BRUTTO PERIODO PER I LADRI D'APPARTAMENTO

La firma sulla riforma non è ancora arrivata.

Eppure il Meccanismo europeo di stabilità, l’ormai famigerato Mes,
continua a fare capolino nell’agenda dei leader dell’Unione,
nonostante la crisi coronavirus che ha messo in ginocchio l’Italia e minaccia di fare altrettanto,
e in tempi brevi, con le varie Spagna, Francia e Germania.

La prova, qualora servisse, è arrivata da un fuorionda a ridosso della conferenza stampa dell’Eurogruppo,
con il direttore generale del fondo salva-Stati Klaus Regling a chiedere, rivolto al commissario all’Economia Paolo Gentiloni,
di discutere insieme delle modifiche all’organismo.


L’Italia, in merito, continua a fare orecchie da mercante, fingendo semplicemente che il problema non esista.
Gualtieri si è presentato mettendo le mani avanti, spiegando di non aver ricevuto mandati per negoziare.
Conte ha chiesto di accantonare momentaneamente la discussione, in attesa di tempi migliori.

Ma l’argomento, guarda caso, salta fuori proprio mentre ci si confronta sul modo più efficace per contrastare gli effetti dell’emergenza.
Con la sospensione del Patto di stabilità e crescita come soluzione condivisa più o meno da tutti gli Stati e sulla quale Bruxelles si è già detta disponibile.

Hanno ceduto tutti, sul tema.

Anche chi inizialmente restava fedele al dogma del rigore economico,
capita l’antifona di un virus che non risparmierà nessun Paese del Vecchio Continente.

Ma la disponibilità a sospendere il Patto, dettata dalle circostanze emergenziali
più che da decisioni volontarie degli amanti dell’austerity, non sarà gratis.

E così ecco che, puntuale, si riaffaccia sul tavolo dell’Eurogruppo la discussione sul Mes.
Non è ancora arrivata la firma sulla riforma del Meccanismo, dicevamo,
ma c’è la volontà di esplorare la possibilità di usare il fondo salva-Stati per i Paesi che ne avranno bisogno.
Tra i quali, probabilmente, anche l’Italia.

Regling ha cercato un approccio soft, senza ricorrere agli imperativi:

“Abbiamo una capacità di 410 miliardi di euro non del tutto sfruttata, alcuni mai usati.
Ce n’è abbastanza: penseremo a come potranno essere usati nelle circostanze attuali che sono molto diverse da dieci anni fa”.

Gentiloni, a sua volta, ha parlato del Mes come di uno “strumento straordinario per affrontare la crisi”, mentre Gualtieri tentava di frenare.

La riforma in discussione non prevede la firma in automatico del Memorandum stile Grecia,
vale a dire impegni a fare riforme e tagli per far rientrare il debito, firma che però scatterebbe
se il Paese non è in è in linea con le regole su deficit e debito.

Vero è che, previsioni alla mano, tutti gli stati Ue si troveranno in pessime condizioni, una volta terminata l’emergenza.

Ma è anche vero che tra l’economia italiane e quella tedesca, per dirne una non troppo a caso, le differenze ci sono, e sono nette.

Come diversi potrebbero essere, ahinoi, gli effetti della cura.
 
La grande mobilità del lavoro del mercato USA permette di vedere in modo quasi istantaneo
gli effetti degli shock esterni soprattutto in settori in cui questi si manifestano in modo più lento
per la rigidità delle regole giuridiche che li condizionano.

Ad esempio nel mercato del lavoro si vede istantaneamente , o quasi, l’effetto della crisi
perchè chi perde il proprio posto va immediatamente ad iscriversi alle liste di collocamento per ricevere il sussidio, pagato settimanalmente.

La chiusura dei ristoranti e dei bar ha avuto un effetto drammatico:
in Ohio il numero degli iscritti alle liste di collocamento è aumentato di 6 volte, passando da 6500 a 45000.

Il tutto in una sola settimana.

Le attività di somministrazione sono solitamente “Labour intensive”, cioè impiegano un’alta percentuale di forza lavoro rispetto agli investimenti,
quindi la misura, necessaria, di chiusura ha fatto crescere in modo esponenziale in numero di disoccupati.

