Azione legale titoli Popolare di Vicenza e Veneto Banca

Utente dottore Dulcamara, da altro Forum:
I risparmiatori di Banca Marche potranno chiedere l'indennizzo al ministero per il crac dell'istituto di credito.
Lo ha deciso il Consiglio di Stato, a cui è ricorsa l'Unione Nazionale Consumatori (Unc) tramite un pool di avvocati, includendo anche i risparmiatori di Cariferrara, Banca Etruria e Carichieti, Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
Sono i risparmiatori inizialmente esclusi dal fondo di indennizzo dei risparmiatori istituito dal ministero dell'Economia e delle Finanze (Mef) dopo i default bancari che hanno investito anche le Marche.
Per l'istituto marchigiano si parla un centinaio di ex clienti che avevano affidato alla banca cifre importanti, anche vicine agli 80mila euro.
La sentenza è di questi giorni e l'ha resa nota un avvocato del foro di Ancona, Corrado Canafoglia, che fa parte del pool dei legali per l'Unc. Gli esclusi in tutta Italia si aggirano sulle 5mila persone che non hanno rivisto più un euro dopo i fallimenti degli istituti di credito. Accolto il ricorso, il Consiglio di Stato riammette i risparmiatori cui era stata rigettata l'istanza di indennizzo per non aver provato la sussistenza delle "violazioni massive", requisito necessario per ottenere il rimborso. "L'azionista/obbligazionista ha indicato chiaramente la violazione massiva e, fatto ancor più rilevante - spiega l'avvocato Canafoglia -, ha allegato la relativa documentazione a supporto, ma tali circostanze non sono state considerate dalla commissione tecnica valutatrice. Ora si apre la strada per gli indennizzi".
 

Ex Popolari e Fir Nuove speranze per gli esclusi

I risparmiatori-soci delle banche poste in liquidazione nel 2017, tra cui le ex Popolari venete, Bpvi e Veneto Banca, i quali si sono visti respingere in tutto o in parte le domande di accesso al Fondo di indennizzo (Fir) a causa di problemi procedurali o di errori formali, potrebbero intravedere una via per rientrare nella partita. Il senatore veneto di maggioranza Pierantonio Zanettin ha infatti presentato un emendamento alla legge n.145 del 30 dicembre 2018, quella cioè che istituisce il Fir, da far approvare con la prossima legge di bilancio, nel quale si prevede la possibilità di ricorrere all’arbitro per le controversie finanziarie entro 30 giorni dall’approvazione del provvedimento.
I potenziali interessati potrebbero essere circa 10 mila mentre il residuo della dotazione iniziale del fondo, pari a 1.575 milioni, dopo la ripartizione del 40% del valore di acquisto dei titoli azzerati con il default, è valutato in oltre 200 milioni. (Corriere del Veneto)
 

Crac Bpvi, per Sorato in appello chiesti cinque anni e otto mesi

La prescrizione corre, scatta la riduzione: «L’ex direttore indifferente a chi è finito sul lastrico»

