Claire
ἰοίην
Ho letto le trascrizioni dei colloqui fatti in carcere tra Turetta e suo padre.
Cose private quindi, su un incontro privato tra un detenuto e un suo famigliare: mi sono chiesta se fosse giusto che la stampa le riportasse, che noi le leggessimo, e sì. Dopo qualche giorno, ho maturato un pensiero.
Credo sia importante, perché le parole del padre Turetta al figlio Turetta, colpevole di avere straziato la vita della giovanissima Giulia Cecchettin, hanno un peso specifico in questo contesto storico, hanno un peso specifico nel dibattito, spiegano la responsabilità collettiva di una società che minimizza il comportamento violento maschile, che quasi lo normalizza.
Dice Turetta padre: "𝗛𝗮𝗶 𝗳𝗮𝘁𝘁𝗼 𝗾𝘂𝗮𝗹𝗰𝗼𝘀𝗮, 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗲𝗶 𝘂𝗻 𝗺𝗮𝗳𝗶𝗼𝘀𝗼, 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗲𝗶 𝘂𝗻𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗮𝗺𝗺𝗮𝘇𝘇𝗮 𝗹𝗲 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗲, 𝗵𝗮𝗶 𝗮𝘃𝘂𝘁𝗼 𝘂𝗻 𝗺𝗼𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗱𝗶 𝗱𝗲𝗯𝗼𝗹𝗲𝘇𝘇𝗮. 𝗡𝗼𝗻 𝘀𝗲𝗶 𝘂𝗻 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗼𝗿𝗶𝘀𝘁𝗮. 𝗗𝗲𝘃𝗶 𝗳𝗮𝗿𝘁𝗶 𝗳𝗼𝗿𝘇𝗮. 𝗡𝗼𝗻 𝘀𝗲𝗶 𝗹'𝘂𝗻𝗶𝗰𝗼. 𝗖𝗶 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗲𝗰𝗰𝗵𝗶 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗶. Ti 𝗱𝗲𝘃𝗶 𝗹𝗮𝘂𝗿𝗲𝗮𝗿𝗲".
𝗖𝗶 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗶 𝟮𝟬𝟬 𝗳𝗲𝗺𝗺𝗶𝗻𝗶𝗰𝗶𝗱𝗶. 𝗣𝗼𝗶 𝗮𝘃𝗿𝗮𝗶 𝗶 𝗽𝗲𝗿𝗺𝗲𝘀𝘀𝗶 𝗽𝗲𝗿 𝘂𝘀𝗰𝗶𝗿𝗲, 𝗽𝗲𝗿 𝗮𝗻𝗱𝗮𝗿𝗲 𝗮𝗹 𝗹𝗮𝘃𝗼𝗿𝗼, 𝗹𝗮 𝗹𝗶𝗯𝗲𝗿𝘁𝗮' 𝗰𝗼𝗻𝗱𝗶𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗲. 𝗡𝗼𝗻 𝘀𝗲𝗶 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗼 𝘁𝗲, 𝗻𝗼𝗻 𝘁𝗶 𝗱𝗲𝘃𝗶 𝗱𝗮𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗹𝗽𝗲 𝗽𝗲𝗿𝗰𝗵𝗲' 𝘁𝘂 𝗻𝗼𝗻 𝗽𝗼𝘁𝗲𝘃𝗶 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗼𝗹𝗹𝗮𝗿𝘁𝗶"
Da questo corollario di perle pedagogiche si evince come il padre di Turetta e in generale tutti i genitori di uomini violenti, contestualizzino la violenza in un ambito accettabile (non sei un mafioso, non sei un terrorista, non sei l'unico) rispetto a paradigmi ai loro occhi più complessi. "Hai fatto qualcosa" la violenza omicida che diventa un generico "qualcosa".
E invece, siccome la violenza maschile sulle donne è una guerra impari, è mafia che si nutre di omertà e silenzio, Turetta è un terrorista, un mafioso, e quello non era un atto di debolezza.
Turetta padre dice "non sei l'unico, ci sono stati parecchi altri" quasi a spingere il figlio a trarne giovamento in un "mal comune mezzo gaudio" che dovrebbe tirargli su il morale.
Ma soprattutto, se ce ne sono tanti altri come te, allora tu non sei l'eccezione, sei la regola.
Ma poi siamo già oltre: ti devi laureare, avrai i permessi per uscire, per andare al lavoro, la libertà condizionata.
Giulia non viene nominata.
Lei che non ha potuto laurearsi, che da sottoterra non ha alcun permesso per uscire.
E infine quel "non sei stato te, non devi darti colpe perché tu non potevi controllarti".
È il padre Turetta che parla, ma sembra quasi un deja vu, un già sentito di una società che parla, che davanti alla violenza sulle donne dice queste cose qua, sminuisce, mortifica, annulla la vittima, cancella la responsabilità penale individuale del colpevole, ma anche quella normale di una società che sta bene attenta a coccolare i suoi mostri.
Il padre Turetta è l'eco di una narrazione stereotipata che si fa largo ogni volta che una donna viene uccisa, ma basta anche meno, basta che sopravviva.
In un solo colloquio, il padre Turetta ci ha spiegato le origini della violenza, la sua radicata diffusione e perché sarà difficile debellarla da una società profondamente patriarcale e sessista.