L’Ohio è un po’ il campanello d’allarme perchè ha raccolto per primo, rispetto a California e New York,
i dati sulla disoccupazione, ma quando anche questi stati forniranno i loro dati avremo un quadro piuttosto preoccupante dell’occupazione USA.

Comunque già ora il 18% dei lavoratori dichiara di aver perso il lavoro o di aver subito una riduzione dell’orario e della paga.

E l’Italia?

Da noi Bar e Ristorazione sono in mano essenzialmente di piccole società o aziende famigliari.

Data l’assenza di un’utilità all’iscrizione alle liste di collocamento, per l’inefficienza dei centri per l’impiego
e perchè, al contrario degli USA, non esiste una forma di indennizzo alla disoccupazione generalizzato,
ma il reddito di cittadinanza, sottoposto ad una miriade di limiti, noi vedremo un incremento della disoccupazione minore.

Quello a cui assisteremo sarà una miriade di fallimenti e di piccole tragedie personali, di distruzione di famiglie.

Una tragedia sottotono,ma che lascerà un segno molto più profondo, anche perchè il governo è riuscito a dare,
a queste situazioni, ben 600 euro di aiuti a partita IVA.

La carità.
 
L’orgia retorica sull’unità nell’ora più buia nasconde l’esistenza di una frattura all’interno del governo
su quale debba essere la futura collocazione geopolitica del nostro Paese una volta superata l’emergenza del coronavirus.

Con l’Europa a trazione franco-tedesca o con la Cina di cui Giuseppe Conte ha sposato il cosiddetto modello nella battaglia contro la pandemia?

Il punto specifico in cui la frattura si va manifestando è la parte del decreto definito “Cura Italia”,
cioè l’ultimo in ordine di tempo di cui ancora non si conoscono i passaggi attuativi,
dedicata alla riforma della Pubblica amministrazione digitale che dovrebbe essere realizzata
da chi vincerà un apposito bando con gara al massimo ribasso assicurandosi la gestione del 5G.

I ministri del Partito Democratico temono che questo bando sia destinato in partenza ad essere vinto
da una società di forniture high-tech di proprietà del regime cinese e paventano il rischio
che affidare la digitalizzazione della Pubblica amministrazione ad una diretta emanazione del governo di Pechino
equivarrebbe a spostare la collocazione geopolitica del nostro Paese strappandola all’Europa
e collocandola in una posizione di totale subordinazione all’egemonia imperialistica della Cina.

È probabile che la questione tecnica della definizione dei capitoli del decreto riguardanti le modalità del bando possa trovare una qualche soluzione.

Ma è chiaro che sul 5G non si gioca una partita tecnica ma uno scontro politico di primaria importanza.

Tra il Pd convinto che dall’emergenza non si può uscire senza confermare il rapporto con la Ue a trazione franco-tedesca
e con il Movimento Cinque Stelle che vede l’Italia terminale europeo di quella “Via della Seta”
che dovrebbe servire al regime cinese per estendere la propria egemonia politica nei Paesi più deboli dell’Europa Mediterranea.

L’emergenza della pandemia rende questo scontro sul futuro del Paese oscuro e totalmente nascosto all’opinione pubblica nazionale.

Con il Parlamento posto in una quarantena di fatto non si possono accendere riflettori istituzionali
su una problematica così importante e decisiva per il futuro della società italiana.

Tutto si svolge nelle segrete stanze governative e tra gli esponenti di due partiti che hanno visioni opposte
ma evitano accuratamente di esporle nel timore di compromettere la sopravvivenza dell’attuale esecutivo.

Ma il dilemma se rimanere servi dell’asse franco-tedesco o diventare vassalli dell’imperatore comunista cinese
è troppo importante per diventare una questione privata tra Pd e M5S.

Le forze d’opposizione pretendano la parlamentarizzazione della discussione.

Per impedire che approfittando del coronavirus si compiano scelte nefaste per il futuro del Paese

. L’auspicio è che i presidenti delle Camere ed il Presidente della Repubblica impongano di rendere pubblico il problema
per far prendere coscienza che la sorte dell’Italia non può essere quella di essere serva di due padroni!
 
Quando leggo "andrà tutto bene" mi chiedo. Sogno o son desto ?

Sui media e sui social è tutto un fiorire di “ce la faremo!”.

Senza una fede e senza una certa dose di ottimismo ogni impresa è impossibile. Vieppiù oggi.