Crac Bpvi, la prescrizione corre e l’accusa chiede in appello per Samuele Sorato cinque anni e 8 mesi. Era l’ex direttore generale di Banca popolare di Vicenza «il motore principale» del capitale finanziato. E all’ex manager, che risulta «indifferente e disinteressato» per le conseguenze del default, che «nega solo le responsabilità, senza un briciolo di ammissione» e che mostra una «totale assenza di condotte riparative rispetto a chi è stato ridotto sul lastrico» non vanno riconosciute nemmeno le attenuanti generiche. Il pubblico ministero Alessandro Severi, ha tirato così le somme nella sua requisitoria, ieri nell’udienza in aula bunker a Mestre, del processo d’appello all’ex direttore generale di Bpvi, presentatosi per la seconda volta in udienza al fianco del suo difensore, Alberto Berardi.
Chiedendo la conferma della condanna, il pm però si è confrontato con lo scoglio della decisione che pende in Corte costituzionale sulle confische, che ha fermato in Cassazione il troncone principale del pro29 cesso per il crac; la decisione è attesa per il 10 dicembre. Severi ha chiesto in alternativa alla corte, presieduta da Elisa Mariani, o di sollevare a sua volta la causa di legittimità o di attendere la decisione della Consulta. La richiesta in questo caso è di uno sconto rispetto al primo grado, nel novembre di due anni fa a Vicenza, quando Sorato venne condannato a 7 anni (la richiesta era di undici e mezzo) per falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza, con la confisca fino a 963 milioni. Di mezzo la prescrizione sull’aggiotaggio e su parte degli episodi di ostacolo alla vigilanza.
Il processo viaggia verso la chiusura. L’udienza del 5 novembre si aprirà e verrà rinviata per lo sciopero degli avvocati; potrebbe finire in calendario il gennaio 2025. Toccherà a quel punto all’arringa difensiva, seguita dalle attese dichiarazioni spontanee di Sorato. Davanti a un presidente e a un pm differenti, visto che sia per Mariani che Severi si profila la pensione a fine anno.
Ieri, intanto, in tre ore di requisitoria, Severi ha respinto i motivi d’appello della difesa di Sorato alla condanna di primo grado. Non vanno accolti quelli sul suo stato di salute e sull’impossibilità di partecipare al processo: l’ex manager viene colto, dice Severi, «in crociera nel Mediterraneo e alla guida da solo in autostrada a velocità oltre i limiti». «C’è un atteggiamento disinvolto - aggiunge il pm - nello sfruttare la propria situazione per condizionare il processo. Non c’è per Sorato alcun impedimento assoluto per non partecipare lucidamente e consapevolmente».
Vanno rigettati anche i ricorsi sulla competenza territoriale, che va confermata a Vicenza, così come la necessità di una nuova perizia «sulla prassi dissennata posta in essere da Sorato e dai suoi correi» delle «baciate»: per Severi sono sufficienti le conclusioni dell’audit della banca, di Kpmg e della consulenza per i pm di Vicenza. Non è credibile nemmeno la tesi per cui Sorato fosse solo un coordinatore tra cda e vicedirettori operativi. Lo mostrano gli interventi diretti di Sorato sulle «baciate» con i grandi clienti. «Tra il presidente Gianni Zonin e Sorato c’era poi un grande accordo sul mantenere il prezzo dell’azione - ha aggiunto il pm - era un obiettivo primario da raggiungere ad ogni costo». Infine è Sorato il motore dell’aumento di capitale 2014, portato avanti anche con l’uso del capitale finanziato ed aggirando i «paletti» Consob: «Era consapevole che il mancato raggiungimento avrebbe segnato l’inizio della fine».
