionamento di materiali chiave, tra cui cobalto, palladio, nichel e alluminio».



Se poi la Cina decidesse di considerarsi la prossima nazione minacciata
e si unisse alla Russia in una protesta comune contro la guerra commerciale e finanziaria degli Stati Uniti,
le economie occidentali subirebbero un grave shock.


Il sogno a lungo termine dei fautori americani della Nuova Guerra Fredda, riassume Hudson,

«è quello di rompere la Russia, o almeno di ripristinare la sua cleptocrazia manageriale di Eltsin»,

assistita dagli “Harvard Boys”,

«con gli oligarchi che cercano di incassare le loro privatizzazioni nei mercati azionari occidentali».


Il cartello Ogam «sogna ancora di acquistare il controllo di maggioranza di Yukos e Gazprom».



Quanto a Wall Street, «vorrebbe ricreare un boom del mercato azionario russo».


E gli investitori del Mic (armamenti) vorrebbero «anticipare felicemente la prospettiva di vendere più armi, per contribuire a realizzare tutto questo».
 
Sul fronte opposto, invece,

«l’obiettivo a lungo termine della Russia è di strappare l'Europa dal dominio della Nato e degli Stati Uniti
e, nel frattempo, creare con la Cina un nuovo ordine mondiale multipolare
centrato su un’Eurasia economicamente integrata».



Dato che la Russia non invaderà mai l' Europa, riflette Hudson,

gli europei finiranno per chiedersi perché mai pagare cifre esorbitanti per l’armamentoUsa,

e perché mai strapagare l’energia fornita da Washington,

oltre a «pagare di più per il grano e le materie prime prodotte dalla Russia»,

perdendo anche la possibilità di fare profitti con l’export verso la Russia e, domani, forse, anche verso la Cina.




Ma le complicazioni non finiscono qui:

«La confisca da parte degli Stati Uniti delle riserve monetarie russe,

a seguito del recente furto delle riserve dell’Afghanistan

(e del sequestro dell’Inghilterra delle scorte auree venezuelane ivi detenute)

minaccia l’adesione di ogni paese al Dollar Standard,

e quindi il ruolo del dollaro come veicolo per il risparmio in valuta estera

da parte delle banche centrali del mondo.

Ciò accelererà il processo di de-dollarizzazione internazionale già avviato da Russia e Cina,

facendo affidamento sulle reciproche partecipazioni delle valute dell’altra».



A lungo termine, conclude l’economista,
è probabile che la Russia si unisca alla Cina
nel formare un’alternativa al Fmi e alla Banca mondiale,
tuttora dominati dagli Stati Uniti.

«L’annuncio della Russia di voler arrestare i nazisti ucraini

e tenere un processo per crimini di guerra

sembra implicare che un’alternativa alla corte dell’Aia

sarà istituita dopo la vittoria militare della Russia in Ucraina.


Solo un nuovo tribunale internazionale – aggiunge il professor Hudson –

potrebbe processare i criminali di guerra che vanno dalla leadership neonazista ucraina

fino ai funzionari statunitensi responsabili di crimini contro l’umanità

come definiti dalle leggi di Norimberga».



Hudson si aspetta che Mosca si ritiri a breve, dopo aver raggiunto gli obiettivi:

proteggere i russofoni de allontanare da Kiev la minaccia diretta alla propria sicurezza.


Infine, emerge l’autogol del “blob americano”:

«La più enorme conseguenza involontaria della politica estera statunitense

è stata quella di portare Russia e Cina insieme,

insieme a Iran, Asia centrale e altri paesi, lungo la Belt and Road Initiative».


Se la Russia sognava di «creare un nuovo ordine mondiale»,

finalmente in armonia con l’Occidente,

«è stato l’avventurismo statunitense a portare il mondo in un ordine completamente nuovo».


Un assetto

«che sembra essere dominato dalla Cina, come vincitore predefinito,

ora che l'economia europea è essenzialmente dilaniata

e che l’America è rimasta con ciò che ha preso dalla Russia e dall’Afghanistan,

ma senza la possibilità di ottenere un sostegno futuro».




Sperando che, ovviamente, tra Putin e Biden esista un accordo, sotto banco,
per non far degenerare oltre la situazione, evitando cioè lo scontro diretto.

Tutti sanno che, in quel caso, non ci sarebbero vincitori.


Discorsi che sembrano folli, nel 2022: eppure, Usa e Russia sono entrate in “allerta atomica”.


E paesi come l’Italia si accingono a varare aiuti militari al regime di Kiev.



Lo schema è tragicamente evidente:

dipingere la Russia come aggressore,

demonizzandola,

così come graziosamente richiesto dai tre grandi cartelli

che, secondo Hudson, avrebbero pianificato l’intero disastro:

armamenti,

energia e

finanza.
 
La guerra in Ucraina è sempre più l’unico vero argine che tiene in vita l’esecutivo.

Senza l’invasione di Putin, la crisi sarebbe già aperta.


E’ questa la convinzione che si rafforza ora dopo ora in Parlamento.

E che ha preso maggiore forza dopo quanto accaduto ieri in commissione Finanze della Camera sulla riforma del catasto,
con il Governo salvo per un solo voto.