Ma qualche dubbio mi prende.

In che modo ce la faremo?

Stando a casa, certo no.

Contando sullo Stato e su un governo capace solo di provvedimenti statalisti e assistenziali e giustizialisti?

No di certo.

La fede è necessaria, ma vacilla e comunque, da sola, non basta.

La mia fede vacilla quando vedo le motivazioni dell’ingenua fede di molti: “ce la faremo”
perché “siamo i migliori, i più forti e i più fighi del mondo”,
perché “l’Italia è il Paese più bello del mondo”,
perché “abbiamo il 70 per cento (qualcuno dice persino il 90 per cento) delle opere d’arte del mondo”;
perché l’Italia “è il Paese della bellezza, del buon gusto, della fantasia e dell’immaginazione”.

Mi chiedo: Basterà tutto questo?

Molti dicono: come dopo la seconda guerra mondiale “abbiamo” realizzato un miracolo economico,
così ora ripeteremo l’impresa grazie ai nostri piccoli e medi imprenditori che hanno una dote che altri non hanno: l’immaginazione e la fantasia.

Come se immaginazione e fantasia fossero un appannaggio dei soli italiani e di tutti gli italiani:
quasi fossero un dono divino esclusivo, eterno e sempre rinnovantesi.

Al mondo d'oggi, ragazzi la fede, le bellezze non bastano, le glorie passate, la fantasia e l’immaginazione non bastano.

Ce la faremo sì, ma solo a condizione di usare anche la ragione e la volontà e soprattutto se non ripeteremo gli errori del passato.

La prima condizione per farcela – probabilmente – è proprio che gli italiani abbandonino
la loro convinzione profonda di essere, come Narciso, “cari agli dei” per bellezza, nascita e lignaggio,
abitatori di una terra baciata dalle divinità del Sole, della Bellezza e della Fortuna,
appartenenti ad una progenie speciale, protetta dal famoso “stellone d’Italia”.

Nulla di veramente tragico ci potrebbe accadere, secondo questa specie di pensiero magico.

E invece temo che siamo nel momento in cui l’oggettività delle leggi della Natura (col coronavirus)
e dell’Economia (con i vincoli imposti da un pesantissimo Debito pubblico accumulato)
stiano per prevalere sulle velleità soggettivistiche e sul facile ottimismo del “domani è un altro giorno e chi vivrà vedrà”.

I miei dubbi aumentano poi quando ascolto la propaganda del governo e dei giornalisti e conduttori televisivi di regime
che in linea con quei diffusi sentimenti di autoconsolazione affermano:

“Per le misure prese dal governo italiano contro il coronavirus siamo un modello per tutto il mondo”.

Stiamo assistendo ad un’apoteosi di lodi reciproche, di incensamenti e di narcisismo a tutti i livelli.

Il premier Giuseppe Conte è andato in tivù per dire che gli italiani sono “un popolo grandioso”, anzi di “eroi”
solo perché stanno chiusi in casa e solo perché alcuni vanno sui balconi e si mettono a cantare l’inno di Mameli.
Per ora.

È stato proprio lo stesso Conte che ha lanciato la nuova parola d’ordine “siamo un modello”
che gli altri paesi europei e persino gli Usa di Donald Trump starebbero imitando.

Quale modello? quello del “tutti a casa”?

In realtà si dovrebbe parlare piuttosto di “modello cinese” (sia senza le estreme sanzioni previste dal regime imperante in Cina),
dato che è stato applicato nella regione di Wuhan già dalla seconda metà di gennaio e solo il 10 marzo dal governo italiano
con tutti i disastri che ha provocato la prima fase del “tutto va bene, siamo al sicuro e all’avanguardia.

Eravamo anche allora “un modello”?

Conte pretenderebbe il copyright del modello anche non suo e qualsiasi esso sia.

Il vero messaggio sottostante è: “State a casa tranquilli. Siete in buone mani.
Siamo capaci addirittura di inventare un modello esportabile in tutto il mondo.
Tireremo fuori un modello vincente anche per la ripresa economica”.

Come se si trattasse di inventare un “modello” e non di fare riforme dolorose per alcune fasce privilegiate
(come le burocrazie statali, inclusa la magistratura) che mettano in grado imprenditori e famiglie di vivere e prosperare.