Infine l’avvocato Stefania Ceci ha chiesto, per la parte civile Banca d’Italia, la revisione della sentenza di primo grado, che non aveva liquidato per intero il danno: il non aver colto gli elementi sulle «baciate» nell’ispezione del 2012 avrebbe avuto conseguenze. Ma quella era un’ispezione limitata al rischio di credito e l’ostacolo alla vigilanza si fonda su ben altro, per Ceci: «Su un’operazione programmata e pianificata di occultamento alla Banca d’Italia della realtà con sistemi fraudolenti».
 

Bpvi, illegittime le confische a Zonin e ai manager. La Consulta: sproporzionato il blocco di 963 milioni. In moto i processi per il crac, Sorato e Veneto Banca

  • Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
  • 5 Feb 2025
La maxi-confisca da 963 milioni di euro verso Gianni Zonin e i manager con lui imputati sono illegittime. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza del 14 gennaio, depositata ieri, decidendo sul punto che aveva bloccato il processo per il crac dell’ex popolare giunto in Cassazione. La Suprema corte aveva sollevato il dubbio di legittimità costituzionale sulla maxi-confisca stabilita nella sentenza di primo grado a Vicenza, che la Corte d’appello aveva revocato, giudicandola in contrasto con il principio di proporzionalità delle pene, sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue.
Scelta contro cui si era appellato in Cassazione la Procura generale, sostenendo che i giudici avessero disapplicato in modo sbagliato l’articolo 2461 del codice civile. In primo grado il tribunale di Vicenza aveva disposto per gli imputati la maxi-confisca, definendo l’importo con la somma del valore dei finanziamenti «baciati» concessi dalla banca per acquistare le provrà prie azioni, attraverso cui erano stati commessi i reati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. La Consulta, dichiarando parzialmente incostituzionale l’articolo 2461, spiega una nota della Corte costituzionale «ha stabilito che la confisca dei beni usati per commettere il reato è una pena patrimoniale, che deve rispettare il principio di proporzionalità rispetto alle condizioni economiche dell’interessato e alla sua capacità di far fronte al pagamento».
«La maxi-confisca non doessere ricalcolata: l’intervento della Consulta la abolisce e la questione non rientrerà più nel processo Bpvi - Enrico Ambrosetti, difensore di Zonin -. La sentenza traccia una strada nuova per queste sanzioni patrimoniali e chiarisce la ‘manifesta sproporzionalità’ dell’importo che nel caso Bpvi aveva una dimensione clamorosa: chi avrebbe mai potuto pagare quasi un miliardo di euro? Si può confiscare il risultato del profitto non l’importo dei mezzi usati per ottenerlo».
Sul piano pratico la sentenza spiana la strada alla conclusione del processo in Cassazione per il crac Bpvi, che dovrà riprendere con una nuova udienza: «A primavera si chiude», dice Ambrosetti. Lo stesso vale per il processo d’appello all’ex manager Samuele Sorato, che riprenderà il 5 marzo, e per quello in Cassazione di Veneto Banca: il ricorso della difesa di Vincenzo Consoli è già stato presentato e la Suprema corte attendeva la pronuncia per fissare l’udienza.
 
  • Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
  • 13 Mar 2025
Crac Banca popolare di Vicenza, ridotta da 7 a 3 anni e 8 mesi in appello la pena all’ex direttore generale Samuele Sorato. Sentenza-lampo, ieri in Corte d’appello a Venezia, nel secondo processo per il default della popolare, quello all’ex manager.
 

Crac, i creditori sono 41 mila per 5,6 miliardi

Dopo sette anni, ammessi crediti per 2,4 miliardi. Ma nessuno vedrà un euro

  • Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
  • 23 Mar 2025
  • Federico Nicoletti
Crac ex Popolari: i crediti sono 5,6 miliardi.

Crac delle ex popolari, i liquidatori chiudono i conti con i creditori ammessi. Oltre 41 mila richieste d’insinuazione per 5,6 miliardi di euro, ammessi solo per meno della metà, 2,4 miliardi. E una conclusione: su questi crediti, con tutta probabilità, nessuno vedrà un euro.
A quasi otto anni dalle liquidazioni di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, il 25 giugno 2017, ha contorni paradossali l’esito del mastodontico lavoro compiuto dai commissari liquidatori, partito il 22 febbraio 2018 e andato avanti per oltre sette anni, della redazione dello stato passivo. I commissari (Giustino Di Cecco, Claudio Ferrario e Francesco Schiavone Panni per Bpvi, Alessandro Leproux, Giuliana Scognamiglio e Giuseppe Vidau per Veneto Banca) hanno comunicato la chiusura del lavoro con relazioni parallele datate 20 marzo, giorno in cui gli stati passivi sono stati depositati ai tribunali di Vicenza e Treviso e in Banca d’Italia.
Il lavoro parallelo ha condotto a risultati differenti nei numeri. Nel caso di Bpvi, oltre 28 mila le richieste d’insinuazione al passivo, per 3 miliardi di euro (2,8 i crediti chirografi, 196 milioni i privilegiati, 2 milioni in prededuzione), per poco più della metà - 15 mila richieste per 2 miliardi, il 70% del totale - su pretese degli azionisti legate a violazioni sulla compravendita delle azioni. Ma a Vicenza ci sono anche molte richieste di obbligazionisti subordinati, oltre 12 mila per 587 milioni; 845 le istanze di altri creditori, per 370 milioni, il 12% del totale.
In Veneto Banca, le richieste d’insinuazione sono meno della metà rispetto a Vicenza, 12.527 per 2,6 miliardi. Le pratiche degli azionisti, 11 mila, nel caso di Montebelluna sono l’88% del totale, ma solo il 59% dell’importo, 1,5 miliardi. Opposto, rispetto a Vicenza, il quadro sulle obbligazioni: solo 451 domande, ma con un importo superiore a Vicenza, 635 milioni; 436 i milioni chiesti dagli altri creditori, con quasi mille domande.
Il vaglio dei liquidatori ha escluso le richieste dei soci che avevano firmato la transazione tombale con le banche del 2017. Nella valutazione sulle azioni, tenuto in conto anche il periodo d’acquisto, tra il 1. gennaio 2013 e il 31 marzo 2015, compresi gli aumenti di capitale. Il risultato, nel caso di Bpvi, ha escluso 1,6 miliardi di crediti, facendone entrare 1,4: 1,2 quelli ammessi (6,3 milioni con privilegio, 636 milioni chirografi, 577 milioni chirografi postergati), 198 milioni gli ammessi con riserva. Nel caso di Veneto Banca, esclusi 1,5 miliardi di crediti. Ammessi 993 milioni (9,5 con privilegio, 353 chirografi, 630 chirografi postergati) e 33 milioni con riserva, per 1.028 milioni totali.
Gli esclusi hanno ora 15 giorni dal ricevimento della comunicazione per opporsi. In ogni caso dalla liquidazione i creditori non possono attendersi nulla, come i commissari hanno già scritto più volte nelle relazioni annuali, usando la formula che «non sono ravvisabili concrete prospettive di soddisfacimento dei creditori» diversi da Intesa e dallo Stato.
Questo, in particolare, per le cifre che le liquidazioni dovranno ripagare, con il recupero dei crediti deteriorati, a Intesa e allo Stato prima dei crediti chirografi, secondo quanto stabilito dalla legge di liquidazione. Succede per i prestiti, garantiti dallo Stato, concessi da Intesa alle liquidazioni subito dopo la partenza delle gestioni, 3,2 miliardi nel caso di Vicenza e 3,1 in quello di Montebelluna. Vi si aggiungono 2,4 e 2,3 miliardi di oneri di ristrutturazione e di contributi sul capitale al momento della liquidazione dati a Intesa (che si era presa le due banche) dallo Stato, e che li aveva dati da recuperare ai liquidatori. Infine sul conto ci sono i prestiti fatti da Intesa alle liquidazioni per farsi ripagare i crediti retrocessi come deteriorati dopo la fine delle banche: 621 milioni a Vicenza, 334 a Montebelluna. In tutto, il conto da restituire, prima dei creditori, è di 11,9 miliardi: 6,2 per Bpvi e 5,7 per Veneto Banca. In Veneto Banca, i commissari avevano già comunicato che la gestione, fino al 2022, su 6 miliardi di patrimonio, ne aveva recuperati 2,2, 2 dei quali andati a Intesa. Resta un patrimonio di 1,8 miliardi.
 

