BRUTTO PERIODO PER I LADRI D'APPARTAMENTO

La FED entra pesantemente in campo per sostenere l’economia.

Nel terrore di un’altra settimana come quella appena passata e di una chiusura di borsa negativa a due cifre,
aggiungendo il panico finanziario a quello che si sta ormai sentendo anche per le strade,
il presidente Jerome Powell questa volta ha fatto quello che ci si aspettava:

  • taglio del tassi di riferimento del 1,00%, riportandolo al 0 – 0,25% cosa che non si vedeva da anni, anzi dal 2008. Siamo tornati alla politica dei tassi zero;
  • annuncio di un vero e proprio QE da 500 miliardi di dollari;
  • fornitura di liquidità praticamente senza limiti;
  • percentuale di riserve sugli attivi a zero:
  • linee Swap coordinate con Bank of England, of Japan, Of Canada e BCE.
Se la FED voleva dare uno shock, beh c’è andata molto vicino, ma questo è anche un segno di panico.

Per chi volesse leggere tutta la comunicazione della FED la può vedere a questo link.

Manca solo lo sconto dei “Commercial paper”, dei titoli di credito commerciali privati,
poi Powell ha sparato veramente a zero , dopo una settimana infernale.

Il rischio è però di comunicare panico, invece che controllarlo, come a comunicare di non poter tenere sotto controllo la situazione.

Che farà la Lagarde ?

Sicuramente non può praticare una politica dei tassi come quella della FED, perchè i tedeschi la metterebbero in croce.

Una ripresa del QE potrebbe avvenire solo cambiando le regole di acquisto della BCE,
che impongono un acquisto proporzionale dei titoli di stato in base al PIL, e di quelli tedeschi da comprare ormai ce ne sono molto pochi.

Quindi o supera questa regola, o dovrà inventarsi qualcosa di diverso,
oppure resterà l’unica banca commerciale occidentale a non fare un beneamato nulla.

I mercati hanno preso MALISSIMO la notizia ed il future sul Nikkei , che prima era positivo, è precipitato a -4%.

Vedremo il sedici marzo mattina.
 
E di questi soldi chi ne godrà?

La finanza o l'economia reale?

Dove scorreranno?

Salveranno banche d'affari, speculazione, finanza disinvolta , stati decotti o forniranno sostegno all'iniziativa privata?

Le banche centrali devono smetterla di creare denaro dal nulla e infognarne il circuito finanziario.
Il virus ha esplicitato tutta una serie di squilibri preesistenti che queste manipolazioni hanno determinato negli anni.

Se non era il virus , era qualcos'altro.

Le banche centrali sono il problema.
 
La FED fa affluire liquidità illimitata nell'economia reale, tramite diversi strumenti.

La BCE fa affluire il QE direttamente nelle banche che ben sì guardano a riversarlo nell'economia.

Questo è successo negli anni scorsi e questo succederà in futuro, se mai.

Ultima nota a chi continua a blaterare che la Lagarde è inadeguata
solo perché non ha una laurea in economia, beh, Jerome Powel è un avvocato.
 
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Le fotografie che arrivano dai reparti ospedalieri dove in queste settimane si combatte il coronavirus,
che ritraggono personale medico ed infermieri stremati alla fine di turni da capogiro
e accucciati sulla prima scrivania libera per recuperare le energie, sono l’emblema di ciò che sta accadendo
in un mondo alle prese con un’emergenza senza precedenti.

La vita di tutti, in un modo o nell’altro, è radicalmente cambiata e storie di resistenza, forza di volontà e coraggio
che poco più di un mese fa non ci saremmo neppure immaginati di sentire si susseguono una dopo l’altra.

Tra queste c’è anche quella della giovane Viola Pirovano, 28enne di Usmate, che una vera e propria vocazione
per il mestiere dell’infermiera ha scoperto di averla quattro anni fa, lavorando come OSS
nel reparto di Ematologia dell’Ospedale San Gerardo di Monza e facendo la volontaria per il comitato della Croce Rossa di Villasanta.

Un percorso di studi, il suo, intrapreso dopo alcuni anni di lavoro svolto sempre in ambito sanitario,
partito con l’iscrizione alla facoltà di infermieristica dell’Università Bicocca presso l’Ospedale Manzoni di Lecco
(dopo un’iniziale parentesi effettuata al presidio di Desio), e concluso praticamente all’improvviso pochi giorni fa nel bel mezzo dell’emergenza sanitaria in atto.