Sono necessari anche tagli nelle spese più improduttive che rendano possibili tagli fiscali.

Mi chiedo: sono gli attuali governanti in grado di concepire un tale “modello”
(che poi è la tradizionale formula liberal-liberista dello Stato non assistenziale e non divoratore di risorse)?

A ben vedere, c’è invece da preoccuparsi.

Basta citare lo stanziamento di ben 600 milioni, deciso dal governo, nel quadro delle misure per l’epidemia,
per salvare ancora una volta l’Alitalia a spese dei contribuenti e a debito.


È un segnale molto indicativo di un modello statalista-assistenziale, come naturale proiezione mentale e politica del governo attualmente in carica.

Occorre ricordare che invece il modello del miracolo italiano del dopoguerra fu liberale e liberista: contava non sullo Stato,
sui salvataggi e sulle provvidenze statali e sulle alte tasse, ma soprattutto sugli spiriti animali dell’economia privata di mercato
oltre che sulla solidarietà sociale e familiare.

E comunque non basta la fede ingenua nel “ce la faremo”.

Ci sono delle condizioni.

Ce la faremo se potremo liberarci, appena possibile, del soggettivismo narcisista di certi politici,
dediti alla pura propaganda e del coro di giornalisti e conduttori televisivi che tengono loro bordone.
 
I provvedimenti restrittivi delle libertà personali posti in essere dal Governo in merito al contenimento del virus Covid-19
sono stati posti in essere con il dichiarato intento di “rallentare l’aumento dei casi di contagio in quanto non è tanto la pericolosità
o meglio mortalità del virus a preoccupare quanto l’incapacità del sistema sanitario di assorbire i casi
che potrebbero avere necessità di ricovero in terapia intensiva”.

Partendo da tale esplicita ammissione di impreparazione e quindi di responsabilità politico-amministrativa,
si deve desumere che l’articolo 2 della nostra Costituzione non possa essere limitato e prevaricato
dall’applicazione dell’articolo 16 che invece consentirebbe una certa limitazione per ragioni di sanità.

Ora, taluni considerano le ragioni di sanità generalmente rivolte alla moltitudine indistinta dei soggetti.

Ma in modo che, tale generalizzazione, non assuma caratteri di discriminazione o selezione dei soggetti meritevoli di limitazioni.

A nostro avviso se questo pur lodevole principio può essere condivisibile a fronte di una minaccia indistinta
e non individuata nella sua origine e diffusione, va rilevato che in questo modo si sta limitando una massa
di circa 60 milioni di persone rispetto a un conclamato contagio di poco più di 20mila con decesso di non più di duemila
e quindi a fronte di una minaccia che è invece discretamente individuabile e circoscrivibile.

Tutto ciò non vuole sminuire la gravità e serietà della cosa perché è vero che è importante ridurre i contatti fra le persone
come metodo di prevenzione ma è più importante forse imporre comportamenti non improntati alla ottusa negazione della mobilità
bensì piuttosto all’adozione di protezioni individuali e comportamenti consapevoli e corretti
al fine di ridurre lo stesso e forse meglio i rischi di contatto-contagio.


La scelta più facile ed arrogante che ha posto in essere il Governo gestendo i cittadini
come un branco di pecore senza coscienza deve essere rimodulata aprendo alla mobilità
ma con controlli estesi in ogni luogo affinché i cittadini usino comportamenti civili e corretti
e anzi riattivando tutte quelle strutture etiche, morali e religiose che potrebbero contenere i gruppi
educandoli costantemente alla prevenzione individuale e non collettiva.

Se poi uno non risultasse ai controlli persona civile e corretta allora sarebbe giusto sanzionarlo amministrativamente e penalmente se necessario.

Lungi dall’avere la pretesa di aver analizzato la cosa dal giusto livello di conoscenza giuridica
tuttavia ritengo necessario porre la questione che va ben oltre la libertà individuale.

Infatti, il problema e la domanda da porvi sono:

“D’ora in poi se intervenissero malattie diffuse o altre calamità estese,
un popolo dovrà essere posto agli arresti domiciliari periodicamente con condanna perenne ad una non vita
oppure sarà giusto ed opportuno affrontare ogni evento prima di tutto assicurando la libertà e la dignità individuale
cercando di prevedere tali eventi con le dovute attrezzature ed allestimenti tecnico scientifici
necessari a tutelare l’individuo e la collettività garantendo il diritto di vivere inteso non come semplice sopravvivenza ma come vissuto eroico della vita?”.

