Rotari, re dei Longobardi intorno al 600 (non milleseicento), se solo Bossi ne conoscesse l'esistenza, sostituirebbe rapidamente l'inesistito Alberto Da Giussano da tutti i vessili della Lega Nord.
Avendo ricevuto in eredità un regno che comprendeva tutta l'Italia transpadana (insieme anche a buona parte del centro e del sud), Rotari, ci aggiunse, per buon peso, anche la Liguria e la Toscana lasciando a Bisanzio praticamente il solo Lazio, le Marche ed un pezzetto dell'attuale Romagna.
Più che per il suo regno passò però alla storia per l'editto omonimo che, sigillato alla mezzanotte del 22 novembre 643, costituì il primo codice scritto di quei barbari.
Ma la cosa che lo renderebbe unico agli occhi di molti Longobardi contemporanei è che la validità della legge era estesa alle sole persone di comprovata origine longobarda. Per le altre popolazioni, seppur assogettate al loro dominio, rimase in vigore il codice di Giustiniano.
A ben guardare, una delle prime leggi ad personam della storia.
In quell'orda di deliri feroci e barbari, si fa luce però una norma di estrema saggezza che stabiliva che la vita di un porcaro valesse il doppio di quella di un bovaro, pecoraio o capraio. Attribuendo a chi si occupasse dei maiali addirittura il rango di mastro artigiano (magister porcarius).
Che chi lavora il maiale fosse meritevole di fiducia d'altra parte era convinto anche Omero molti secoli prima. Dal momento che, quando Ulisse tocca finalmente Itaca, si nasconde a moglie, figli e dignitari di corte, svelandosi soltanto a Eumeo, il suo porcaro.
E deve essere senz'altro per un pregiudizio estetico precedente a Esopo che il leone rubò il posto che si confà ai suini, il vero re degli animali è indubbiamente il maiale.
D'altra parte fu tra i primi animali domesticati in Anatolia già diecimila anni fa. Fu solo a causa della progressiva deforestazione del territorio della mezzaluna fertile (più o meno i territori tra Nilo, Giordano, Tigri e Eufrate) da parte delle prime civiltà di agricoltori che i suini di quelle regioni, privati delle originarie fonti di cibo del sottobosco, entrarono in competizione alimentare con l'uomo (onnivori entrambi). In questo modo la domesticazione dei maiali divenne quasi certamente poco fruttuosa e forse addirittura dannosa per le economie di quelle regioni dando probabilmente origine al divieto semitico di allevarlo e di cibarsene.
Il precetto islamico è successivo, nasce nelle stesse regioni ed ha probabilmente origine simile.
Mentre l'anatema cristiano contro le carni del maiale, dovendo prendere piede in regioni più fredde (l'Europa), si trovò a fare i conti con la risorsa che quella carne rappresentava per superare inverni freddi e rigidi. Per cui il divieto dovette giocoforza mitigarsi parecchio limitandosi a ragioni salutistiche: il maiale si sarebbe potuto macellare e mangiare da novembre a febbraio, i mesi più freddi. Le carni non consumate immediatamente dopo la macellazione potevano essere salate e insaccate e consumate previa stagionatura a partire da qualche mese dopo la macellazione (che, in un mondo in cui i calendari erano fatti dai papi, si poteva tradurre con a fine quaresima).
L'avvento prima delle ghiacciaie e poi dell'elettricità e dei frigoriferi, ha restituito al maiale il posto che gli compete tutto l'anno e molti di quei precetti si sono mutati in pregiudizi, facendoci considerare anche al giorno d'oggi il maiale come una bestia sporca e impura.
In realtà nelle favole per adulti e bambini la verità pian pianino si disvela, a cominciare da I tre porcellini, in cui i maialetti continuano a fare fesso il lupo (anche se io parteggio ancora oggi per lui) e anche Orwell, nella Fattoria degli animali, li fa dominare, seppur da dittatori il mondo.
Bisognerebbe invece riflettere sul fatto che l'evocazione del maiale ci rimanda ai meravigliosi vizi capitali della lussuria, della gola, dell'accidia e della superbia (quella che i più pensano sia una bestemmia è in realtà un apprezzamento, per il porco). Mentre, per sua natura, manca proprio dei vizi abietti , avarizia, invidia e ira.
Lungi dall'essere sporco, il maiale mette su il suo meraviglioso strato di grasso grazie alla sua ingordigia pascolando nel sottobosco querce, castagni e faggi. Ancora oggi in Spagna vive così ed è la ragione per cui il maiale iberico è il principe dei suini. In Italia invece, dopo l'urbanizzazione comunale diventa animale da cortile. Animale d'affezione per eccellenza, portato al pascolo, pasciuto, tenuto nel cortile di casa e più spesso, sino al secolo scorso, a dormire in casa come componente familiare. Prima della selezione di razze completata nel novecento, erano anche più piccoli e più magri, animali insomma casalinghi come i gatti oggi.
Erano d'affezione sicuramente anche altre bestie, mucche, buoi, capre, pecore, polli e cavalli ma i maiali erano i soli che venissero allevati esclusivamente per cibarsene.
Mentre i ricchi mangiavano schifezze come i pavoni (intelligenze elementari,bello=buono), i poveri elevarono le loro mense ben sopra quelle dei signori, allevando il maiale (in casa) e poi, lungi da ogni impulso familistico, celebrando le Nozze del porco (ovvero macellandolo) tra la seconda metà e la fine di febbraio. Una sorta di rito, tra la festa e i lavori forzati, in cui veniva coinvolto tutto il parentato.