Dall’ultimo esame sostenuto, il 19 febbraio scorso, qualsiasi cosa che Viola avesse pianificato con un certo anticipo è completamente ''saltata''.

''Sono stata contattata dalla relatrice della mia tesi lunedì scorso, io e tanti altri laureandi di infermieristica'' ha raccontato.
''Ancora non sapevo se avessi passato o meno l’ultimo esame, dato alcuni giorni prima,
fondamentale per sapere se potevo laurearmi a luglio oppure a novembre.
E invece mi è stato chiesto di preparare la tesi nel giro di una settimana, perché avrei dovuto discuterla tra il 10 e il 12 marzo''.

Una comunicazione spiazzante che le ha stravolto, come dicevamo, qualsiasi piano.
''Non nascondo che mi è salita una certa ansia'' ha spiegato la neoinfermiera.
''L’esito dell’ultimo esame, tra l’altro, mi è arrivato solo venerdì e fortunatamente era positivo.
In poco più di una settimana, come altri studenti, ho dovuto ultimare la tesi e prepararmi per discuterla.
In tutto questo abbiamo anche dovuto fare le prove per sostenere l’esame online.
Ma alla fine è andato tutto bene e giovedì 12 marzo mi sono laureata da camera mia vestita di tutto punto… ma con le pantofole ai piedi''.

Viola in corsia

Quattro anni fa, quando intraprese il percorso di studi per diventare infermiera,
mai si sarebbe aspettata che la sua laurea sarebbe arrivata in un periodo tanto critico e in una modalità così insolita.

Ma per il bene e la passione della sua professione, non ha esitato a farlo nemmeno un secondo,
rinunciando ai festeggiamenti in compagnia con parenti ed amici che spettano solitamente ad ogni neolaureato
(che sono comunque stati rimpiazzato da una vera e propria ondata di congratulazioni arrivate in rete).

Viola, del resto, non avrà nemmeno il tempo di godersi un po’ di meritato riposo, dopo aver concluso il ciclo di studi.

''Oltre ad aver discusso la tesi , giovedì ho sostenuto come altri compagni un test per essere iscritta all’OPI,
l’ordine delle professioni infermieristiche, che solitamente si svolge a parte con un apposito esame di stato'' ha proseguito Viola Pirovano.

''Nelle stesse ore sono stata contattata dall’ASST di Lecco che ha necessità immediata di assumere infermieri vista la situazione.
Amo a tal punto questa professione e ho desiderato così tanto diventare infermiera che non potevo rispondere di no.
Per i prossimi sei mesi lavorerò per l’azienda socio-sanitaria di Lecco, ma non so ancora in quale presidio e occupandomi di quale preciso reparto''.

Il suo ''sì'' alla chiamata ricevuta talmente all’improvviso è arrivato a prescindere da tutto ciò
e nonostante le note difficoltà che sta vivendo negli ultimi tempi il sistema sanitario.

''E’ un po’ come essere dei soldati mandati in guerra'' ha concluso Viola.

''Ce lo ha detto anche il presidente della commissione d’esame che aveva una certa paura
nel proclamare la nostra laurea perché si sentiva responsabile nel mandarci quasi come in guerra appunto, tra elicotteri, bombe e carri armati''.
 
Personalmente considero un'idiozia seguire quei suggerimenti dati da conduttori televisivi da strapazzo.
Emeriti idioti che pensano di risolvere il problema con quattro baggianate....ma non sono il solo.

Ciro Immobile ha mandato a “cagare” quel medico e conduttore televisivo inglese secondo cui gli italiani
sono tutti molto contenti di stare chiusi in casa perché in questo modo possono dare seguito
senza problemi alla loro vocazione ad aborrire ogni forma di lavoro.

Giusto, questo Jessen, come ha detto anche Burioni, è un idiota pieno di pregiudizi. E come tale va trattato.

Dato a Jessen quello che gli spetta, però, va pure detto che se lo stereotipo planetario degli italiani
è quello dell’Arlecchino e del Pulcinella tutto dedito ai canti e balli per evitare ogni tipo di fatica
ed ogni giorno alle 18 in punto si manda per l’intero mondo l’immagine di gente che improvvisa su balconi,
finestre e terrazze sceneggiate chiassose di ogni tipo, non ci si deve stupire eccessivamente se gli stereotipi tornano a marcarci.

Della serie: facciamoci del male. Da soli.

.
 