La libertà personale è inviolabile.

Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale,
né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria .......
 
Perché il governo italiano e l’Istituto superiore di sanità non ci dicono con esattezza il numero dei morti per Coronavirus?

Innanzitutto parlare di Coronavirus genera una certa confusione, dal momento che, da decenni,
i Coronavirus infestano annualmente il mondo con virus influenzali, cagionando per lo più polmoniti.

Quest’anno lo hanno chiamato Covid-19, dichiarandolo ad alta letalità per i soggetti in età avanzata
ma praticamente sicuro per bimbi e donne in gravidanza: quindi, con una enorme differenza rispetto ai Coronavirus degli anni passati.

Nella confusione dei numeri, lanciati dalle varie autorità su tutti i media, si possono registrare rilevanti contraddizioni.

Proviamo a fare un po’ di ordine.

Partiamo da una interessante osservazione scientifica, che si rileva sull’Huffington Post del 13 marzo,
da parte di Maria Rita Gismondo, direttrice del laboratorio di biochimica dell’ospedale Sacco di Milano,
la quale ha fatto chiarezza, nel senso che, guardando i dati, ha precisato che:

“Questo virus, nella gran parte dei casi, o è silente o ci dà sintomi simil influenzali, nel 90 per cento dei casi”,
mentre, “C’è un 10 per cento di persone che ha bisogno di essere ricoverato in ospedale.
Angelo Borrelli, il capo della protezione civile, ci ha detto più volte che le fasce più toccate sono anziani sofferenti da una a quattro patologie.
Il virus dunque è stato una aggravante. Ad oggi i dati di morte diretta per Coronavirus sono molto scarsi, si parla di qualche unità.
Oggi l’età media dei deceduti è 81-83 anni”.


Questo intervento costituisce una bella iniezione di ottimismo in una questa situazione che comunque resta drammatica.

Ma il 13 Marzo 2020 la dichiarazione interessante proviene proprio da Borrelli, attuale capo della protezione civile,
nel giorno in cui sono stato registrati numeri di decessi per Coronavirus molto alti; Borrelli ci dice:

“In Italia ci sono 14.955 i contagiati, 2.116 più di ieri, con 250 i nuovi decessi”

aggiungendo che:

“I dati sulla mortalità vanno approfonditi con le cartelle cliniche dei deceduti:
i pazienti morti con il Coronavirus hanno una media di oltre 80 anni, 80,3; le donne sono solo il 25,8 per cento.
L’età media dei deceduti è molto più alta. Il picco di mortalità c’è tra 80-89 anni”.

“La letalità, ossia il numero di morti tra gli ammalati, è più elevata tra gli over 80”, ha spiegato Silvio Brusaferro, capo dell’Istituto superiore di sanità (Iss).

Solo due dei pazienti deceduti avevano meno di 40 anni e soffrivano di altre patologie gravi.

“Uno aveva 39 anni ed una patologia neoplastica, è morto in ospedale, – chiarisce Brusaferro –
un’altra donna di 39 anni è morta a casa, aveva diabete, obesità ed altri disturbi”.

Anche questa notizia, pur nella sua drammaticità, non è così negativa,
tuttavia queste parole destano un certo stupore, perché effettivamente, il governo italiano,
attraverso la protezione civile, ogni giorno, per ragioni di “trasparenza” fornisce all’intera stampa mondiale
i numeri delle persone decedute risultate anche affette da Coronavirus, senza, tuttavia,
specificare minimamente quale sarebbe stata l’effettiva causa di morte.

Fornendo, quindi, dei dati molto allarmanti senza alcuna garanzia di certezza in merito alla effettiva incidenza del nuovo virus
rispetto alla situazione clinica preesistente nel paziente al momento del decesso.