BpvieVenetoBanca, iliquidatori recuperano5,4miliardi: 5aIntesa

La beffa dei creditori senza fondi: la banca e lo Stato attendono ancora 7,6miliardi

  • Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
  • 25 Mar 2025
  • Federico Nicoletti
Le liquidazioni di Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno incassato in tutto 5,4 miliardi di euro in sette anni. Andati per 5,1 a Intesa Sanpaolo, che ne attende altri 2,8. E il conto sale a 7,6, considerando i 4,8 messi dallo Stato come contributi per capitale e oneri di ristrutturazione su quanto acquisito a un euro con le liquidazioni del 25 giugno 2017 - 97,2 miliardi di attività e passività -, affidati ai liquidatori per esser recuperati. Soldi che dovranno, per legge esser pagati prima che agli altri creditori. Il punto è che ora, dei 12,8 miliardi iniziali di attività da liquidare, ne restano 3,8.
È sintetizzato in questi numeri enormi, il perché i liquidatori di Bpvi e Veneto Banca hanno ripetuto agli oltre 41 mila creditori (28.599 per Bpvi, 12.527 per Veneto Banca), in gran parte azionisti e obbligazionisti subordinati, che hanno chiesto di esser ammessi allo stato passivo con danni per 5,6 miliardi di euro, ammessi solo per 2,4, che «non sono ravvisabili concrete prospettive di soddisfacimento dei creditori diversi» da Intesa e dallo Stato.
Una beffa, visto che il decreto di liquidazione aveva escluso le cause verso Intesa sulle azioni azzerate, indirizzandole verso la liquidazione. Dove però i creditori non troveranno soddisfazione. Beffa attenuata almeno dai rimborsi del 30% ottenuti con il Fondo indennizzo risparmiatori, affiancatosi alla transizione tombale che le due banche fecero nel 2017. Per chi aveva sperato sulla liquidazione, ed è escluso, si pone la questione, che già tiene banco tra gli avvocati, se spendere soldi per opporsi, visto he le prospettive di ristoro sono nulle.
I conti delle liquidazioni sono stati messi nero su bianco, prima del deposito dei due stati passivi ai tribunali di Vicenza e Treviso, il 20 marzo, dalle due terne di commissari (Giustino Di Cecco, Claudio Ferrario e Francesco Schiavone Panni per Bpvi, Alessandro Leproux, Giuliana Scognamiglio e Giuseppe Vidau per Veneto Banca) nella doppia informativa annuale, la settima, sull’attività, al 2023, con alcuni numeri a metà 2024.
Le due relazioni, dettagliate, partono dai tre pesanti vincoli sul recupero dettati dal decreto di liquidazione: i due prestiti di Intesa alle liquidazioni (3.203 milioni per Vicenza, 3.197 per Montebelluna) per Zanettin Risultato scritto: per gli esclusi mosse senza senso farsi ripagare la differenza tra attività e passività acquisite: vanno restituiti per primi; i debiti con lo Stato (2.441 milioni per Vicenza, 2.349 per Montebelluna) per i fondi a sostegno di Intesa; gli ulteriori prestiti da restituire per i crediti retrocessi alle liquidazioni perché scopertisi deteriorati, anche qui prestati da Intesa (621,4 milioni per Bpvi, 334,8 per Veneto Banca).
Debiti che monopolizzeranno gli incassi da recupero, fin qui 5.391 milioni. In i Bpvi, i commissari ne dichiarano, a giugno 2024, per 3.033 milioni. Derivano per 460 da vendite di attività finanziarie e per 240 di partecipazioni; sul recupero crediti deteriorati, 450 tornano dall’attività dei commissari, a cui sono rimasti anche i finanziamenti «baciati», 1.761 da quella di Amco.
Gli incassi sono andati per 2.859,2 milioni a Intesa, per ridurre il maxi-prestito da 3 miliardi, sceso a 378 milioni (in quota capitale) a fine 2024. Ma a fine 2023 il debito residuo verso Intesa è ancora di 1.275 milioni, tra maxi-prestito residuo e l’altro per i crediti retrocessi, ancora tutto lì, come il debito verso lo Stato.
In Veneto Banca, i commissari dichiarano, a giugno 2024, incassi per 2.358 milioni, derivanti tra l’altro per 252 da vendite di attività finanziarie e 218 di partecipazioni; sul recupero dei deteriorati, 328 tornano dall’attività dei commissari, 1.464 da quella di Amco. Gli incassi sono andati per 2.259 milioni a Intesa, per ridurre il maxi-prestito iniziale, sceso a 1.116 milioni ( in quota capitale) a fine 2024. Ma a fine 2023 il debito residuo verso Intesa è ancora di 1.571 milioni, tra maxi-prestito residuo e l’altro per i crediti retrocessi, ancora tutto lì, come il debito verso lo Stato.
Solo i conti residui verso Intesa e lo Stato, a fine 2023, sono pari a 3,7 miliardi per Bpvi e a 3,9 per Veneto Banca. Da fronteggiare con (insufficienti) attività residue da liquidare per 2,2 miliardi a Vicenza, di cui 1,9 crediti, e per 1,5 a Montebelluna, di cui 1,2 crediti. E sul recupero di questi vanno messe in conto le svalutazioni: sui 10 miliardi iniziali, per la parte gestita da Amco ne sono già state fatte per 4,5.
Da qui l’avvertenza dei commissari ai creditori. «Purtroppo un esito già scritto fin dall’inizio - dice Pierantonio Zanettin, presidente della commissione banche del Senato e avvocato -. Spero che nessuno abbia dato speranze sulla liquidazione. Chiedere altri soldi agli esclusi per azioni non ha senso». «Vero che soldi non ce ne sono - aggiunge l’avvocato trevigiano Lorenzo Zanella, che ha avviato su Linkedin una consultazione -. Ma una riflessione potrebbe valere almeno per quanti debbano compensare con le liquidazioni debiti con le azioni azzerate e per le parti civili nei procedimenti contro i revisori, la cui difesa potrebbe riferirsi all’esclusione con le liquidazioni». «Punto da approfondire, quest’ultimo - chiude l’avvocato padovano Virgilio Calabrese, una trentina di casi su Veneto Banca - dove, senza capienza, avrebbe poco senso muoversi, rischiando di esser anche condannati a pagare le spese».
 

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