Pesaro.
Immaginate un bambino di sei anni, che conta le coltellate che il padre sta infliggendo alla madre. Conta fino a 5.
Sarà lui, in prima battuta a riferire questo particolare a forze dell'ordine e sanitari.
Un bimbo dentro la sua casa, magari stretto al suo orsacchiotto preferito che guarda attonito questa sequenza, mentre la sorella, tredicenne incurante della furia di chi gli sta accanto, cerca di tamponare come può le ferite della mamma, contandone i respiri, gli ultimi, con le mani imbrattate di sangue.
Immaginatevi i battiti dei loro cuori.
Immaginate nel mentre il fratello più grande che esce di corsa per chiamare i vicini.
Immaginate l'angoscia, la paura, l'orrore che questi tre bambini porteranno nel cuore per tutto il resto della loro infelicissima sorte.
Mentre il padre scappa via di casa.
Stampatevi questa scena nella testa, perché quando si parla di violenza domestica, si parla anche e soprattutto di bambini che vedono, che si devono fare forza, che hanno paura, che hanno già visto troppo, che hanno avuto il terrore che accadesse davvero.
Ed è accaduto, puntualmente, di nuovo.
Gli orchi domestici, uccidono o ci provano: cominciano prima, preparano il terreno a suon di svalutazioni, di aggressioni verbali, di violenza economica. Cominciano prima, talmente tanto prima che pure le vittime tardano ad accorgersene e quando succede è troppo tardi.
Chi glielo spiega adesso a quei bambini orfani di mamma, che tutti sapevano ma che nessuno è stato capace di metterli in protezione? Con quali occhi li guardiamo, sapendo che doveva essere attivato un codice rosso, che dovevano scattare le tutele perché c'erano ben più di blande avvisaglie?
La violenza è questa palude infame dove non possiamo più considerare colpevole solo l'autore del crimine: tutti sono coinvolti.
Tutti quelli che avrebbero dovuto intervenire.
Tutti quelli a cui queste vicende dovrebbero interessare: legislatori, Procure, Forze dell'ordine fino ad arrivare ad ognuno di noi.
Io davvero non ho parole, le ho finite, so che ho amiche sopravvissute graziate, per ora, insieme ai loro figli. So che il diritto si evolve ma che poi alla fine non cambia niente.
So che sono scampate a tentati femminicidi, perché ora la Cassazione li riconoscerebbe come tali, ma a processo quei tentati femminicidi sono stati prima derubricati in lesioni, e poi prescritti.
So che sono scampate alla stessa furia, ma leggo il dolore e i traumi dei loro figli, sopravvissuti come le madri, per un'infanzia negata e per una Magistratura imbelle che non li ha mai tutelati davvero.
Certo ci sono delle condanne ridicole, ma c'è anche l'affronto di averne rinviata una a giudizio per avere leso la reputazione del violento condannato.
Tutto questo deve finire.
Le vittime hanno paura di parlare perché se rimangono vive, ci restano per poco tempo e comunque sono perseguibili penalmente in un surreale gioco al massacro che protegge i violenti e toglie vita alle vittime.
E mi rivolgo a chi gestisce il potere, la giustizia, il controllo in questo paese: non vi sopportiamo più.
Non sopportiamo più questo clima pressapochista con cui mandate a morire le donne o le giudicate nei tribunali.
Siete peggio dei criminali che le aggrediscono perché ne avallate le condotte con la vostra misera impunità.
Dovreste dimettervi, subito, cambiare lavoro, perché da un certo punto in poi quello che accade è solo colpa vostra.
Le mie amiche hanno cresciuto i loro figli nonostante voi, nel rispetto della legge e delle Istituzioni.
Sono vive nonostante voi.
Ma le avete umiliate e continuate a farlo, con sciagurata superficialità, proteggendo i violenti e tutta la corte di miserabili di cui si circondano, esercitando su di loro l'intimazione al silenzio.
Come se fossero loro a doversi vergognare.
Non mi rappresentate più nulla se non un gigantesco e ingiustificabile sistema criminale.