Perplessità confermata nell’articolo del 10 marzo di Walter Ricciardi, di professione attore
ma anche eminente consulente del governo e membro del Board Oms,
il quale ha rappresentato che l’Italia ha un gravissimo problema di come riporta la mortalità rispetto ad altri Paesi
e, alla domanda del perché di questa enorme differenza del caso Italia rispetto a Paesi avanzati
come la Sud Corea, la Francia e la Germania, Ricciardi ha risposto che

“Questo lo si spiega con un insieme di fattori. Il primo è che noi in questo momento probabilmente sovrastimiamo la mortalità
perché mettiamo al numeratore tutti i morti senza quella maniacale attenzione alla definizione dei casi di morte
che hanno per esempio i francesi e i tedeschi, i quali prima di attribuire una morte al Coronavirus
eseguono una serie di accertamenti e di valutazioni che addirittura in certi casi ha portato a depennare dei morti dall’elenco”.


Ha aggiunto Ricciardi che

“Di fatto capita che si accerti che alcune persone siano morte per altre cause pur essendo infette da Coronavirus.
Noi invece, per i noti motivi di decentramento regionale, ci atteniamo alle classificazioni dettate dalle regioni
e soltanto nell’ultima settimana stiamo cercando di introdurre un correttivo con una valutazione da parte dell’Istituto superiore di sanità,
che però non ha a disposizione le cartelle cliniche e quindi fa fatica a entrare nel merito delle cause del decesso.
Tutto il meccanismo insomma è estremamente farraginoso.
L’Iss, in altre parole, per il decreto ha il potere di investigare ma deve mandare i Nas per avere le cartelle. Non so se mi spiego”.


Quindi, in Italia, per conoscere la verità delle cause di morte, un diritto per i familiari delle vittime
e un dovere per le istituzioni deputate ai necessari approfondimenti anche per trovare le effettive difese dal virus,
potrebbe essere necessario l’intervento dei carabinieri come detto da Ricciardi, il quale ha aggiunto un particolarmente significativo

“non so se mi spiego”

che fa ben intendere la poca affidabilità di questi dati che provengono proprio dalle istituzioni pubbliche deputate
a fronteggiare questa situazione di emergenza nazionale, anche evitando di diffondere ulteriormente il panico.

Inoltre, in Italia l’Istat dichiara che nel 2016 sono stati registrati oltre 615mila decessi per malattie,
quindi, più di 1.600 al giorno, in cui la causa polmonite incide per 9.413 persone decedute annualmente, quindi, 25 morti di polmonite al giorno.


E purtroppo nel 2019 i casi sono aumentati ad 11mila con una media di 30 morti al giorno.

Un’altra osservazione sempre dall’Istat:

“Alla luce dei primi dati provvisori relativi al 2017 si osserva un massimo di mortalità nel mese di gennaio
con oltre 75mila decessi che, congiuntamente a quanto occorso sul finire dell’ultimo bimestre 2016,
è da ricollegare al picco influenzale dell’inverno 2016-2017”.


Riepilogando, in Italia, così come in tutti i Paesi del mondo, ogni giorno muoiono molte persone per le malattie più varie,
che sarebbero comunque decedute anche senza aver contratto il Coronavirus, ma che, a questo punto,
rientrano a pieno titolo all’interno del dato numerico fornito dalla protezione civile,
quindi, dal governo italiano, al mondo intero quali morti da Coronavirus.

Quindi la conclusione è paradossale:

tutte le persone morte in Italia negli ultimi giorni, di qualsiasi cosa siano decedute, agli occhi del mondo intero
sono ufficialmente morte da Coronavirus, parola del governo italiano.


Questo sembra lo sconfortante andazzo e solo da ieri qualche giornalista,
nella consueta conferenza stampa delle 18 nei locali della protezione civile,
ha cominciato a contestare i dati accusando di ritardo l’istituto superiore di sanità,
in particolare, sul fatto che non ci sia ancora con esattezza il numero delle persone
effettivamente morte da Coronavirus e solo da quello, senza ulteriori concause.

Se le cose stanno nei termini descritti dalla Gismondo, è chiaro che la gestione della fase comunicativa
da parte della protezione civile e da parte dell’istituto superiore di sanità, lascia perplessi
perché viene fornita all’opinione pubblica mondiale la notizia che in questo paese ci sono migliaia di morti da Coronavirus,
mentre le cose non stanno assolutamente in questi termini.

