Niente di nuovo sotto il sole e d'altra parte se ammettessero che ci sono delle cure
cadrebbe tutto il castello di carta delle "approvazioni in emergenza".
Mai che venga dato spazio ad un medico "che cura" a casa i pazienti al sorgere
dei sintomi nei primi 3 giorni della malattia. Quelli cruciali per evitare l'azione infiammatoria
che sta alla base del processo degenerativo.
Si nega l'utilizzo di un qualsiasi farmaco.
L'importante è negare e portare i pazienti in ospedale, così si incassa.........
rileggere bene : paracetamolo, fans e saturazione......ahahahah
ospedalizzazione assicurata. Tutto il resto è fuffa.
Negare tutto anche di fronte all'evidenza di medici "che curano a casa i pazienti"
e che non hanno avuti decessi in questi lunghi mesi.
Però loro danno risalto a 6000 pazienti "curati" in 4 mesi, mentre tutti gli altri
- decine e decine di migliaia - si sono appellati al Signore.
Si fa strada l’ipotesi di accettare una convivenza forzata con il virus.
Ci sono ormai alcuni farmaci molto efficaci che possono essere usati contro il rischio di ospedalizzazione e, in caso di ricovero, aiutano a guarire.
Quali protocolli esistono per le cure anti Covid?
Più che di protocolli si parla di «raccomandazioni» da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) e del Ministero della Salute.
L’ultimo aggiornamento dal parte del Ministero riguardo alle cure domiciliari risale ad aprile
e contempla una serie di casistiche con l’elenco delle opzioni possibili.
È di questi giorni, invece, l’uscita di un documento congiunto tra Società Italiana di Medicina Generale (SIMG)
e Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) che fa il punto sui farmaci esistenti.
La vera svolta nella gestione domiciliare è rappresentata dagli anticorpi monoclonali contro la proteina Spike,
che sono l'unico trattamento antivirale specifico ed efficace contro il SARS-CoV-2.
Quali farmaci vengono consigliati per una malattia di lieve entità?
«L’unico intervento sono le terapie contro i sintomi, quindi paracetamolo per la febbre e FANS per i dolori muscolo-scheletrici
— spiega Gianluca Trifirò, Professore Ordinario di Farmacologia dell’Università di Verona —, oltre al monitoraggio della saturazione.
I monoclonali possono essere considerati nelle prime fasi di infezione sintomatica per pazienti fragili o ad alto rischio
(diabetici, cardiopatici, persone molto anziane) nella gestione domiciliare:
è il medico di famiglia che deve identificare infatti il soggetto da trattare
e inviarlo tempestivamente alle strutture di riferimento. Questi farmaci sono somministrati per infusione in ambulatori dedicati».
Quando vengono usati e quali benefici portano i monoclonali?
«Sono gli unici farmaci che abbiano dimostrato un’azione antivirale, utile soprattutto nelle primissime fasi,
entro i primi 3-4 giorni dall’eventuale insorgenza della sintomatologia clinica lieve/moderata — chiarisce l’esperto —.
In termini di riduzione della viremia sono tutti efficaci, soprattutto rispetto a molti altri farmaci già in commercio
testati come antivirali contro il SARS-COV2 che nel tempo si sono rivelati inutili, se non addirittura dannosi.
Sono anticorpi che vanno a legarsi alla proteina Spike e impediscono l’ingresso nelle cellule e, quindi, la replicazione del virus.
Ad oggi risultano sicuri, molto efficaci e richiedono una sola infusione».
Secondo i primi studi, i monoclonali in uso sarebbero efficaci anche contro la variante Delta.
Sono autorizzati in Italia?
Hanno un’autorizzazione di emergenza e, in maniera simile ai vaccini che hanno ricevuto approvazione condizionale,
è contemplata una rivalutazione del loro profilo rischi-benefici sulla base di nuovi dati generati dopo la loro commercializzazione.
In Italia sono oltre 6.100, dal 10 marzo a fine giugno, i pazienti Covid che li hanno ricevuti.
La maggior parte di questi è stata trattata con la combinazione di bamlanivimab e etesevimab di Eli Lilly,
poi c’è la combinazione casirivimab e imdevimab di Regeneron-Roche.
Il 17 giugno è stato aggiunto nell’elenco dei farmaci rimborsabili dal Servizio Sanitario anche se non autorizzati
il tocilizumab (per il trattamento di soggetti adulti ospedalizzati con Covid grave
e/o con livelli elevati degli indici di infiammazione sistemica, in condizioni cliniche in rapido peggioramento).
Tale anticorpo monoclonale, già autorizzato per il trattamento dell’artrite reumatoide,
è stato appena inserito anche dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nelle linee guida dei trattamenti anti Covid.
Su casi seri e gravi in ospedale che cosa viene utilizzato?
«Soprattutto in quei pazienti che vanno a desaturare,
si è visto che ha una grandissima efficacia il cortisone, in particolare il desametasone,
che ha mostrato dei risultati eccezionali in termini di riduzione della mortalità.
Si associa spesso l’eparina, ma come terapia profilattica, in pazienti che hanno polmoniti e sono immobilizzati.
Altri farmaci con un’azione antinfiammatoria e immunosoppressiva si sono rivelati utili,
come il tocilizumab, ma è da riservare solo a una certa categoria di pazienti ed in aggiunta al cortisone», chiarisce Trifirò.
Rispetto alla prima tragica ondata quante persone riusciamo a salvare in ospedale?
«Con il cortisone in terapia intensiva abbiamo veramente la possibilità di dimezzare quasi il rischio di mortalità rispetto ai primi periodi — dice lo specialista —.
L’importante è anche prevenire l’accesso in ospedale dei pazienti fragili, a più alto rischio di mortalità, e per questo gli anticorpi monoclonali sono molto utili».
I vaccinati devono essere curati allo stesso modo?
«In linea di principio sì», dichiara Trifirò.
In autunno sono in arrivo altri farmaci che potrebbero aiutarci?
Entro la fine dell’anno potremmo avere a disposizione quattro (se non di più) anticorpi monoclonali anti-proteina Spike :
quali la combinazione di bamlanivimab ed etesevimab di Eli Lilly
e la combinazione di casirivimab e imdevimab di Regeneron-Roche, già autorizzati in Europa per uso emergenziale,
e regdanivimab di Celltrion
e sotrovimab di GlaxoSmithKline-Vir Biotechnology, in fase di revisione da parte di EMA;
inoltre ci sono molte aspettative su immunosoppressori già in commercio per il trattamento dell’artrite reumatoide,
quali baricitinib e tofacitinib.