Qualcosa si muove a Lecco.
Ma gli anticocrpi monoclonali si conoscono dallo scorso anno.
Si fossero mossi prima.......oggi non saremmo così ridotti.
''Rispetto ad un anno fa non siamo più così disarmati contro il virus''.
A dirlo è la dottoressa Stefania Piconi, primaria del dipartimento malattie infettive dell'Asst di Lecco,
nel fare il punto sulle terapie attualmente utilizzate nei due ospedali lecchesi in cui si combatte il Covid, Mandic e Manzoni,
e in particolare nel presentare lo studio in fase di svolgimento sull'utilizzo degli anticorpi monoclonali.
Nel corso della conferenza stampa che si è svolta nel pomeriggio odierno, mercoledì 7 aprile,
la dottoressa Piconi ha riferito che la cura ha finora prodotto risultato soddisfacenti.
''Come sappiamo abbiamo a che fare con una malattia bifasica: una consiste nella replicazione attiva del virus,
l'altra – che può mettere seriamente a rischio la vita delle persone infette –
riguarda la risposta infiammatoria esagerata nei confronti del coronavirus.
Perciò anche la terapia si distingue in due momenti precisi.
Nella prima abbiamo bisogno di antivirali, nella seconda di qualcosa che riduca questa eccessiva attivazione del sistema immunitario.
Quello che usiamo nel momento in cui si instaura una certa saturazione è l'ormai noto Remdesivir, che blocca o riduce la moltiplicazione del virus.
Quando viene somministrato rapidamente, nella prima fase del contagio, ha un'efficacia notevole.
Tra il gruppo di farmaci antivirali che stiamo integrando con grande soddisfazione ci sono i monoclonali.
Nella nostra Asst ne abbiamo di tre tipi, sostanzialmente hanno il ruolo di legarsi alla proteina Spike
che il virus utilizza per entrare nelle cellule, bloccandone questo passaggio e di conseguenza la sua replicazione.
Ad oggi gli anticorpi monoclonali sono stati usati su due pazienti che partivano da una situazione clinica generale molto compromessa.
Questi due individui ci sono stati segnalati dai medici di riferimento, in 48 ore abbiamo organizzato il percorso di infusione della terapia.
In entrambi i casi non hanno avuto manifestazioni cliniche e nell'arco di una settimana si sono negativizzati dal virus''.
La sperimentazione di questi antivirali presso il dipartimento gestito dalla dottoressa Picone, come spiegato da lei stessa,
ha raggiunto la terza fase di studio, sta ottenendo risultati significativi e non è dunque così lontano dal diventare una terapia consolidata e pronta all'uso.
''I pazienti eleggibili per questa terapia sono pazienti che hanno una situazione di partenza già compromessa,
hanno una malattia che ha fatto il suo esordio entro 10 giorni dalla scoperta della positività e che abbiano la manifestazione di sintomi.
Somministrare questa cura dopo due settimane non avrebbe senso dato che la malattia vive di due fasi.
Sono in arrivo dei monoclonali di seconda generazione, più efficaci nella risposta alle diverse varianti del virus''.
La terapia degli anticorpi monoclonali è destinata a pazienti non ricoverati e deve essere prescritta dai medici di base,
istruiti poco dopo la metà di marzo sull'ingresso di questa nuova cura,
i quali devono in un certo senso prevedere che un paziente fragile positivo con sintomi ancora lievi potrebbe avere complicazioni serie.
L'Asst, una volta ricevuta la segnalazione, convocherà il paziente
per sottoporlo all'iniezione degli anticorpi monoclonali attraverso flebo alla quale segue un'ora di osservazione.
La dottoressa Picone ha anche ipotizzato che nei prossimi mesi questa terapia potrà avvenire anche a domicilio,
peraltro attraverso la somministrazione del farmaco per via orale.
Riguardo la seconda fase della malattia, la primaria ha spiegato che in Asst è ancora in uso la cura attraverso cortisone
per attenuare la risposta eccessiva del sistema immunitario, ed è in fase di studio l'utilizzo del baricitinib,
un inibitore di alcuni enzimi che hanno un ruolo importante nel processo infiammatorio del Covid-19.