“Il problema vero, infatti, è che l’incidente sfiorato sulla legge delega fiscale

è solo un antipasto di quanto può accadere su tutti gli altri dossier caldi da affrontare”,


si sfoga una fonte parlamentare dem.

Del resto, il segretario del Pd Enrico Letta ieri a caldo in un tweet si era detto “senza parole”:

"Il centrodestra ha appena tentato di far cadere il governo Draghi sul riordino del catasto. Non vi e' riuscito per un soffio”.


Rimane però il timore di un vero Vietnam parlamentare da adesso in poi.

Lo ammette col nostro giornale un’autorevole fonte di centrosinistra:

“E’ inutile negarlo. Ci sono però due tipi di paure.

Da un lato c’è chi, soprattutto gli eletti alla prima legislatura, teme di non arrivare alla pensione.


E dall’altro c’è chi è seriamente preoccupato che l’Italia possa perdere Draghi al timone in questo momento”.


Non si nasconde dietro un dito il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari:

“Se si va avanti in questo modo c'è il rischio che la maggioranza si spacchi.

Se continua a spaccarsi, prima o poi qualche cambiamento nel governo potrebbe esserci,

perché o ne prende coscienza Draghi o qualche partito della maggioranza si stufa”.




Quanto accaduto sulla delega fiscale e in particolare sulla norma del catasto ancora brucia parecchio.

Il vicepresidente della commissione Finanze e deputato della Lega Alberto Gusmeroli,
per esempio, tira le somme con Affari:

“Il risultato 23 a 22 certifica che non c’è stata la volontà del Governo di ascoltare metà della maggioranza.
Che peraltro aveva presentato un emendamento sugli immobili fantasma.
Col risultato che, senza cambiamenti, se nel 2023 vincesse il centrosinistra
ci sarebbero più tasse sulla casa per tutti e meno assistenza su asili nido, mense e scuola per le famiglie”.


Tra le fila di FI e della Lega c’è chi parla col nostro giornale di una vera e propria forzatura:

“La questione del catasto è stata volutamente forzata, approfittando del fatto che la gente fosse distratta dalla guerra”.


Non mancano poi i parlamentari che puntano l’indice contro il presidente di Commissione Luigi Marattin:

“Non è stato arbitro. Un arbitro non deve giocare la partita”.

E non sono teneri neppure nei confronti del ministro per i Rapporti col Parlamento:

Federico D’incà? Un arbitro che è andato a giocare un’altra partita”.


Di diverso avviso, invece, Fratelli d’Italia.

Per il capogruppo FdI alla Camera Francesco Lollobrigida, infatti, Marattin e lo stesso D’Incà

“fanno la loro parte. Lavorano perché possa prevalere l’idea che sia la sinistra a dare le carte”.


Ha trovato invece “imbarazzante” il cdx: in Commissione ieri

“c’è stato un timido tentativo di resistenza con il vero terrore di vincere la battaglia.
Il centrodestra di governo si certifica ancora una volta ininfluente
rispetto alle scelte dell'esecutivo perché l’atteggiamento che assume sembra più che altro un bluff”.


Secondo il capogruppo di FdI, comunque, sarà in Aula che si scopriranno le carte:

“Tra poco vedremo se terrà sul catasto, che è una vera patrimoniale mascherata.

C’è la possibilità che quella parte venga stralciata,

ma se ciò non dovesse accadere quello che noi auspichiamo è che tutto il centrodestra non voti il provvedimento

proprio perché non si tratta di un passaggio marginale.

Parliamo di uno dei presupposti su cui si è costruita la coalizione

e cioè la lotta alla tassazione e all’aggressione al patrimonio privato”.




Fonti di maggioranza di centrodestra che sostengono il governo, intanto,
dicono che si preparano alla battaglia nell'emiciclo:

“Ci sono 460 emendamenti. Sarà senza dubbio lotta su ognuno di essi”.


E sugli altri dossier, a cominciare dal ddl Concorrenza e fino all’annosa questione del Mes?

“Una cosa è sicura: con il catasto si è creato un grosso precedente”.


Se insomma si tratti di una slavina che diventerà una valanga “si vedrà”.

“Per ora dobbiamo rimanere uniti per affrontare la questione della guerra. Dopo, chissà”.

La gravità del conflitto, appunto.

E’ questo l’unico collante che può tenere accese le luci a Palazzo Chigi:

“Sarebbe da irresponsabili provocare una crisi in questa fase così delicata – ragiona un deputato dem -.
Certo è che molto dipenderà da Salvini e da quanto sarà in grado di resistere,
visto il pressing continuo di Giorgia Meloni, che dall’opposizione ha gioco facile”.


“Dopo quanto accaduto sul catasto,
in una situazione normale già si sarebbe ricorso alle elezioni,
prendendo atto che questo esecutivo è privo di strategie per la nazione
ed in particolare manca di coesione sulle scelte di fondo.

Il Covid, lo spread, il Pnrr e ora la guerra:
qualcosa per tenere insieme l'attuale accozzaglia chiamata governo le forze politiche la trovano sempre”.
 

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