Nella lotta al Coronavirus, quando la pandemia dall’Asia si è spostata in Europa,
avevamo a disposizione a mo’ di riferimento due modelli:
quello sudcoreano
e quello cinese. Dsd – dsds

Il modello sudcoreano era, ed è, fatto di alta diagnostica e controllo sociale,
tramite la temporanea rimodulazione della disciplina in materia di privacy
(il che – detto nel Paese nel quale si è approfittato dell’emergenza sanitaria per approvare alla chetichella
una nuova disciplina delle intercettazioni, la quale, quanto a compressione delle libertà e delle garanzie individuali,
fa impallidire quella del Nord di Corea – strappa un sorriso amaro);

quello cinese fatto di totale lockdown e militarizzazione.

Come noto, abbiamo optato – sebbene la Corea del Sud abbia non solo ottenuto ottimi risultati,
ma sia anche un sistema abbastanza simile al nostro per popolazione, territorio, età media e, almeno ad oggi, sistema democratico –
per il modello proposto dalla dittatura cinese, sebbene, come da costume nazionale, senza prendersi troppo sul serio
(ve li immaginate voi i treni notturni pieni zeppi di fuori sede in fuga da Wuhan verso Pechino? No? Ecco neppure io!).

Ormai “il dado è tratto” (e speriamo di non dover aggiungere un giorno “il danno è fatto”),
ma può essere utile interrogarsi circa le ragioni che ci hanno portato ad aderire entusiasticamente ad un modello in cui lo Stato,
per contenere il virus, opta, senza farsi grandi problemi, per un controllo totalizzante (e, inevitabilmente, liberticida) della vita dei cittadini.

Dobbiamo stupirci, insomma, se si è scelto un modello a fronte del quale le dittature novecentesche paiano colonie estive?

La risposta è no!

No, perché il nostro Governo è guidato da una forza politica che
– senza scomodare dietrologicamente scenari fatti di enormi interessi economici tra fantomatiche vie della seta e ben più concreti 5G –
è imbevuta della paccottiglia ideologica di chiaro stampo totalitario di Grillo e Casaleggio.

No, perché abbiamo uno dei peggiori ceti politici del mondo occidentale, fatto per lo più di inetti,
i quali al fine di allontanare quanto più possibile da sé la responsabilità politica, e perché no anche giudiziaria,
di settimane di sistematica sottovalutazione ideologica del rischio di contagio, giocano ora a fare gli sceriffi,
volteggiando come se niente fosse dalla retorica del “è solo una influenza” a quella del “restate a casa”.

No, perché quello italiano è un popolo che tradizionalmente subisce la fascinazione dell’uomo forte,
tanto da essere l’unico al mondo capace di passare d’emblée dalla venerazione della mascella volitiva di Mussolini
a quella dei baffoni di Stalin (anche se l’approdo a quella per Winston Conte era obiettivamente difficile da prognosticare).

In conclusione, niente di cui meravigliarci; siam fatti così.

Tuttavia, stavolta – a emergenza smaltita, ché prima o poi finirà – una sorpresa potrebbe esserci ed essere rappresentata da quella,
minoranza, storicamente esigua di Italiani, i quali non sentono alcun bisogno di un balcone, di un pulpito o di una sezione di partito da cui farsi dettare la linea.

Perché, parafrasando il titolo di un volumetto che ebbe gran successo all’inizio degli anni Novanta,
nel loro piccolo pure quelli fuori dal gregge si incazzano.
 
Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani.

Mai come in questo momento di emergenza sanitaria il vecchio motto della prima classe dirigente post-unitaria del Paese
pare tornato ad essere l’idea dominante della fase politica che si è aperta con la grande crisi da pandemia
e che è destinata a protrarsi per un tempo assolutamente imprevedibile ma sicuramente ancora molto lungo.

Per una parte della classe politica al governo e per la cultura dominante che ispira i comportamenti dei nostri governanti,
infatti, il coronavirus è l’occasione migliore per costruire un modello d’italiano radicalmente diverso da quello che si è perpetuato per secoli
e che è portatore di tutti quei vizi nazionali che da sempre costituiscono la zavorra immorale e negativa
responsabile di tutti i ritardi con cui l’Italia si presenta agli appuntamenti con la storia.

L’italiano è individualista, antisociale, egoista, ferocemente legato al suo “particulare” come da sempre denunciato dai suoi migliori intellettuali?

Bene!