E il giudizio sull’operato del governo deve rimanere necessariamente sospeso in attesa
dei numeri relativi alla mortalità negli altri Paesi, considerando che ad oggi

la Corea del Sud presenta 8.160 casi e 73 morti, quindi, 159 casi per ogni milione di abitanti,

la Germania ne presenta 4.599 con 9 morti quindi 59 casi per milione di persone,

la Francia ne presenta 4.469 con 81 morti, quindi, 61 casi per milione

mentre l’Italia con 2.500 morti su 25mila casi potrebbe addirittura superare

la Cina che si avvia a venirne definitivamente fuori con 3.200 morti ed 82mila casi accertati.


È tuttavia evidente che i numeri presentano dei profili di contraddittorietà per cui è assolutamente legittimo chiedersi
dove stiamo sbagliando e se in Cina siano più avanzati di noi nelle cure, ma questo potrebbe anche dipendere dal fatto
che sono alle prese con il virus da più tempo rispetto a noi e quindi hanno avuto più tempo per organizzarsi.

In attesa dell’evolversi dei dati dagli altri Paesi queste considerazioni potrebbero essere di aiuto per giudicare l’operato
di chi ci ha raccontato un dato numerico del tutto inattendibile, mettendo a rischio il futuro della nazione,
per via della eccessiva drammatizzazione di numeri che, a grandi linee, sembrano essere gli stessi da anni,
anche se rispetto ai quali c’è stato sicuramente un sensibile incremento.


E se dovesse essere riscontrato un intento speculativo da parte di qualcuno,
gli organi giurisdizionali dovranno intervenire con il massimo rigore per accertare eventuali responsabilità.

Ed un invito alla stampa ad essere rigorosa anche e soprattutto sulla diffusione del dato numerico
perché ne va del nostro futuro e della nostra credibilità internazionale.

È il momento di verità e chiarezza, e non ci possiamo più permettere confusione perché mai come in questo momento servono certezze.
 
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00:00 “Troppi in giro, li puniremo” titola il Corriere della Sera. Pene più severe per chi viene beccato fuori casa.
Cari italiani, invece di stare sui balconi, sarebbe meglio essere più allergici alle violazioni della nostra libertà.

05:05 Attenzione poi a confondere l’egoismo con la libertà.


06:30 Travaglio continua a sostenere che Conte è il più bravo di tutti.

08:40 Il Papa, intervistato da Repubblica, ci dice di non sprecare questi giorni difficili consigliando di guardare Fabio Fazio.

10:04 Grande polemica sulle decisioni di Macron mentre Boris Johnson rivede le sue posizioni.

12:28 Il Fatto racconta dei 249 medici di Napoli scappati dalle corsie.

12:55 Viva i soldi dei privati per costruire l’ospedale.

13:44 Intesa San Paolo mette 15 miliardi di euro per i prestiti.

14:20 Più leggi il decreto fiscale e più fa schifo.

15:20 Il crollo del Pil…

15:40 Caro Ernesto Maria Ruffini, perché tutto questo rompicapo per le scadenze?!
 
Ecco qui cosa scrive il non-giornale del popolo. Si pensa solo ad incutere paura.
Coercizione e controllo.

La nuova direttiva del Viminale ha imposto una stretta nei controlli per evitare che i cittadini
escano senza avere «un comprovato motivo» come invece impone il decreto firmato
dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte l’11 marzo 2020.

I continui spostamenti potrebbero convincere il governo a emettere nuove restrizioni.

Il ministro Vinceno Spadafora lo dice con chiarezza:

«Credo che nelle prossime ore bisognerà’ prendere in considerazione la possibilità di un divieto completo anche all’attività’ all’aperto.
Quando abbiamo lasciato questa opportunità, lo abbiamo fatto perchè la comunità medico scientifica
ci diceva di dare la possibilità a molte persone di correre anche per altre patologie sanitarie.
Ma l’appello generale era quello di restare a casa: se non viene ascoltato saremo costretti a porre un divieto assoluto».
 
Vergognati per quello che scrivi. Però tu in giro ci vai.

Non crede sarebbe giusto chiudere tutto?

«Il governo ha agito con determinazione e fermezza, adottando le decisioni ritenute necessarie
in ragione dell’evoluzione di una situazione emergenziale assolutamente imprevedibile.
Si è tratto di decisioni assunte gradualmente che sono state condivise con gli esperti e il mondo scientifico.
Ad oggi siamo impegnati a garantire l’applicazione di tutte le prescrizioni adottate.
Ne valuteremo gli effetti e, se necessario, non ci sottrarremo ad altre scelte coraggiose».
 

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