Cose private quindi, su un incontro privato tra un detenuto e un suo famigliare: mi sono chiesta se fosse giusto che la stampa le riportasse, che noi le leggessimo, e sì. Dopo qualche giorno, ho maturato un pensiero.
Credo sia importante, perché le parole del padre Turetta al figlio Turetta, colpevole di avere straziato la vita della giovanissima Giulia Cecchettin, hanno un peso specifico in questo contesto storico, hanno un peso specifico nel dibattito, spiegano la responsabilità collettiva di una società che minimizza il comportamento violento maschile, che quasi lo normalizza.
Dice Turetta padre: "𝗛𝗮𝗶 𝗳𝗮𝘁𝘁𝗼 𝗾𝘂𝗮𝗹𝗰𝗼𝘀𝗮, 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗲𝗶 𝘂𝗻 𝗺𝗮𝗳𝗶𝗼𝘀𝗼, 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗲𝗶 𝘂𝗻𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗮𝗺𝗺𝗮𝘇𝘇𝗮 𝗹𝗲 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗲, 𝗵𝗮𝗶 𝗮𝘃𝘂𝘁𝗼 𝘂𝗻 𝗺𝗼𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗱𝗶 𝗱𝗲𝗯𝗼𝗹𝗲𝘇𝘇𝗮. 𝗡𝗼𝗻 𝘀𝗲𝗶 𝘂𝗻 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗼𝗿𝗶𝘀𝘁𝗮. 𝗗𝗲𝘃𝗶 𝗳𝗮𝗿𝘁𝗶 𝗳𝗼𝗿𝘇𝗮. 𝗡𝗼𝗻 𝘀𝗲𝗶 𝗹'𝘂𝗻𝗶𝗰𝗼. 𝗖𝗶 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗲𝗰𝗰𝗵𝗶 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗶. Ti 𝗱𝗲𝘃𝗶 𝗹𝗮𝘂𝗿𝗲𝗮𝗿𝗲".
𝗖𝗶 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗶 𝟮𝟬𝟬 𝗳𝗲𝗺𝗺𝗶𝗻𝗶𝗰𝗶𝗱𝗶. 𝗣𝗼𝗶 𝗮𝘃𝗿𝗮𝗶 𝗶 𝗽𝗲𝗿𝗺𝗲𝘀𝘀𝗶 𝗽𝗲𝗿 𝘂𝘀𝗰𝗶𝗿𝗲, 𝗽𝗲𝗿 𝗮𝗻𝗱𝗮𝗿𝗲 𝗮𝗹 𝗹𝗮𝘃𝗼𝗿𝗼, 𝗹𝗮 𝗹𝗶𝗯𝗲𝗿𝘁𝗮' 𝗰𝗼𝗻𝗱𝗶𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗲. 𝗡𝗼𝗻 𝘀𝗲𝗶 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗼 𝘁𝗲, 𝗻𝗼𝗻 𝘁𝗶 𝗱𝗲𝘃𝗶 𝗱𝗮𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗹𝗽𝗲 𝗽𝗲𝗿𝗰𝗵𝗲' 𝘁𝘂 𝗻𝗼𝗻 𝗽𝗼𝘁𝗲𝘃𝗶 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗼𝗹𝗹𝗮𝗿𝘁𝗶"
Da questo corollario di perle pedagogiche si evince come il padre di Turetta e in generale tutti i genitori di uomini violenti, contestualizzino la violenza in un ambito accettabile (non sei un mafioso, non sei un terrorista, non sei l'unico) rispetto a paradigmi ai loro occhi più complessi. "Hai fatto qualcosa" la violenza omicida che diventa un generico "qualcosa".
E invece, siccome la violenza maschile sulle donne è una guerra impari, è mafia che si nutre di omertà e silenzio, Turetta è un terrorista, un mafioso, e quello non era un atto di debolezza.
Turetta padre dice "non sei l'unico, ci sono stati parecchi altri" quasi a spingere il figlio a trarne giovamento in un "mal comune mezzo gaudio" che dovrebbe tirargli su il morale.
Ma soprattutto, se ce ne sono tanti altri come te, allora tu non sei l'eccezione, sei la regola.
Ma poi siamo già oltre: ti devi laureare, avrai i permessi per uscire, per andare al lavoro, la libertà condizionata.
Giulia non viene nominata.
Lei che non ha potuto laurearsi, che da sottoterra non ha alcun permesso per uscire.
E infine quel "non sei stato te, non devi darti colpe perché tu non potevi controllarti".
È il padre Turetta che parla, ma sembra quasi un deja vu, un già sentito di una società che parla, che davanti alla violenza sulle donne dice queste cose qua, sminuisce, mortifica, annulla la vittima, cancella la responsabilità penale individuale del colpevole, ma anche quella normale di una società che sta bene attenta a coccolare i suoi mostri.
Il padre Turetta è l'eco di una narrazione stereotipata che si fa largo ogni volta che una donna viene uccisa, ma basta anche meno, basta che sopravviva.
In un solo colloquio, il padre Turetta ci ha spiegato le origini della violenza, la sua radicata diffusione e perché sarà difficile debellarla da una società profondamente patriarcale e sessista.