Ecco il momento per renderlo virtuoso, sociale, solidale, libero da ogni egoismo e consapevole
che solo superando il proprio interesse strettamente personale si può consentire alla “terra dei morti”
di entrare nel novero delle società più moderne ed avanzate e di guardare con legittima speranza ad un futuro migliore.

Ma come rendere possibile questa impresa sempre fallita sia nel passato prossimo che in quello remoto?

I sostenitori dell’uso dell’emergenza del coronavirus come bisturi capace di eliminare i tumori più maligni del corpo sociale italiano
sembrano convinti che l’unica ricetta da applicare sia quella del rigore repressivo affiancata dalla socialità indotta.

Cioè la ricetta del bastone e della carota.

Da un lato misure sempre più rigide dirette a limitare in maniera crescente la tendenza tutta italica a scambiare la libertà per licenza
e dall’altro tutta quella serie di riti sociali che, grazie alla pressione di media sempre fermi all’idea ereditata da
vecchie ideologie di stampo autoritario
che l’informazione debba essere messa sempre e comunque
al servizio dell’educazione nazionale e dell’elevazione delle masse, sono diventati gli strumenti migliori
per organizzare ed indirizzare il consenso popolare
.

Una ricetta del genere, però, non è solo vecchia come il cucco visto che ripropone l’antica formula del “festa, farina e forca”.

Ma è anche e soprattutto, a causa dei riti sociali a cui si affida, il modo migliore per riproporre i vizi più antichi che in teoria dovrebbe estirpare.

Una popolazione posta agli arresti domiciliari rende sicuramente concreto il sogno autoritario di tutti i giustizialisti
convinti che il terrore senza virtù è funesto ma la virtù senza terrore è impotente
.

Ma, sicuramente più folle di ogni altra, è l’idea che per rifare gli italiani sia necessario ricorrere a quell’orgia di retorica
che da sempre è la spia del difetto peggiore del nostro Paese
.

Una volta, per esorcizzare la peste, c’erano i riti religiosi e le grandi processioni dedicate a quei Santi
che la credenza popolare considerava gli unici in grado di stroncare il morbo, da San Rocco a Santa Rosalia fino a San Gennaro e via di seguito.

Oggi, visto che anche il Papa si è reso conto che le benedizioni in Chiesa ed i salmi delle processioni non scacciano il virus,
si ricorre alla mobilitazione dei balconi ed ai canti da una finestra all’altra.

I riti del passato erano il segno dell’umiliazione dell’individuo rispetto all’autorità di Dio e dei suoi Santi.

Quelli moderni sono una forma di autocelebrazione del proprio impegno e della propria ritrovata virtù sociale.

“Imparando l’uso del balcone”, ha scritto Beppe Severgnini, gli italiani stanno dimostrando “di essere incredibili”,
“di tirare fuori il meglio” di loro stessi nell’emergenza.

Peccato, però, che questo meglio non sia altro che la solita retorica trombonesca che nasconde l’irresponsabilità
e che ha prodotto per secoli lo stereotipo dell’italiano leggero e buffonesco convinto che basta cantare per far passare tutto.


Se questa è la creta con cui costruire gli italiani nuovi siamo messi decisamente male!
 
Sembra non vera, ma è notizia vera.Cosa sono costretti a fare per la commissione europea ......

Coronavirus, il Parmigiano reggiano triplica i turni e richiama i casari in pensione

Pochi lo sanno, ma per mantenere il prestigioso bollino di qualità dell'Ue 'doc', ossia denominazione di origine protetta,
i produttori di Parmigiano reggiano devono attenersi a rigide norme, tra cui quella che prevede
che la preparazione del formaggio si svolga in un unico turno, quello del mattino.

Una misura alla quale, in piena crisi di coronavirus, il Consorzio di tutela del Parmigiano ha chiesto di poter derogare per non compromettere la produzione.

Il governo ha già notificato la richiesta alla Commissione europea, che pare abbia già dato un ok informale.

Del resto, si tratta di una misura necessaria per mantenere occupazione e rifornimenti lungo tuttta la filiera

. Il problema centrale è legato ai piccoli caseifici, dove potrebbero segnalarsi carenze di personale per via dei contagi sempre più diffusi del Covid19.

"C'è il rischio, quasi la certezza, che in alcuni piccoli caseifici almeno un lavoratore prenderà il virus e non sarà in grado di produrre formaggio.
In tal caso, possiamo prendere i 1.200 litri di latte necessari per fare una ruota di formaggio e portarli in un vicino caseificio per produrre formaggio nel pomeriggio",
ha spiegato un portavoce del Consorzio.
 

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