Una deuda consolidada de menos del 80% del PIB y consolidada neta de menos del 35% es “impagable”. Se llama profecía autocumplida: “si gritamos que vamos a impagar, nadie nos refinanciará y, en efecto, impagaremos”. Ultime analisi debito netto sul pil 35%....
Commento del professor Emilio Ocampo:
L'Argentina non è un paese eccessivamente indebitato; una volta compensato il debito pubblico interno, il debito netto del governo nazionale rappresenta il 41,2% del PIL (secondo il FMI). Il problema è che soffre di "intolleranza finanziaria" ed è un "peccatore originale". La prima implica che un rapporto debito/PIL superiore al 35% generi instabilità macroeconomica. La seconda implica che non possa contrarre prestiti a lungo termine nella propria valuta. Entrambe le condizioni sono dovute a decenni di inflazione elevata, persistente e volatile che l'hanno lasciata senza una valuta. Grazie alla degenerazione fiscale del nostro sistema politico, il peso ha cessato di essere una valuta ed è diventato un debito pubblico non pagato. Ciò ha lasciato l'economia priva di uno strumento essenziale per il suo sviluppo. Inoltre, a causa della sua storia di ricorrenti insolvenze e del rischio permanente che il populismo torni al potere, l'Argentina non può accedere ai mercati internazionali. Il credito delle organizzazioni internazionali è al limite. Ciò significa che gran parte del suo debito (il 45% del debito lordo) è denominato in pesos, deve essere collocato sul mercato locale (soppiantando il credito privato), è indicizzato, è a breve termine (l'82% scade nei prossimi due anni) e affronta scadenze importanti ogni trimestre. Non avere una valuta ha gravi conseguenze fiscali. L'equilibrio di bilancio è compromesso quando il mercato richiede tassi di interesse eccessivamente elevati, soprattutto in periodi di incertezza. Se il Tesoro non vuole convalidare questi tassi, deve ridurre le condizioni, il che non fa che rinviare il problema. E se li convalida, potrebbe finire per generare un deficit quasi fiscale. Una storia che abbiamo già visto molte volte. Il Brasile ha un rapporto debito netto/PIL doppio di quello dell'Argentina e non convive con lo spettro del rinnovo del debito.
Vedi l'allegato 772301
Quindi gira e rigira il principale problema resta la fiducia. Interna, degli stessi argentini, nella propria moneta spazzatura e soprattutto esterna di possibili investitori e creditori internazionali. E quindi l'unico percorso di risanamento possibile (al netto delle estrosità e manifestazioni sopra le righe e forse di qualche progetto troppo ardito e rischioso e fortunatamente irrealizzabile come la dollarizzazione hard) non è comunque troppo lontano dalla ricetta di Milei.
Solo un lungo percorso di sacrifici può farli uscire da questa continua spirale a circolo vizioso.
La cosa opportuna però sarebbe che tali sacrifici siano possibilmente ripartiti in base alla sostenibilità per categoria sociale. Ossia un partito di stampo liberale che sia realmente in buona fede nel voler realizzare il "milagro" sarebbe utile che non governasse avendo come riferimento una classe sociale, di censo, come propria base elettorale a cui strizzare l'occhio. Quindi non approntare misure che per il solo amore della libertà
tout court in senso economico, consenta a chi sta meglio economicamente di "scappare" dalla loro valuta con i soldi veri (gli USD) lasciando il paese affondare.
Il paese si risana a partire dagli stakeholder interni messi meglio, fosse anche a botte di patrimoniali, ma è fondamentale ricostruirsi una reputazione internazionale, verso l'estero.
Devo dire che la "pazzia" del personaggio attualmente in carica, mi fa propendere se non altro per credere in un certo suo grado di ortodossia e buonafede nel suo progetto.
Più rischioso sarebbe il tipico governo di destra economica semplicemente portatore di interessi di classe di riferimento, come può essere stato quello di Macrì. Poi certamente così saranno il grosso dei partiti presenti come suoi alleati da cui dipende il grosso dei voti su cui attualmente può contare in parlamento. E certamente molti dei voti che lo hanno eletto a presidente e che gli dovranno riconfermare il sostegno il 26 ottobre, sono voti guardando al proprio portafoglio.
Gli consiglierei tuttavia di non deludere soprattutto la quota di voti che ha preso da chi semplicemente lo ha votato non per difendere propri interessi economici consolidati, ma perché pur se in una condizione economica meno privilegiata, ha capito che si doveva cambiare e che con le promesse del populismo che sussidia tutto a deficit, non si va lontano e non si uscirà mai dalla spirale della povertà.